Capitolo Sei

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Sono passati giorni, un paio, forse, non hai neanche tenuto tanto bene il conto. Tra l'altro non sai neanche quale giorno della settimana esattamente sia.
Ah, beh, non che tu abbia impegni nell'immediato futuro. Probabilmente non avrai impegni per i successivi cinquant'anni.
Sei seduto sulla tua poltrona, in salotto, e sei fermo lì da... forse un'ora, un'ora e mezza.
A pensarci, è snervante questo non rendersi pienamente conto del tempo che passa. E dire che sei stato ore a fissare un orologio a muro. Probabilmente la tua mente è talmente stanca di scandire in monotoni ticchettii il giorno che passa, che ora quasi si rifiuta di considerare il tempo come qualcosa di importante.
Meglio. Come già detto, avrai anni e anni da passare – presumibilmente... o quasi sicuramente – in quello stato, quindi meglio mettersi l'anima in pace e rassegnarsi ad una lenta, monotona, noiosa, prevedibile, ferma attesa.
Rassegnato. Solo ora ti rendi conto della parola che hai usato, ed ora quella riecheggia nella tua testa più volte. Ti sei rassegnato?
Domanda interessante.
Sei venuto più volte a conoscenza, tramite giornali o futili chiacchiericci, di persone che, tramite la sola forza di volontà, a volte, hanno fatto l'impossibile, riuscendo lì dove professionisti e fior fiore di esperti si erano fermati.
Zuccherosi eventi da cui si potrebbero trarre storie da telenovela che il Vecchio si premunirebbe di seguire assiduamente.
Forse, se anche tu ti impegnassi come quelle persone – Babbani? Maghi? – la tua situazione cambierebbe.
Ah. Ti viene quasi da ridere. Ti ci vedi, a fissare la tua gamba mormorando un continuo 'Muoviti, muoviti, muoviti' con tutta la forza di volontà del mondo, come se quella potesse ascoltarti e fare come gli comandi. Probabilmente, invece, finiresti col gettarci sopra il malocchio, altroché.
Le storie lacrimevoli a lieto fine ti nauseano, specie se devono per forza riguardare te, dato che i lieti fini non ti sono congeniali; anche se si potrebbe certo dire che se tu a non essere congeniale a loro.
Varrebbe, allora, combattere con così tanta forza di volontà per una fine che sarebbe meno triste di quella che ti attende, ma di sicuro non lieta?
Non ne sei tanto sicuro. Oh, a dire il vero ne sei sicuro, invece. E la risposta non è affermativa.
Sbuffi, seduto in poltrona, e in quel momento ti chiedi cosa diamine O'Dampand stia facendo al piano superiore.
Scuoti il capo dicendoti che non ti interessa, l'importante è che non combini danni, e nel caso in cui ti sorga li dubbio, guardandola, che qualche danno lei l'abbia causato, potresti sempre entrarle nella mente senza troppi complimenti, qualora le tue forze te lo consentano.
D'altronde effettuare un Legilimens – cosa comunque possibile anche senza bacchetta – sarebbe solo una delle cose meno deplorevoli che hai fatto, e qualora qualcuno voglia rinfacciarti qualche tuo comportamento, di sicuro non userebbe questo determinato atto come esempio. Avrebbe un'altra innumerevole serie di eventi a cui poter attingere, e di sicuro più compromettenti di una banale intrusione mentale.
Scuoti la testa e ti concentri, per almeno provare a pensare ad altro, magari a qualcosa di meno... deprimente, anche se non ti puoi assicurare nulla.
Affascinanti, le promesse fatte a te stesso e che rischiano comunque di venir infrante.
Abbassi lo sguardo sulle tue gambe, sulle quali è poggiato il libro che stavi leggendo un momento prima. Ti duole un po' il collo per il fatto che devi stare chinato con la testa in avanti, costantemente, per poter leggere. In realtà, potresti tenere il libro alzato con una mano, per poi poggiarlo sulle gambe quando dovresti voltare pagina.
Quale maledizione, essere in grado di leggere con tale velocità.
In questo modo dovresti alzare e abbassare il libro così tante volte in così poco tempo da farti venire la nausea, quindi hai presupposto che sarebbe stato più conveniente tenere il libro sulle gambe e basta. Eppure non puoi negare che dopo un po', quando alzi il la testa, ti sembra che qualcuno vi abbia poggiato sopra una montagna.
Mentre volti pagina senti i passi di O'Dampand sulle scale, e alzi appena gli occhi, sempre a capo chino, per guardare la sua espressione, come poco prima ti sei appunto prefissato di fare, per decidere se effettuare o no un Legilimens.
Sembra tranquilla, invece, cosa che dovrebbe andare a suo favore. Ma non fidi mai dell'espressione della gente. Di quelle innocenti, più che altro, perché, se invece avesse un'espressione contrita e preoccupata, non dubiteresti un secondo di più che non sia finzione.
Oh, pazienza.
"Cos'ha fatto al piano di sopra?" Le chiedi, allora, distogliendo l'attenzione dal tuo libro. Tanto è da un po' che hai comunque smesso di leggerlo.
Lei si volta verso di te senza smettere di camminare verso l'appendiabiti, e ci mette qualche secondo prima di far uscire una risposta dalla sua bocca.
Senso di colpevolezza? Voler prendere tempo per inventare una storiella da propinarti?
Ma più semplicemente, forse, è sorpresa che sia tu ad iniziare una conversazione, per una volta – se conversazione può chiamarsi, certo, invece di 'accertarsi che casa tua non esploda'.
"Stavo sistemando la camera." Ti risponde, allora, finalmente.
"Ancora?"
Lei si stringe nelle spalle e arriva all'attaccapanni, al quale, oltre che un suo giacchetto, lei ci ha bellamente attaccato anche la sua borsa. Tu la guardi sospettoso, ma a pensarci lucidamente, forse, non avresti motivo di temere nulla. È una guaritrice, non una piromane con l'hobby degli esperimenti.
Per quanto ne sai al momento, certo.
E non ti piace la sua borsa sul tuo attaccapanni, in ogni caso. Chiunque entri in casa tua vedrebbe quell'attaccapanni come prima cosa, e noterebbe nient'altro che il tuo giacchetto, il suo, e poi anche la sua borsa. Come se davvero doveste condividere lo stesso tetto da eguali. Un'ospite metterebbe la propria borsa accanto alle valigie, senza rischiare di invadere lo spazio personale altrui con i propri oggetti, oltre che già con la propria costante presenza.
Ovvio che sai che voi due state effettivamente condividendo le stesse stanze e lo stesso pavimento, non solo il tetto. Ma lei non è una tua ospite, è un'intrusa. Ti starà pure... aiutando, dal suo punto di vista, ma di sicuro tu non hai fatto una richiesta scritta, non le hai mandato nessun invito. Come al solito sono stati gli altri a decidere per te.
Quindi no, non la vuoi la sua borsa sul tuo attaccapanni, vuoi le sue cose il più lontano possibile dai tuoi occhi.
E gliel'hai detto, un paio di giorni prima. Ma ovviamente lei non ti ha ascoltato. È testarda, ostinata, oh, se lo è. E ti ha rifilato una risposta logica e secondo il ben pensare comune. Tu te ne sei sempre infischiato, ma per lei il discorso sembrava chiuso, così non hai replicato; ovviamente non è detto che non tenterai di nuovo. D'altronde è casa tua, non un albergo.
Anzi, persino in un albergo uno si terrebbe tutte le proprie cose vicine, come se un pazzo potesse sfilargliele via da sotto al naso da un momento all'altro.
Salazar, sembri una vecchia bisbetica.
In ogni caso, lasci perdere O'Dampand, la sua borsa, il tetto, l'attaccapanni, pure la rassegnazione, e torni al tuo libro, finendo di estraniarti – almeno per un lasso di tempo di qualche altro minuto – dal resto del mondo.
Stai leggendo 'Contro-veleni asiatici'; non che tu abbia intenzione di andartene in Asia – non ne hai mai sentito il bisogno neanche prima – ma è un libro che hai letto tempo prima e parecchio di sfuggita. Ora hai l'occasione di rileggerti tutto quello di cui hai anche solo lontanamente voglia.
Particolarmente interessante, poi, è la storia di quel fungo che sprigiona un vapore velenoso, dato che i funghi in media non hanno tali capacità. Anzi, sei sicuro che tale particolarità non la abbiano affatto.
Ti accorgi che O'Dampand si è seduta sul divano, con in mano una rivista, ma non alzi gli occhi per guardarla.
Riviste. Beh, scontato, per una donna, e l'ha pure – andando per logica – appena tirata fuori dalla propria borsa, ergo se la porta pure in giro. Oh, dovesse mai rubargliela qualcuno, in camera, o dovesse mai succedere che l'ultima moda in fatto di maniche o colletti diventi di vitale importanza mentre sta camminando per strada.
Sbuffi tra te e te. Ma di che ti sorprendi? Sei circondato da incompetenti – anche da professori e medici, lo sai, ma nella tua testa sono comunque degli incompetenti – quindi avresti dovuto arrivarci da te.
"Qualcosa non va?" Ti senti chiedere proprio in quel momento, e allora sei costretto ad alzarli, gli occhi.
Estraniamento dal mondo terminato, come previsto.
"No, nulla."
"Che sta leggendo?"
Il fatto che tu l'abbia guardata presuppone la tua inclinazione ad affrontare una nuova, banale, stupida conversazione? Ma quand'è che avrebbe imparato?
"Un saggio su veleni e contro-veleni asiatici." Rispondi, e potresti tornare a leggere, a quel punto, solo che ti nasce spontaneo un certo sorrisetto sulle labbra "E lei, invece?"
Oh, ti sarebbe piaciuto vedere la sua faccia mentre ti dice di star guardando fotografie di modelle in abiti da sera, mentre tu le hai appena riferito di star praticamente studiando.
Lei, in ogni caso, volta quella sua rivista verso di te in modo da potertene far vedere il contenuto, e come sospettavi, sopra non ci sono altro che disegni. Disegni, fotografie, qual è la differenza?
"Rebus." Ti risponde, poi, lei.
Mmh. Adesso ti senti preso in contropiede, e il sorrisetto sulle labbra si affievolisce decisamente.
"Ah." Ti limiti a dire "Beh, buon lavoro."
Tanto avrai sicuramente altre occasioni per sottolineare un suo errore o un suo comportamento più o meno stupido.
Torni ai tuoi veleni e contro-veleni – sebbene ti interessino molto di più i primi – ma non fai in tempo a voltare un paio di pagine, per riprendere il segno, che il libro di cade per terra sbattendoti pesantemente sul piede. Pazienza, non hai sentito comunque niente. Sbuffi nuovamente, allora, stavolta non molto solo 'tra te e te', e ti allunghi per recuperare il libro. Riesci a sfiorarlo con la punta delle dita, quindi ti abbassi giusto un altro po', quel tanto che basta per afferrare l'angolo della copertina rigida tra la punta dell'indice e del dito medio.
Ce l'hai quasi fatta, però, che il libro ti viene sottratto letteralmente da sotto la mano e da sotto gli occhi, e, un momento dopo, O'Dampand te lo sta porgendo. E sorride, lei.
"Tenga." Ti dice.
Tu glielo strappi dalle mani e la guardi con uno sguardo che pensi esprima furia. E tu vuoi che la esprima.
"Le ho chiesto per caso di raccoglierlo?" Le sibili, e, probabilmente, se tu avessi urlato saresti sembrato anche meno minaccioso.
Lei di tutta risposta ti guarda smarrita, giusto per un momento. Solo un lampo negli occhi, ma tu lo vedi.
"Mi è sembrato in leggera... difficoltà." Ti risponde "Mi scusi se ho evitato che le si accartocciasse la spina dorsale."
"No, non è scusata."
"Bene." Fa allora andandosi a risedere sul divano con la sua rivista di rebus in mano "La prossima volta le lascerò rischiare di rotolare sul pavimento."
"Oh, immagino al San Mungo abbiano qualcosa da ridire, a riguardo, e non sia mai che io voglia fare rapporto, uno di questi giorni."
"Lei continua a rigirarsi questa storia del San Mungo come e quando le pare."
"Una delle cose che mi riesce meglio. Grazie, O'Dampand, lo prendo come un complimento." Concludi ghignando, mentre lei alza gli occhi al cielo.
Lei torna a leggere, e dalla sua espressione concentrata supponi che la conversazione sia finita lì. Anche stavolta ti seri sbagliato, per quanto ti sia difficile ammetterlo.
"E comunque anch'io potrei minacciarla in quel modo, sa?" Ti dice infatti lei giusto qualche momento dopo.
"A cosa allude?" Le rispondi stancamente.
Ma perché ti eri dovuto mettere a parlare?
"Di riferire tutto al San Mungo, intendevo."
La guardi nuovamente, a quel punto.
"Tutto? Quei rebus le stanno dando alla testa, evidentemente. Cosa concerne questo 'tutto'? Il mio lasciarla in pace praticamente in maniera incessante? Il mio più che ammissibile discutere su taluni comportamenti che è meglio che siano adottati per una almeno pacifica convivenza? Mi illumini, O'Dampand. O forse dovrà lamentarsi del mio rispondere pedante? Oh, immagino che ai suoi superiori importi davvero molto di tutto questo."
Di tutta risposta lei chiude la rivista e... beh, in pratica ti fa un grande sorriso.
"Sa che penso proprio che questa sia la frase più lunga che lei mi abbia mai detto?" Dice "Allora le minacce funzionano!"
Borbotti. "Minacce comunque stupide."
"Anche le sue a dire il vero non avevano fondamenta molto solide."
"E per quale motivo?"
Lei si fa giusto un pochino più pensierosa. Vuoi proprio vedere che razza di motivazione possa tirar fuori alle sue affermazioni.
Il suo sorriso non svanisce comunque, dopo che ha, senza alcun dubbio, formulato una qualche sottospecie di ennesima risposta. Immagini che i tuoi contro-veleni si rassegnino al fatto che probabilmente non verranno esaminati nel brevissimo futuro.
"Daranno retta a me piuttosto che ad un paziente brontolone."
E il suo sorriso addirittura aumenta, contagiando anche gli occhi, verdi, ma decisamente più chiari di quanto altrimenti non sopporteresti che lei abbia. Lei, magari, crede anche di aver fatto la simpatica, ma con te non attacca per niente, un simile stratagemma tanto stolto.
Ovviamente non ricambi il sorriso, bensì riduci gli occhi a due fessure per guardarla male. Anzi, peggio. E così chiudi il libro facendo pressione sul braccio sinistro contro il bracciolo per poterti alzare un po'. O'Dampand scatta in piedi per aiutarti in qualsiasi cosa lei pensi tu voglia fare, ma con un'altra occhiataccia la inchiodi praticamente al suo posto.
"Faccio. Da. Solo." Le dici, e lei pare veramente incerta sul da farsi.
Ah, allora forse non è così spavalda come sembra, e forse le tue espressioni non si sono tanto affievolite da lasciare gli altri indifferenti. La gente del San Mungo non ne è completamente immune, dunque.
Dato che lei, comunque, ancora non si muove allora provvedi veramente tu a fare tutto da solo, prima che il suo istinto da crocerossina si risvegli.
Non molti minuti dopo – ti sei velocizzato, negli ultimi giorni – sei in camera, seduto sulla sedia imbottita che hai fatto portare da O'Dampand appositamente accanto al letto.
E ricominci a leggere. Finalmente.
O'Dampand non sale al piano di sopra, rimanendo in salotto – od ovunque si sia rintanata – senza venire a vedere se sei sano e salvo. Ah, beh, come se ti debba importare.
Sei da solo, finalmente, e finalmente hai potuto riprendere a leggere in santa pace, senza doverti costantemente sentire addosso lo sguardo di qualcun altro. Non che O'Dampand stia tutto il tempo a fissarti, certo – la cosa risulterebbe inequivocabilmente inquietante – ma almeno... ecco, sei da solo e basta, cosa che preferisci rispetto a tutto il resto. Ti sei abituato a renderlo il tuo atteggiamento preferito e più consueto.
Poi, il campanello, che ti interrompe dalla lettura. Finirai per non capirci più nulla, se vieni continuamente interrotto, costringendoti a ricominciare il paragrafo da capo ogni volta; perché è ovvio che non verrai distratto per giusto qualche secondo, hanno suonato alla porta, è priorità che tu rimanga in ascolto.
Difatti ti accorgi, così, che O'Dampand ha presumibilmente fatto entrare in casa il visitatore, oppure che questi se ne sia andato, dato che il campanello ha smesso di suonare già da un po'. Speri vivamente che si tratti di questa seconda opzione, visto come è finita la prima e unica volta – finora – che O'Dampand si è presa la libertà di aprire la porta a qualcuno.
In ogni caso, senti dei passi proprio in salotto, a quel punto, e poi su per le scale e lungo il corridoio, fino a fermarsi dietro alla tua porta. Ah, perlomeno lei è venuta ad avvisarti di quanto appena successo al piano di sotto. Qualsiasi cosa sia successo. È il minimo.
Eppure non entra, e tu sai che i passi si sono fermati proprio lì, dietro la porta; non te li sei mica immaginati.
"O'Dampand, che starebbe aspettando, che le venga ad aprire?" Alzi appena la voce, nel parlare, dato che lei deve sentirti al di là dello spessore del legno "Sappia che non lo farei neanche in altri frangenti, se almeno non si degna di bussare."
Al che lei effettivamente bussa, e la cosa ti lascia leggermente allibito. Ma che... Ti sta prendendo in giro, per caso?
"Avanti, per la miseria." Le intimi a quel punto, irritato, con un tono che già sai manterrai durante tutta la successiva conversazione.
L'ennesima conversazione, tra l'altro, come se quelle affrontate non siano già state abbastanza per tutti, dato come si sono tutte 'felicemente' concluse.
La porta si apre, allora, e tu hai già pronto l'ennesimo, spontaneo commento acido, sulle labbra, da lanciarle non appena il suo viso sarà visibile almeno per metà, ma, quando la porta si apre un po' di più, quello ti muore letteralmente in gola.
Non c'è O'Dampand alla porta, nessuna testa bionda.
Però ci sono lo stesso due occhi verdi, di un verde più intenso, più brillante di quello di lei, che, invece, è così spento.
Il problema è che questi occhi si trovano dietro le lenti di un paio di occhiali tondi.
Harry Potter. Che diamine ci fa Harry Potter in casa tua? No, in camera tua? Perché vedi la sua solita incolta zazzera di capelli neri e i suoi occhi che ti fissano, lì, insieme a tutto il resto del corpo, sulla soglia della. Tua. Camera?
"Potter." È tutto ciò che ti viene in mente di dire.
Che cosa stupida.
"Professore." È tutto ciò che dice lui, persino con l'incertezza nella voce.
Che cosa ancora più stupida.
Ah, O'Dampand te l'avrebbe pagata, non c'erano dubbi, a riguardo.
"Non sono più un tuo professore, mi pare, Potter." Rispondi, allora, stavolta con la tua più consueta verve "In più mi pare che l'ora del tè sia passata, e – ah, tu non sei neanche stato invitato."
Potter fa proprio per parlare, ma tu lo precedi.
"Ergo te lo dirò solo una volta e in maniera gentile: vattene."
"Questo è il suo modo gentile?" Fa allora lui, e nel mentre entra nella tua camera e chiude la porta, appoggiandosi poi con le spalle contro di essa.
"Ringrazia allora che non abbia qui con me la mia bacchetta, altrimenti la mia... gentilezza si esprimerebbe in ben altri termini." Fai una leggera pausa "E, poi, mi pare di averti chiesto qualcosa."
"Sì, lo so, professore."
"Sei ancora qui." Spieghi, sorvolando sul suo averti chiamato nuovamente professore.
Lui, dal canto suo, nonostante abbia appena detto di essere ancora in possesso della facoltà di intendere, fa dei passi in avanti, invece di fare dietrofront il più velocemente possibile.
E, intanto, lui si avvicina.
"Già, sono ancora qui."
Potresti domandargli che diamine voglia, ma non sei così idiota da chiederlo veramente in maniera così esplicita; perché tanto lo sai cosa vuole, non devi neanche sbilanciarti così tanto.
Parlare, parlare, parlare. Vuole le sue spiegazioni, Potter. Ah, quale stimolante dibattito ne verrebbe fuori.
«Perché non mi ha mai detto niente? Perché sei un ragazzino, Potter, non metto la mia vita nelle mani di un ragazzino.
Silente di me si fidava. Silente non è mica Dio.
Perché non mi ha mai detto che era amico di mia madre? A informazione ricevuta non sarebbe cambiato niente.
Quindi era per questo che odiava mio padre... Io odio tuo padre anche adesso, ma non vedo perché ciò debba avere qualche rilevanza ai fini della guerra.
Sarebbe stato più semplice, se lei me ne avesse parlato, se mi avesse spiegato tutto sin da prima. Sarebbe stato più semplice per me, ma anche per lei. Ti rimando alla mia prima risposta, Potter. »
Hai sviluppato un facsimile di conversazione nella tua testa, mentre il vero Potter, quello lì di fronte a te, rimane a fissarti senza dire niente. Che scena commovente.
"Ti ho detto di andar via, Potter. Credo tu capisca le mie parole, nonostante non sia mai stato una mente particolarmente brillante, dico bene?"
"Sì... Sì, ho capito che vuole che vada, ma--"
"Io parlavo del fatto che non sei una mente brillante."
Ghigni. Anche se probabilmente non dovresti mostrare tutto questo entusiasmo, specie se l'unica cosa che vuoi che faccia è che si volti e sparisca. Ecco, magari potrebbe smaterializzarsi, farebbe prima, e per una vola glielo concederesti, anche.
E sì, quello lì era quasi entusiasmo.
Ovviamente lui lo intuisce, cosa vuoi, ma non sia mai che Harry Potter ti soddisfi in qualche modo.
"Io credo... che sia meglio parlare, professore, invece." Ti dice lui, cocciuto.
È una delle sue caratteristiche principali, sicuramente.
"Non abbiamo niente da dirci." Rispondi, allora, risoluto, anche più di prima, solo che lui non pare neanche essersene accorto, dato che continua a parlare come se nulla fosse.
Ecco, è diventato pure sordo nel giro di due secondi.
"Al San Mungo non sono neanche riuscito ad averne l'occasione."
"Mmh. Sì, mi hanno riferito del fatto che sei stato tanto... gentile da venire a trovare il malato."
"Beh, ecco... Sì, in effetti mi hanno messo un po' al corrente della sua situazione."
Avresti dovuto usare altre parole, sì.
"La mancanza di riservatezza di quello che dovrebbe essere uno dei migliori ospedali magici mi nausea. Danno informazioni a chicchessia. Neanche tu fossi un mio parente."
"Beh, non sono un suo parente, certo, ma..."
"Oh, risparmiami la tua autocelebrazione, Potter, potrebbe accelerare la mia dipartita, e magari anche la tua."
Per riflesso lui fa una pausa, prima di ribattere. Ancora.
"Oh, lei è prevenuto, non vale. Ma in ogni caso, a proposito di parenti..."
"Non c'è nulla da dire." Lo interrompi nuovamente, con tono lugubre, stavolta "E sappi che, in ogni caso, la mia irritazione aveva raggiunto l'apice sin dal tuo buongiorno."
Potter guarda da un'altra parte, fuori dalla finestra, dalla quale si intravede la luce di un lampione, che si è presumibilmente appena accesa.
"Sono venuto fin qua." Riprende allora lui "A parlare con lei. Quand'è che ad Hogwarts sarei venuto mai a cercarla?"
"Forse è l'unico dei tuoi atteggiamenti che ora rimpiango."
Lui, ovviamente, da... bravo Potter, rimane ancorato al proprio discorso e va avanti, a lingua sciolta.
Un incantesimo Languelingua avrebbe la sua utilità, in questo momento.
"Io, invece, me ne rammarico, avrei potuto conoscerla di più, conoscerla meglio."
"A che pro? Nessuno dei due ne ha mai avuta voglia, le cose non cambieranno di certo ora."
"Si può sempre cambiare, lei l'ha dimostrato."
"Fuori di qui!"
Urli, adesso. Ne hai decisamente avuto abbastanza.
Solo che stavolta non ti ritrovi davanti Albus e la sua snervante compostezza, il suo rispondere docile – ma affilato – anche agli insulti.
"Ma lei conosceva mia madre! Avrebbe dovuto dirmelo!" Alza la voce anche Potter, come avresti dovuto prevedere.
"Tante persone conoscevano tua madre, un resoconto in più non cambia niente."
"Lei l'amava."
Questo è troppo.
"Ti ho già detto troppe volte di uscire da casa mia, Potter! Non ho null'altro da riferirti, se non la mia volontà di non voler rivedere più la tua faccia! E ora fuori!"
E la volontà di non voler rivedere più i suoi occhi.
"Perché mi avrebbe lasciato tutti quei ricordi, allora? Perché? Lei voleva dirmelo, voleva che io sapessi!"
"Se ti avessi mostrato solo quello che Silente mi aveva rivelato, avresti pensato che io fossi stato talmente abile da modificare la mia memoria per mandarti tra le braccia del Signore Oscuro e fargli vincere la guerra!"
"Nessuno può modificare un ricordo talmente bene da farlo passare come autentico!"
"Io sì. Anzi, chi ti dice che io non l'abbia proprio fatto, eh?"
Oh, bugia. Palese bugia, enorme bugia. Ma se puoi mettere un dubbio nella mente di Potter per poter farlo desistere, per poterlo convincere che non hai nulla da dirgli – perché non hai effettivamente nulla da dirgli – meglio così.
E in tutto ciò, quasi di colpo, lui pare calmarsi.
Tu hai ancora un Ungaro Spinato che ti si rivolta dentro, invece. Ce l'hai sempre, certo, ma adesso sputa proprio fuoco.
"Ma non è vero." Dice, come se pronunciando quelle parole tutte le argomentazioni possibili con cui ribattere debbano svanire "Eravate migliori amici. E lei, professore, amava mia madre."
Come se ci fosse bisogno di ribadirlo.
"Ma tu non sei mio figlio." Per fortuna, grazie a Salazar "Quindi non ti devo nulla."
E la sua risposta gliela leggi in faccia, e quasi già senti la sua voce pronunciare quelle ovvie parole: 'Le ho salvato la vita.'
A quel punto potresti rispondergli con candore che Potter avrebbe potuto risparmiarsi quel superfluo atto di eroismo, nessuno se ne sarebbe risentito, neanche tu.
Ma Potter, invece, non apre bocca, e di nuovo guarda fuori dalla finestra. In pochi minuti il cielo si è fatto più scuro. Quelle parole non le pronuncia; oh, vorrebbe, lo sai, ma per qualche ragione non escono dalle sue labbra. A dire il vero non emette proprio nessun altro suono, per qualche secondo.
E dopodiché si volta; va alla porta, la apre, e capisci che sta proprio per andarsene, adesso.
"Arrivederci." Ti dice voltandosi giusto il tempo di formulare quell'unica parola, e poi esce, richiudendo la porta dietro di sé.
Senti i suoi passi lungo il corridoio, lenti all'inizio, poi un po' più svelti, e, giunti alle scale, hanno già assunto decisamente più velocità.
Chi voleva prendere in giro? Neanche lui non vedeva l'ora di andarsene.
... Come poi abbia avuto l'indirizzo di casa tua, questo sarebbe stato interessante da scoprire.
"Addio, insulso di un Potter." Mormori infine tu, diretto alla porta chiusa, e solo a quel punto sai che la conversazione è davvero conclusa.
In un modo o nell'altro, hai avuto comunque l'ultima parola, seppur taciuta davanti a lui.
Solo dopo un paio di minuti ti rendi conto di star quasi cercando di stritolare la copertina del libro che ancora hai sulle gambe.
Ora il tempo lo avverti di nuovo, ogni tuo respiro o pulsazione è un secondo che passa, lo senti quasi nelle tue stesse vene.
Ed ora sei tu a guardare fuori dalla finestra, sparito dal tuo viso ogni segno di furia. Hai capito che non ti conviene mantenere un'arrabbiatura troppo a lungo, ti fa tendere e irrigidire i muscoli, e al tuo corpo questo non piace; posticipi queste sensazioni all'arrabbiatura successiva, sperando che, nel lasso di tempo intercorrente tra le due, possa giungere almeno un lieve rilassamento.
Anche se, a pensarci, il fatto che ti arrabbi con estrema frequenza è decisamente un punto a tuo sfavore. Fai così passare qualche altro minuto, prima di prepararti a litigare di nuovo.
Nel frattempo, un piccione si posa sul davanzale della finestra. Strano, di sera di solito spariscono praticamente da ogni strada della città. Buffo. Come se avessero lavorato dalla mattina alla sera, invece che girovagare senza sosta muovendo il collo avanti e indietro, beccando briciole, e ogni tanto gonfiando le piume del petto per far colpo su qualche femmina della stessa specie.
Un angolo delle labbra ti si incurva all'insù quasi spontaneamente, per un momento. Allora gli uomini – certi uomini, almeno – non sono così dissimili dai piccioni.
Quello appollaiato sul tuo davanzale si gira quasi a voler esaminare l'interno della stanza, e tu lo guardi di rimando; quello becca sul vetro e poi vola via, sparendo chissà dove; nel suo nido, con molta probabilità, magari sul cornicione di un palazzo o su una grondaia.
Speri non sopra casa tua.
Chissà se i piccioni o gli uccelli in generale rischiano di cadere giù quando camminano sul limite del baratro, o se invece hanno in loro un senso innato dell'equilibrio
Tu cadresti anche se fossi un piccione.
... Oh, ma per favore, ti sei messo a pensare agli uccelli, che stupidaggine.
"O'Dampand!" Tuoni, allora, ad alta voce, per far sì che la diretta interessata ti senta ovunque si trovi in quel momento.
Dai passi affrettati che senti un attimo dopo, capisci che quella chiamata lei la stava proprio aspettando. Forsa ha capito quanto il suo comportamento sia stato idiota.
La porta si apre ed ecco sbucare lei. Che espressione innocente, che ha.
Già ti irrita.
"Mi dica, signor Piton, è successo qualcosa?" Chiede candidamente.
Ecco fatto, la quiete dopo la tempesta è già finita, e il mare si agita di nuovo.
"Lei si reputa una persona intelligente?" Le chiedi invece tu, con finta calma, sebbene la tensione delle tue mascelle potrebbe benissimo tradirti.
Lei sbatte per un paio di volte le palpebre. "Come?"
"Risponda, nessuno la mangerà."
Per ora.
"Beh, uhm, diciamo che nella media..."
"Oh, per Salazar, mi eviti la finta modestia."
O'Dampand sbuffa.
"Va bene, sì, secondo me sono una persona piuttosto intelligente."
"Ha detto bene: secondo lei." Non le dai però il tempo di rispondere, e continui "E mi dica, è anche dotata di una memoria mediamente decente?"
A questo punto la sua espressione inizia a farsi leggermente sospettosa, osservi.
"Sì..."
"Bene." Una pausa, prima di assottigliare lo sguardo ed alzare la voce "Che cos'è, allora, che non va nella sua testa, da indurla comportarsi completamente nel modo opposto a quello richiesto? A questo punto non mi stupirei di trovare ben più di una falla, nelle sue precedenti risposte!"
Lei ti guarda nuovamente sbattendo le palpebre un paio di volte, con espressione confusa. Speri abbia capito, perché non ti va di prodigarti in spiegazioni varie, vuoi rimproverarla e basta. Perché se lo merita. Perché ti ha assicurato che avrebbe agito in un determinato modo e invece non l'ha fatto.
"A cosa... A cosa si riferisce, di preciso?" Chiede allora lei.
Non si scompone più di tanto, ma la cosa irrita ancora di più te stesso, dato che ti sta proprio chiedendo quella spiegazione che tu non hai affatto voglia di darle. Evidentemente non ci arriva. Ergo, sì, ci sono delle falle nelle sue precedenti risposte.
"Quando lei ha fatto deliberatamente entrare in casa quei miei cari amici che altresì non erano che giornalisti, dopo averli cacciati cosa le ho chiesto?"
"Di – ehm... non fare entrare più nessuno."
"Precisamente."
E a quel punto si nota, dalla sua nuova espressione, non più confusa, che ha finalmente capito. Era ora.
"Oh, andiamo, signor Piton." Dice poi, invece "Non era un giornalista come è successo l'altra volta, era Harry Potter. Capirà che c'è un po' di differenza tra le due cose."
"L'unica differenza, per me, è che i primi non li avevo mai visti in vita mia, il secondo invece sì. Punto. Lei, O'Dampand, ha palesemente ignorato una mia richiesta."
Un mio ordine, più che altro, ma non lo dici.
"Ma era Harry Potter! E' arrivato, mi ha chiesto di lei, cosa dovevo fare, chiudergli la porta in faccia!"
"Sì! Può anche presentarsi il Ministro in persona, non mi interessa!"
Lei apre la bocca per ribattere per l'ennesima volta, come fa sempre, e non dovresti più neanche esserne sorpreso, ma poi, invece, la richiude. E la sua espressione si fa prima pensierosa e poi più buia.
"Perché ce l'ha tanto con quel ragazzo?"
"Inutile dire che non sono affari che la riguardano. Lei faccia quello che le viene richiesto e basta."
"Non sono la sua cameriera, sono una guaritrice, se vuole che faccia una cosa mi dica perché."
"Questa è casa mia, decido io che cosa far entrare e cosa no."
I lineamenti del suo viso cambiano di nuovo. Sembra come se nella sua testa stia vorticando un tornado di pensieri; un 'Legilimens' è piuttosto invitante, al momento. Vedi che pensa, vedi che lo fa velocemente, in un secondo; vedi la piega delle sue labbra cambiare, quella tra le sue sopracciglia pronunciarsi. È palese che quel che vuole dire non ti piacerà.
E comunque quello che dice lei non ti piace mai.
E invece, mentre aspetti un altro battibecco inutile e patetico che si risolverà in un'ascendente serie di commenti pungenti, la sua risposta non rispecchia affatto quel che sicuramente sta pensando. Le si legge in viso.
"Come vuole. Ha ragione, non posso far entrare chiunque in casa sua. Evidentemente Harry Potter per lei non è differente da qualsiasi ragazzo che bazzica qua intorno. Ho capito."
E detto ciò se ne va, chiudendo poi la porta della tua camera con forse un po' troppa forza.
I suoi passi se ne vanno velocemente così come erano arrivati, ma stavolta non ti senti come con Potter. Con lui hai prevalso tu, l'hai cacciato, lui ha eseguito, e non avete parlato. Con O'Dampand dovresti aver prevalso alla stessa maniera, l'hai rimproverata e lei ha detto che farà quello che vuoi. Però la sensazione di non essere riuscito a prevalere, con lei, non ti abbandona.
Ed è strano.
Apri il tuo libro, allora, sfogliando le pagine per raggiungere il punto fino al quale eri precedentemente arrivato, e, quando lo trovi, torni indietro fino all'inizio del paragrafo corrispondente. Fortunatamente devi tornare indietro solo di una pagina e mezza.
Ti concentri, di nuovo, provando a cancellare dalla tua mente tutto ciò che ti circonda, e concentrandoti solo ed esclusivamente sulle parole che hai davanti agli occhi. Le leggi imprimendo il loro significato nella tua testa, come un timbro. In questo modo, pensando soltanto a quanto leggi e senza lasciarti influenzare da tutto il resto, è molto più semplice e veloce imparare le nozioni fondamentali di un testo. Facendo diversamente, dovresti rileggerti tutto almeno tre volte.
Stai studiando le caratteristiche del Samuj, adesso, un animaletto che si trova in svariate zone dell'Estremo Oriente, ma che è concentrato specialmente nella parte est della Cina. La caratteristica del Samuj è che, essendo simile ad un bruco, o ad un verme, a seconda dell'habitat naturale, viene attaccato spesso e volentieri da animali più grossi; proprio per questo usa come arma di difesa una tossina contenuta nella sua saliva, che sputa contro il nemico di turno. Non è un veleno letale, serve ad irritare l'aggressore con un bruciore momentaneo per poter avere il tempo necessario per scappare. Il problema è che se viene ingerito o se finisce negli occhi, potrebbe causare qualche danno un po' più grave.
Non hai idea di quale incommensurabile imbecille possa anche solo pensare di ingerire della saliva di Samuj, ma tant'è.
Nel paragrafo successivo l'autore del libro spiega che i Samuj sono una delle cibarie preferite dei Kappa, immuni al loro veleno, difatti anche loro sono originari dell'Oriente, in particolare della Mongolia.
Ecco, non come affermava quel finto modesto di Lupin, che invece diceva che i Kappa sono più diffusi in Giappone. Già, Lupin. Ne è passato di tempo, da quel giorno.
Ti esce un sospiro dalle labbra, e, contemporaneamente, quelle stesse labbra si incrinano in una smorfia, conseguenza più che naturale del pensiero che hai appena formulato.
Chiudi il libro senza premunirti di inserirvi qualcosa che faccia da segnalibro, e lo poggi sul comodino alla tua sinistra. Dopodiché appoggi la testa allo schienale imbottito della tua sedia e chiudi gli occhi. La lettura non rilassa come dovrebbe.







Angolo  Autrice: 


Sono tornata e con un capitolo, stavolta, in cui succede qualcosina di più, per una volta XD

Harry Potter is back, ma di sicuro la conversazione non è stata delle migliori, tra loro due. Piton è brurbero, scostante, antipatico... Insomma, non fosse malato, lo picchierei io stessa.
Ma avete già notato tutto questo da voi, quindi non mi conviene ripetermi :P

Insomma, spero che vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate! Se trovate qualcosa che non va, sarei comunque felicissima di saperlo! Almeno correggerò i capitoli successivi! XD Insomma, come al solito, qui c'è bisogno di feedback! XD

Alla prossima!  


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