Capitolo 4

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Arranco per la strada, controcorrente. Non ho la forza di correre, sono troppo agitata per correre. Cammino veloce, senza una destinazione. Voglio scappare, voglio arrivare nel Vicus 3. Voglio arrivare al Confine e scappare. Casa della nonna è vicino al Confine, se decidessi di andarci farei in fretta e se invece preferissi andarmene, potrei fare anche quello. La mia camminata mi appare troppo lenta. È troppo lenta. Se voglio arrivare viva fino al tramonto devo evitare di zigzagare così tra persone di fretta e bicicli impazziti. Prendo il primo autobus che trovo fermo. Non penso. Per la prima volta da undici anni non penso a niente. Solo a non piangere. Solo a sembrare una delle tante persone in ritardo che invadono la città all'una del pomeriggio. Non mi siedo. O forse si. So solo che dopo un po' scendo. Non sopporto più gli sguardi delle persone. Non sono nulla per loro eppure sembra che in me ci sia racchiuso il loro tutto. Scendo e ricomincio a camminare, poi correre. Trovo un altro autobus. Ci salgo. Scendo. Corro. Salgo su un autobus. Scendo. Corro. Salgo su un autobus. Scendo. Corro. Cado. inciampo su un pezzo di filo spinato e cado per terra, con le braccia avanti, la guancia che si tinge di verde, marrone e rosso. L'erba, la terra e il sangue. Scoppio a piangere. Non è il pianto di una bambina ferita. È il pianto di un'adolescente distrutta. I cui pezzi si stanno staccando lentamente, tenuti su dalle certezze e distrutti dalle paure.
Mi siedo. Sono arrivata dove volevo arrivare. Sono arrivata dove sono arrivata. Sono sola. Sola come sono nella mia guerra contro me stessa, incrementata da un senso di inadeguatezza verso una società razionale. Un unico pallino bianco in un mondo di nero. Una sfumatura di grigio più chiara di quanto conviene in questo mondo. Lo sguardo perso tra le maglie della rete fatta di filo spinato che si erige davanti a me. È tutto quello che mi separa dall'essere libera.
<< Non è la libertà>>
Una voce interrompe il corso dei miei pensieri e finalmente sento quanto sono forti i miei singhiozzi. Avverto il cuore che accelera i suoi battiti. Non voglio girarmi. Non conosco le mie condizioni e non voglio che qualcuno le conosca prima di me.
<<Puoi scappare, ma c'è solo un'altra urbe di là>>
<<Chi sei?>>
<<qualcuno>>
<<Qualcuno chi?>>
<<non importa>>
La sua voce appare troppo sottile per essere quella di un uomo e troppo grossa per essere una donna. Raccolgo tutto il mio coraggio e mi giro. È un ragazzo. Deve avere più o meno la mia età. Ha un gamba ricoperta di croste e gli mancano un braccio e un occhio. Doveva essere un bel ragazzo, prima. prima di cosa? Forse è nato così. No. Qualcosa mi fa capire che non è nato così.
<<ecco brava, preferisco parlare con gente che mi guarda nell'occhio e che non fa espressioni compassionevoli, che con gente di spalle o peggio ancora che prova pietà>>
Non c'è rabbia nella sua voce, solo un amaro sarcasmo. Solo una voglia di sputare in faccia a qualcuno una verità crudele.
<<che ti è successo?>>
Mi guarda beffardo <<potrei farti la stessa domanda, hai una guancia completamente scorticata e una faccia da schifo>>
<<scappavo>>
<<ah si e da cosa? sentiamo>>
<<da me. Da tutti. Da tutto>>
<<mmm... risposta interessante, enigmatica direi>>
Cambia posizione appoggiando davanti a sé la stampella che regge con il braccio sinistro.
<<torniamo alla tua domanda. Vedi sono scappato. O almeno ci ho provato. Sono stato così sciocco da sperare che l'Antimundo fosse lì, quello che cercavi di fare anche tu ritengo>>
<<non volevo scappare>> la mia voce è dura.
<<beh lo hai detto tu poco fa>>
<<ho detto che stavo scappando>>
<<non è la stessa cosa?>>
<<no.>> potrei dargli mille ragioni per cui non è la stessa cosa, a questo sconosciuto. Ma non serve. Saltella sulla sua stampella fino ad arrivare di fianco a me e con un movimento agile si siede per terra.
<<ci ho fatto l'abitudine sai>>
Devo averlo guardato con aria ammirata. O stupita forse.
<<quanti anni hai?>>
<<diciassette mademoisselle>>
<<il tuo nome?>>
<< questo non te lo dico>>
<<perché?>>
<<signorina, un po' troppe domande. Se stavi scappando ma non volevi scappare non dovresti avere così tanta voglia di parlare. O di scoprire. Le soluzioni sono due. O sei tanto sciocca da scappare senza un piano o sei tanto furba da essere già a conoscenza di tutto ma non darlo a vedere celandoti dietro i panni dell'imbranata ed incosciente ragazzina.>>
<<anche se non amo l'aggettivo sciocca mi sa che mi si addice di più la prima>>
<< che mi si addica>>
<<mi scusi professore>>
<<di niente sciocca incosciente>>
Credo di non avere la forza di ridere, ma sento che un sorriso mi appare sulle labbra. Poi stiamo zitti. Per quanto? Non ne ho idea. so solo che il tempo passa e non ho più paura. Non sono più distrutta. Questo ragazzo, con l'ausilio della sua sola presenza, mi ha fatto riscoprire qualcuna delle mie certezze. Ha ricostruito il mio piccolo puzzle che è di nuovo pronto per essere distrutto e poi riassemblato, magari con l'aggiunta di qualche tassello.
Qualche tassello importante. Qualche tassello di cui non posso aspettare il magico arrivo. Qualche tassello che devo cercare.

Il Pericolo dei SogniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora