Tiro fuori il cellulare dalla tasca. Non si è rotto. Guardo l'ora. ho mezz'ora per andare da mia nonna. È certo che non possa arrivarci in questo stato, di sicuro si spaventerebbe a morte. Prendo uno dei fazzoletti che tengo nello zaino e me lo passo sulla guancia. Mi giro. Il ragazzo misterioso è sparito. Mi domando come diavolo abbia fatto ad andarsene senza che me ne accorgessi. Per ora non mi interessa, ho già i miei problemi da risolvere; mi alzo e cerco di capire dove sono finita durante la mia corsa disperata. Ci sono dei palazzi, vecchie fabbriche in disuso, ad alcune mancano parti di muro. Ricordi della terza guerra mondiale che nessuno si è preso la briga di sistemare o demolire. Solo vedendo l'antica zona industriale mi rendo conto di essere arrivata in una parte dell'Urbe che non fa parte dei Vicus. Deve essere la zona in cui vengono mandate le persone che hanno commesso i crimini minori, quelli per cui non serve il confino. Cammino fino alla strada, sterrata, e poi la seguo. L'Urbe è un grosso cerchio e così anche le strade, prima o poi troverò un punto noto, e se anche arrivassi con qualche minuto di ritardo Ginevra non si preoccuperebbe di certo. Non so di preciso cosa cercheremo, non so nemmeno cosa voglio trovare. Vorrei delle risposte, ma davvero non so come la nonna possa avere un libro sui sogni, è una cosa inaudita. Non è una scienziata, e di sicuro i sogni non sono il suo maggiore interesse. Però potrebbe sapere qualcosa che mi aiuterebbe. Forse lei sa cosa hanno detto i medici, quando avevo tre anni, quando hanno scoperto i miei sogni, quando ho capito che erano una cosa di cui avere paura. Lei c'era. Lei sa. O almeno spero che sappia. Forse essere a conoscenza del problema, visto dagli occhi di coloro per i quali è un problema, potrebbe diventare più sopportabile, magari mi darebbe addirittura un maggiore senso di trasgressione, un senso di forza. Mi piace trasgredire, anche se non lo faccio con la libertà di Ginevra. Mi piace pensare di essere più forte e più potente di chi, in realtà, è più forte e più potente di me. Mi torna in mente il ragazzo misterioso. Non so nulla di lui, se non che è scappato, che ha diciassette anni e che gli manca quasi tutta la parte destra del corpo; eppure mi sembra di avere così tanto in comune con lui. Non so perché fosse lì. Non so nemmeno cosa lo abbia spinto a venire da me, ma so che tornerò a cercarlo. So che voglio delle risposte anche su di lui. So che devo sapere più cose possibili su tutto quello che mi circonda se davvero voglio essere più forte e più potente di questa società. Eccomi, finalmente la strada è asfaltata. Guardo i cartelli elettronici per capire dove sono. Caspita! Sono arrivata al limite dell'Urbe, ma per fortuna non sono troppo distante dalla casa in cui ho passato i primi 4 anni della mia vita, prima che la mamma litigasse con la nonna. Prima che il nonno morisse. Prima che mia sorella nascesse e mio fratello sparisse da casa. Una storia travagliata la nostra. Il nonno è morto poco prima che la mamma e la nonna litigassero. Di una malattia incurabile ci hanno detto. Ma io ho una mia idea anche su questo e così come è mia, lo è anche della nonna. Era uno dei più anziani di tutto Omnemundo. Uno dei pochi sopravvissuti alla terza guerra mondiale, al dopoguerra e poi ancora per 40 anni. Lui e la nonna erano tra i pochi ad essere a conoscenza di quanto si stesse meglio prima della creazione di questa lega mondiale. E non si faceva problemi a mettere in mostra le sue opinioni. La nonna è più discreta, per questo è ancora viva. Ma non ha timore a parlare di ciò che pensa in casa, per questo lei e la mamma hanno litigato. Lei pensava che sua figlia non dovesse crescere condizionata dal mondo in cui viveva, ma purtroppo il carattere di mia madre l'ha portata a trovarsi dannatamente bene nel finto benessere di cui godiamo oggi. Eppure pare che solo lei, papà e l'ultima nata lo apprezzino nella nostra famiglia. Dopo il litigio mio fratello Teseo se ne è andato. Non sappiamo dove. So solo che mi avrebbe portato con sé, se solo avesse potuto. La nonna ha sofferto molto della partenza del suo primo nipote, era stato quasi un figlio per i nonni. La mamma lo ha avuto a soli 18 anni e se ne sono presi cura i suoi genitori, come fosse un secondogenito. Inizio a scorgere la villetta della nonna giallo canarino, con il cancello blu cobalto e il giardino curato. Tiro fuori il telefono cellulare e mi stupisco nuovamente che non sia rotto. Non ha nulla fuori posto, il mio contrario. Io sono tutta fuori posto, anche se non più come prima, mi sento ancora piuttosto inadeguata. Guardo l'ora sullo schermo, sono già quasi le 4 e Ginevra dovrebbe arrivare. Non conosco di preciso il mio stato. Non ho idea di come possa apparire, ma non ci metto molto a scoprirlo.
<<Diamine! Sembri una scappata di casa>>
<<Un po' lo sono>>
Ginevra mi guarda e non fa più domande, si avvicina a me, mi scioglie la coda di cavallo che oramai ha perso tutto il suo già scarso ordine e mi pettina nuovamente. Cerca di pulirmi ancora un po' la faccia, deve essere rimasta qualche traccia della mia caduta. Guarda la maglietta. Esasperata. Non ci si può fare proprio nulla, è sporca e lo rimarrà fino a stasera. Suono il campanello e aspetto. Aspettiamo. Qualche minuto. Poi suono di nuovo. Ancora nessuno. Mi spaventa. La nonna è anziana, ma nessun problema di salute. Alzo gli occhi. Le persiane chiuse. È fuori. Diamine. Tiro fuori il telefonino per provare a chiamarla e noto diverse chiamate senza risposta. 39. Tutte dei miei genitori. Devono essersi preoccupati non vedendomi tornare a casa. Devono aver allarmato la nonna. Mi stanno cercando. Guardo Ginevra, le mostro il display. Mi guarda.
<<ti conviene tornare a casa>>
<<mi uccidono>>
<<non sanno nulla>>
<<era in senso retorico>>
<<e allora puoi stare tranquilla>>
Ha ragione. Come sempre. Camminiamo insieme, in silenzio. Non dobbiamo parlare, perché ci sono persone con un legame tale che un silenzio dice più di molte parole. Arriviamo alla stazione, il primo treno che va dalle mie parti passa tra un po'. Venti minuti. Intanto mi converrebbe chiamare a casa, mi stanno cercando da più di due ore. Forse, nonostante tutto, mi vogliono bene e ora stanno morendo di paura. Premo sullo schermo. Parte la chiamata.
<<Ma' sto bene, sto arrivando>>
Metto giù, nemmeno aspetto la risposta. Inizio a frantumarmi di nuovo. Altre piccole certezze svaniscono insieme ai bulloni della mia impalcatura. Inizio a cedere. Ginevra lo sa. Glielo leggo negli occhi. Non vorrebbe lasciarmi sola ma sa che è ciò che vorrei io. Mi bacia in fronte. Soffice. Dolce. Tutto. Poi esce lasciandomi seduta su una panchina in attesa del treno. Lasciandomi sola. Ma un sola che va bene. Che fa bene. Poi nulla. Un vuoto. Un vuoto di una quindicina di minuti, fino a quando non sento il treno che frena e ci salgo. Ci salgo e poi aspetto, aspetto senza pensare, aspetto senza essere. Perché se non si pensa non si può pretendere di essere. "Cogito ergo sum" penso dunque sono... Cartesio. Arrivo alla mia fermata e scendo. Scendo e cammino. Cammino e arrivo davanti a casa. Arrivo davanti a casa e apro la porta. Apro la porta e trambusto. Salgo le scale e mi chiudo in camera. I miei genitori urlano e sbraitano e piangono o è solo un'impressione. Mi stendo sul letto cercando di mantenere la mia integrità ritrovata. Resto così e mi addormento.
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Il Pericolo dei Sogni
ActionNarcissa è una quattordicenne che si trova a vivere in un mondo troppo grande per lei, tanto da sembrarle oppressivo. Con i suoi sogni particolari è consapevole di infrangere le regole di Omnemundo, il suo paese, ma sa anche che non può andare cont...