Capitolo 11

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Passo la notte distesa sul mio letto senza avere il coraggio di lasciarmi abbracciare da Morfeo. Senza dormire e di conseguenza senza sognare. Sento le campane e non mi alzo. Non ho nessuna voglia di andare a scuola. Quando arriva mia madre uso una scusa banale. 'ho mal di testa'. Rimango da sola, nel mio letto. Non resisto al sonno ed esso chiama con sé un sogno. Vedo una montagna. Neve e ghiaccio ovunque. Sento il calore di un giubbotto pesante sulla mia pelle. Mi giro e l'unico paesaggio che noto sono le montagne. Sono nel mezzo di una vallata in cui non c'è nessuno tranne quella ragazza, che sono io. Sento un rumore forte, ma più che forte pesante. Attutito da tutto il bianco che mi circonda appare basso e pesante, come il suono di un tamburo, ma molto più prolungato. Vedo una massa bianca che si stacca dalla cima della montagna e scende, verso di me, sempre più potente, trascinando con sé la neve e il ghiaccio che incontra nella sua discesa. Non mi sposto, resto ferma ad ammirare quello spettacolo della natura che accelera per travolgermi, quel mare bianco che mi invita tra le sue braccia, quell'enorme onda che mi prega di gettarmi dentro di sé, forse perché si sente sola o semplicemente per poter travolgere qualcosa che rimarrà materia, senza diventare acqua. Anzi tornando polvere. Sento il freddo tutto intorno a me, una coperta bianca, che se apro gli occhi sembra nera. Il ghiaccio mi entra nelle ossa, nelle vene. Giro su me stessa centinaia di volte, trascinata da una neve bianca che più nera non si potrebbe. Nera sì, perché tanto bianco messo insieme diventa nero, come il bene, tanto bene messo insieme rasenta il male. Credo di essere felice, ma tanta felicità messa insieme causa solo tristezza. E dunque sono felice, non troppo però, quella felicità dosata che non diventa tristezza. Quella felicità che la senti senza pensarla. Sento il mio corpo che viene trascinato dalla forza di gravità e dalla violenza della neve e dei detriti. Mi sento come una piccola roccia di cui nessuno si rende conto, eppure in questo momento quella piccola roccia potrebbe anche essere un enorme masso esposto alla vista di tutti. Per una attimo esposto anche al calore. Un attimo che diventa due attimi, che si moltiplicano, raddoppiano. Riapro gli occhi sperando di vedere il nero ed invece vedo un riflesso rossastro. Il freddo della neve è ancora una sensazione ben definita sulla mia pelle. Sento che se avessi appena giocato a palle di neve forse avrei le mani più calde. Sbatto le palpebre per far cadere dalle ciglia qualche fiocco di neve, ma l'unica cosa che sento è quella sensazione di ruvido che si sente quando chi si risveglia da un sonno a cui ci si è abbandonati piangendo.  Capisco di essere a casa solo quando mi strofino le mani sugli occhi e sento la netta differenza tra la percezione tattile dei sogni non sogni e quella della vita reale. Solitamente nei mie viaggi sono contemporaneamente la protagonista e la spettatrice, non mi capita mai di sentire il calore del mio corpo. Ora invece sì. Sento di essere un corpo vivente. Anzi sopravvivente. Sento di essere un corpo che potrebbe essere ucciso, perché per ora viene inteso come vivo.

Il Pericolo dei SogniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora