Mi spingo fuori dal cancello, di fianco a Ginevra, poi lei gira a destra e io resto ferma. In mezzo al marciapiede. In mezzo al viale. Quasi in mezzo al mondo. Mando un messaggio a casa: "oggi non torno". Devo tornare al confine. Devo cercare il ragazzo misterioso, questo oramai è il suo nome per me. Ma non ho idea di dove possa trovarlo. Non so dove sia il confine che ho raggiunto la volta precedente. 14 giorni fa. 39 autobus. Questo lo ricordo bene. Poi un'idea. la casa della nonna. Così come ci sono arrivata una volta dal confine, può essere un punto di partenza per il confine. Inizio a camminare, cercando un mezzo che mi porti nella zona della villetta giallo canarino. Escludo il treno. la stazione in quelle parti non viene più utilizzata. Continuo a camminare, continuo ad essere, pensando. Pensando ad un ragazzo misterioso che ha cambiato il mio modo di vedere la vita. Dentro di me so che quello che provo per lui è un sentimento di bisogno, come se fosse diventato una parte integrante della mia impalcatura. So di avere Ginevra, ma lei è una parte fondamentale, quasi la sola, del mio mondo. Lui no. Lui è me. È in me. Non lo sento come altri ragazzi. Non è un ragazzo. È una persona. Potrebbe essere chiunque. Eppure è lui. Lui. Non voglio più pensare, ora devo agire. Conto i passi. 390. Poi la fermata giusta. Quella che porta praticamente davanti al cancelletto blu cobalto. Aspetto il primo autobus. 39 minuti. Eccolo. È grigio. Come tutti gli autobus. L'autobus grigio, quello del grigio più chiaro. Quel grigio chiaro che se mi dicessero che è bianco quasi ci crederei. Salgo. Non ho voglia di sedermi per cui mi tengo ben stretta ai supporti del mezzo. L'autobus dondola. Sobbalza. Avanza. Uno scossone. Due. Tre. Durante il tragitto conto trentanove scossoni. Oggi ci sono troppi trentanove nella mia vita. Non mi piace questo numero. Unisce il 3 e il 9. La mia data di nascita. Il terzo giorno del nono mese. Non ho mai capito perché la nonna ogni tanto lo chiami settembre. Vedo più coerente novembre. Il nono mese. E invece no. La nonna mi ha spiegato che prima novembre era il nome del nostro undicesimo mese. Era tutto così strano. Il trentanovesimo scossone. Una frenata brusca. La mia fermata. Scendo in fretta. Cammino lungo il ciglio della strada, passando di fianco ai prati disabitati. Già si intravede l'unica villetta della zona. Ci arrivo davanti. Poi adotto lo stesso metodo adottato in passato. Cammino. Seguo la strada. Vedo i cartelli. Quei cartelli luminosi che quattordici mattine fa mi hanno aiutata a ritrovare la via. Poi eccoli. Iniziano a comparire i sassolini sull'asfalto. E la polvere. La strada sterrata. Cammino per un bel pezzo, lungo un arco di cerchio. Se mi vedessero dall'alto sarei un puntino. Un puntino in mezzo all'infinito, come la lancetta di un contachilometri all'interno di una macchina. Come un essere insignificante che può cambiare molte cose. Troppe cose. Intravedo il prato. Le rocce. Il filo spinato. Ricordi strazianti. Ricordi apprezzati. Tutto è silenzioso, ci faccio caso, ora. Presto attenzione al mondo che mi circonda per sentirmi parte di qualcosa, per convincermi di non essere sola in un luogo così desolato. Il ragazzo misterioso non si vede. Non so perché sono tornata qui sperando di incontrarlo di nuovo. Forse anche per lui è stato solo un caso trovarsi qui. No. Non lo è stato. Forse è stato un caso incontrare me. Ma trovarsi in questo luogo no. Soprattutto viste le sue condizioni fisiche. La sua non è stata una passeggiata.
Un fruscio. Una scarica elettrica. Il filo spinato inizia a fremere. I battiti del cuore accelerano. Inizio a guardarmi intorno. Non è una bella zona per sentire rumori come questi. Vuol dire che qualcuno ha appena sfiorato il filo spinato. Vuol dire che qualcuno ha tentato di superare il confine. Inizio ad avere paura. Poi scorgo una sagoma. Tra gli alberi. Una sagoma. Una sagoma agile. Si trova in un punto in cui il filo spinato passa in mezzo agli alberi. Alberi dalla mia parte. Alberi dalla parte opposta. Una copertura ottima per un delinquente che vuole assalire una ragazza poco attenta. Ma io non sono poco attenta. Ho sempre amato osservare e fare attenzione. Un tonfo. La sagoma in terra. Ho l'istinto di avvicinarmi. Mi manca, però, il coraggio di farlo. Intuisco che la sagoma non abbia bisogno del mio aiuto. Si rialza, lentamente. Non ha un braccio, una gamba mal messa. Non riesco a trattenere un sorriso. <<dove hai lasciato la stampella?>> non lo sento, ma scommetto che mi abbia appena mandato al diavolo. Poi mi raggiunge zoppicando. Ad ogni passo si legge sul suo viso una smorfia di dolore. << Fa male?>>
<<un po'. Ma è stato peggio.>>
<< Come hai fatto?>>
Non risponde, si limita ad alzare le spalle. Cerco di coglierlo in un momento di debolezza.
<< Almeno dimmi come ti chiami>>
<< Neanche per sogno>>
<<perché?>>
<< perché no>>
Scoppio a ridere. Non posso impedirmelo.<<Certo che sei proprio misterioso tu>>
<< Non direi, tu sai di me esattamente quanto io so di te>>
<<Se la metti così... beh io mi chiamo Narcissa, Nessy, se ti fa comodo. Ah già e infrango la legge più o meno ogni notte.>>
<<Ribadisco. Sei una sciocca e un'incosciente. Non credo che tu sia così preparata per infrangere la legge.>>
<< È una passione che ho fin dalla nascita.>>
Una passione. È il modo migliore con cui descrivere i miei sogni. Sogni non sogni. Non posso parlargliene. Non posso. Oh sì che posso. Ci ritroviamo seduti nel prato. Sotto il tiepido sole di una giornata di fine settembre. Parliamo. Io racconto. Lui sa molto di me. Io non so nulla di lui. Mi va bene così. So di potermi fidare di lui. So di potergli parlare di me. E lo faccio. Non a cuor leggero, ma lo faccio. Parlo, racconto, dei miei sogni non sogni, dei miei pensieri. Lui ride. Dice che sono pazza. Poi gli racconto che una volta ho sognato che qualcuno mi facesse il solletico. Ridevo. Glielo dico. Non se lo fa ripetere due volte. Inizia a farmi il solletico con il braccio sano. Inizio a ridere a rotolarmi nell'erba con il solo risultato di sporcare la maglia e spettinarmi i capelli. Cerco di resistere, ma mi è impossibile smettere di ridere. Una risata cristallina. Una risata da bambina. Un momento di felicità strappato come una delle poche foglie verdi rimaste sugli alberi. Una felicità che è sopravvissuta nonostante il timore e i problemi di me. Del mio essere. Un essere che ora sono in due a conoscere. Oltre a me. Un essere che ora conoscono in troppi. Anche se non ne sono consapevole. Anche se io continuo a ridere come se fossi l'unica persona felice di questo pianeta. Come se la felicità mi avesse assalita. Costringendomi a trovarla anche in un momento di preoccupazione, grazie ai sentimenti. Grazie a quei sentimenti che sovrastano il dolore. Sentimenti sì, sentimenti senza un nome, sentimenti che aiutano. Sentimenti che sono, senza bisogno di essere spiegati. Come me. Come questo ragazzo. Due persone senza spiegazioni. Solo persone capaci di essere. Solo persone che hanno qualcosa in comune in una trasgressione nascosta, in un segreto che portano dentro. In un sogno che non vedono, ma sentono proprio. Come se la vita fosse troppo reale per permetterlo ma abbastanza surreale per lasciarlo sognare. Perché esiste qualcosa di questo genere. Nulla di materiale solo qualcosa che vive nelle persone, che non le abbandona, qualcosa da cui le persone non possono essere ferite. Qualcosa che solo pochi coraggiosi possono conoscere. Un sogno, una speranza, una voglia. Qualcosa che non delude. Come il ragazzo misterioso, come una risata, non mi hanno mai deluso. Qualcosa che appare quando se ne ha bisogno, come il ragazzo misterioso, come una risata, sono apparsi quando ne avevo bisogno. Una cosa rara, e una cosa scontata. Due opposti che sembrano non avere canoni di paragone e invece sono così simili. Appaiono impossibili. Rendono invincibili.
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Il Pericolo dei Sogni
ActionNarcissa è una quattordicenne che si trova a vivere in un mondo troppo grande per lei, tanto da sembrarle oppressivo. Con i suoi sogni particolari è consapevole di infrangere le regole di Omnemundo, il suo paese, ma sa anche che non può andare cont...