Capitolo 7

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Passa in fretta il tempo, i giorni sembrano aver preso l'aeroplano. Un mezzo rapido, immediato, per proseguire. E insieme ai giorni passano le notti, con i loro sogni. 11. Undici sogni. Undici notti. Undici giorni. Undici momenti di tranquillità. Undici parchi, fondali
marini, deserti, città, stanze, scale, feste. Undici. Un numero che mi separa da una catastrofe. L'inizio di una folle caduta che mi porta a desiderare di non pensare, di non essere. Un suono orribile. UNDICI. poi mi sveglio. Una mattina di fine settembre, un inizio d'autunno, un sole timido che cerca di entrare dalle finestre dopo aver intiepidito leggermente l'Urbe.
Una mattina rilassante, pare. Ma le apparenze ingannano. Le apparenze sono una specie di velo per ingannare. Come se un esiliato si travestisse da politico. Una figura. Ma senza lo spirito che si addice a tale figura. Una mattina uguale alle undici precedenti, ma in ordine la dodicesima, un numero che temo quasi più dell'undici. un inizio patetico, banale. Poi occhi. un ingresso attraverso il portone del parco scolastico. Un saluto. Tanti saluti. 39 saluti. Poi una voce, cattiva, non crudele solo cattiva. E un paio di occhi viola, fiammeggianti, esplosivi. Una vendetta per un fatto accaduto quattordici mattine fa. Una rivincita verso di me, verso quella persona che aveva osato scavalcare la regina dai boccoli biondi. Ma non furono le parole. Furono gli occhi. dentro i miei, come per studiarmi, come gli occhi di Tobias. Un terrore. Freddo, come il sangue nelle vene, il sudore. Poi un insieme di vortici, come se tutto si annebbiasse, la presa di due mani intorno alla vita, due mani che non riescono a sorreggere il peso, poi di nuovo un vortice, una nebbia e il sogno. Un oceano, un mulinello. La paura che assale, il tentativo di nuotare, di restare a galla. L'istinto di sbattere le gambe e muovere le braccia per non affondare. Una voce, delle urla, quelle urla che squarciano il cielo, che spezzano il cuore. Quelle urla che danno forza. Una figura. Riccioli d'oro, occhi viola. Poi solo una sagoma, una come tante. Una sagoma che affoga. Un'Acacia che affoga. Nemmeno ci penso inizio a nuotare tra i mulinelli e l'acqua in tempesta per salvarla. Arrivo vicina. Vicinissima. Tendo una mano, tendo il mio corpo, la mia vita in soccorso di un'altra vita. Un rifiuto. Il tentativo di dimostrarsi forti, le contorsioni di una persona in balia delle onde e della corrente. Quattro occhi che si incastrano, mentre due di questi si staccano lentamente, portati verso il fondo dalla crudeltà delle onde. Lentamente la calma ritorna, ma nebulosa. Come se l'acqua tutt'intorno non fosse più acqua, come se fosse soltanto aria, aria fredda, spilli di aria che pungono dolcemente la pelle. Poi ossigeno. Un volto preoccupato è l'unica cosa che percepisco al mio risveglio. Anzi no. Anche il freddo dell'asfalto sotto di me. Ginevra mi tira in piedi senza tanta delicatezza e mi guarda con uno sguardo che fa paura. Lei ha paura. Osservo i ragazzi che stanno entrando e poi il piccolo gruppo che deve aver assistito al mio "svenimento". Acacia ghigna. Non so cosa volesse dire. Ma il sogno non sogno assomigliava in molte parti a quello che ho fatto quando Tobias mi ha guardato negli occhi. So che c'è qualcosa di sbagliato, qualcosa che non va. Qualcosa che potrebbe diventare addirittura più pericoloso dei miei sogni. Alzo la testa. Guardo avanti. <<Sto bene>>. Ed entro. Ginevra mi è vicina, si siede in uno dei banchi liberi, non troppo avanti, non troppo indietro. Giusta. Entra il professore di scienza A, come aveva fatto quattordici mattine fa, sempre quello sguardo da vinto, sguardo di chi sperava che si potesse cambiare. Non mi dispiace la sua materia, mi piacciono i numeri, ma non sono i numeri che mi preoccupano questa mattina. Sono io, mi preoccupo da sola. Penso alla nonna. Mi ha chiamato due giorni dopo la mia fuga verso casa sua. Le ho detto che volevo andarla a trovare, ma non c'era. Mi stava cercando. Poi più nulla. Mi torna in mente ora, io e Ginevra dovremmo cercare qualcosa di più, non so cosa vogliano dire questi sogni comandati, ma vorrei scoprirlo.
<<cosa hai visto?>>
<<eravamo in acqua, io e Acacia, stava affogando, ho provato ad aiutarla ma non ha voluto e così è sprofondata>>
<<strano>>
<<pensavo, volevo aiutarla>>
<<lei però non voleva. Lei era quella forte. E prima?>>
<<quando?>>
<<Tobias>>
<<era calmo, quasi triste, ma nonostante tutto sereno. Si sa che è uno solitario. Però mi cercava, ha cercato di abbracciarmi, cioè in realtà mi ha abbracciata>>
<< forse lo so>>
<<cosa?>>
<<zitta>>
Uno zitta che implica un ti spiego dopo. Uno zitta che non vuole azzittire ma solo far capire che non è un momento adatto. Uno zitta che vuole intendere "diamine lasciami ascoltare la lezione".
Una questione in sospeso che non tarda a spiegarsi.
<<hai detto che erano loro, in due situazioni diverse – inizia Ginevra appena usciamo dalla scuola – devo aver letto da qualche parte che i sogni che le persone fanno possono avere dei significati, come avevo già provato a spiegarti con il sogno in nero. Mi segui? – annuisco ecco pensandoci tutto va al suo posto. Tobias ama la calma, stare da solo, come in mezzo ad un prato, ma forse in questo modo si sente troppo solo, cerca qualcuno, un contatto, un'amicizia. Veniamo ad Acacia. Una ragazza che vuole fare la dura, quella che prevale, ma che magari in fondo è debole e sta per affogare.>>
Geniale. Lo penso. Lo dico. Lo credo. Credo che Ginevra sia davvero geniale. Non so dove possa averlo letto ma pare una spiegazione ragionevole, soprattutto per un sogno stimolato da due piccole verità. Gli occhi. sento che è questo il loro significato, sento che sono fatti apposta per conoscere meglio alcune persone, alcune persone di cui so poco, di cui conosco solamente la corazza. In questo modo potrei proteggermi. O farmi più male. Potrei sopravvivere, o morire. Perché la linea che divide ciò che è bene e ciò che è male oramai è così sottile che quasi i due opposti si confondono come due mari che si incontrano e si fondono.

Il Pericolo dei SogniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora