Capitolo 2

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<<Cosa diavolo ti viene in mente?>>
Il professore non è ancora entrato e Ginevra sbraita contro di me. Le ho tolto il privilegio del banco in prima fila, ma ancora non ne sa il motivo, tra poco non sarà più così offesa con me.
<<Devo parlarti...>> Inizio io, ma lei mi interrompe ancora stizzita <<Avremo tutta la pausa per parlare>>
<<Shh. È una cosa "privata">>
Deve aver capito, perché c'è una sola cosa di cui non le parlo nella pausa, ma non molla <<Perché ci siamo scelte un albero se poi dobbiamo parlare in classe?>>
<<Lo sai benissimo che c'è una cosa di cui non posso parlarti sull'albero -sibilo- qualcosa che per me è di vitale importanza>>
Di certo Ginvy non è arrendevole, ma non potevo essere più esplicita e quindi demorde e mi guarda interrogativa, con quegli occhi in cui riconosco la mia migliore amica, una ragazza di 14 anni che sembra sempre conoscere la vita meglio degli altri. Devo spiegarle e so che capirà. So che lei può aiutarmi.
<<Un..>> sono titubante a dire la parola che mi separa dall'esprimere in modo esplicito l'oggetto della nostra conversazione segreta, ma poi entra il professore che mi interrompe. Sobbalzo quando sento la voce ancora squillante, ma profonda del nostro insegnante. Ci alziamo. Ci guarda. Non mi incute timore, non lui. Sembra uno che da ragazzino non rispettava le regole, ma ora si è arreso e addirittura le insegna. C'è sempre un velo di tristezza nei suoi occhi, però. E gli occhi parlano della vita delle persone. Ho paura che qualcuno mi guardi negli occhi, che scopra i miei segreti. Io ci riesco con gli altri, per me gli occhi sono una confessione. Delle verità. Torno a sedermi e sussurro a Ginevra   <<Insomma si tratta di una cosa non cosa>> Capisce, come sempre, e mi fa cenno di andare avanti. << Era in nero, ero sola in una stanza, non c'era nessuno, silenzioso quasi da impazzire, nessun colore, nessuna luce.>>
<<Strano. Non eri mai stata in un luogo non ben definito. Ricordi cosa pensavi?>>
<<No, come al solito, ma un posto così confuso...è questo che mi preoccupa, cosa potrebbe voler dire?>>
<<Magari non vuol dire nulla, ma è strano. Tu non hai paura del buio, né di essere sola>>
<<No. Sai che non so di cosa ho paura. Ho paura a momenti, delle situazioni.>> Annuisce.
Rimaniamo in silenzio, ho paura, ecco in questo momento ho paura, che qualcuno ci possa sentire.
<<Era piccola la stanza?>> domanda Ginevra all'improvviso.
<<Non troppo. Era grande più o meno come la mia stanza, ma era spoglia e tutto quel nero la faceva sembrare opprimente>>
<<Opprimente come la società, nera come la mancanza di immaginazione, silenziosa come la gente, potrebbe essere...>>
<< Signorine!>> ci richiama il professore <<Gradirei che steste ad ascoltare la lezione invece che parlare di oppressione>>
<<Ci scusi>> rispondiamo in coro e poi ci guardiamo. Sappiamo di pensare la stessa cosa. Se lui ci ha sentito potrebbero averci sentito anche gli altri. Osservo i miei compagni, molti sono indifferenti, annoiati, o concentrati su qualche esercizio di cui  ho perso la spiegazione, ma poi vedo lei. Acacia mi guarda, e il suo sorriso sembra maligno. Le parole del professore mi scivolano addosso come le gocce di rugiada scivolano sulle foglie delle piante la mattina. Il mondo è un unico frastuono ovattato, mi guardo intorno. Non mi guarda solo Acacia, mi sta fissando anche Tobias. E se ci hanno sentito? "Impossibile", mi dico. Tutto intorno a me inizia a vorticare, poi si ferma, ma è annebbiato. Vedo tutto sfocato, come all'interno di una nube di foschia molto fitta. Poi silenzio.
Sono in un prato. Un prato verde, intorno a me gli alberi. Non sono da sola, c'è un'altra figura un po' più in là, mi ricorda qualcuno. Tobias. Cosa ci fa nei miei sogni? E soprattutto, sono a scuola, non posso sognare. Ricordo qualcosa di prima, mi ha guardato negli occhi e poi è successo qualcosa come se fossi svenuta, come se quegli occhi mi avessero scoperta, come se scrutandomi dentro avessero visto ciò che nascondo e ora lo stessero esplorando. Lo dicevo io che gli occhi sono delle verità. Ora ho paura. E allo stesso tempo ho paura di avere paura, ho paura che lui capisca che ho paura e che cerchi la fonte della mia paura. Ho paura che la trovi. Vorrei saper nascondere meglio le mie verità dietro a due occhi falsi, ma non si può, non posso essere qualcuno di diverso da me. Vivo sognando, sogno anche vivendo ora, non posso nascondermi dietro due occhi falsi, non è più possibile per me. Quella figura seduta, quel ragazzo seduto potrebbe essere un problema, più grande di Acacia. Lei può scoprire qualcosa in modo subdolo. Lui può sapere tutto con uno sguardo. Un alito di vento mi scompiglia i capelli, il parco è pacifico. Rappresenta il contrario dei miei pensieri. Sono confusa, spaventata, irritata. Qui, invece, è tutto così calmo da farmi pensare che da un momento all'altro potrei essere risucchiata da un vortice malvagio che mi porterebbe lontano da me. Non lontano dalla realtà, quella ormai è staccata da me. La cosa peggiore che può succedermi è perdere me stessa, perdere le poche certezze che ho. Fisso la linea scura sull'orizzonte, Tobias. Sembra essere più lontano di prima. No ora che lo vedo bene più vicino. Non capisco. È come se non ci fossero dimensioni. Poi non è più Tobias. Diventa una persona qualsiasi. Una figura. Una figura che potrebbe strapparmi via la libertà di vivere con una semplice occhiata. La figura si alza. Si avvicina. Eppure si allontana. Mi sento debole, come svuotata. Poi quella figura, di nuovo con le sembianze di Tobias diventa il mio unico punto di riferimento, diventa un essere indispensabile per la mia sopravvivenza, senza cui non posso resistere. Mi raggiunge, cerca il contatto fisico, ma è come se fosse un fantasma, poi inizia ad acquistare consistenza, come una nebbia sulla pelle. Poi acqua. Scivola. Scende. Liquido. Poi solido, ma freddo. Il cuore inizia a battermi nel petto come se volesse rompere la cassa toracica ed espandersi per pompare più sangue al corpo, come se il mio calore potesse essere trasmesso al ragazzo che mi sta davanti. Il cuore batte. La testa pulsa. Una mano umana mi sfiora la spalla e sobbalzo. L'essere che mi sta davanti sorride. Mi guarda di nuovo negli occhi. Per un attimo mi appare malinconico. Poi tutto ricomincia a girare e a sfocarsi. Gli alberi ed il cielo si mischiano in un vortice di colori simile ad un'opera d'arte di quelle che ora non sono più permesse. I suoni ovattati si mischiano e diventano un frastuono confuso. La vista mi si appanna, prima poco, poi sempre di più. Cado in terra, tra i fili d'erba che percepisco sulla guancia. Sono inerte nel mio sogno non sogno. Vorrei risvegliarmi eppure qualcosa mi trattiene. Sento un respiro sul mio viso e riapro gli occhi.

Il Pericolo dei SogniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora