Con tutto quel tempo libero che hai, la cosa che hai iniziato a fare sin da quando ti eri appena svegliato al San Mungo – e che continui a fare tutt'ora – è contare. Più che altro hai contato i secondi, che passavano lenti, quando ti ci soffermavi; hai contato i leggeri graffi sugli scaffali della tua libreria, hai contato le crepe della carta da parati sul muro accanto alla tua poltrona; hai anche contato quante maniglie dei cassetti della cucina sono rotte e quante no: due sono andati, bisognerà ripararli.
Hai contato quante pagine ti mancavano per finire il capitolo del libro che stai leggendo, quante per finire l'intero libro, quante ne hai effettivamente lette eliminando l'indice e le pagine bianche o quelle con il titolo e la dedica.
Che poi non hai mai veramente capito perché la gente dovrebbe dedicare un libro a qualcuno. Per quanto un familiare, un amico, un conoscente o lo stesso editore siano stati d'aiuto, chi è che scrive il libro? L'autore. Con quale testa? Quali mani? Le proprie. L'autore dovrebbe ringraziare se stesso e basta. Anche se di certo un volume dedicato 'a me stesso' risulterebbe strano; forse si fanno delle dediche per non risultare socialmente sciatti.
Ma d'altro canto... Che importava?
Hai contato le pieghe del cuscino che hai sotto la testa e quello accanto a te, hai contato quante volte in un minuto il solito lampione rotto si accende e si spegne, hai contato le frange del tappetto, hai contato le mattonelle del bagno, hai contato quanti battiti al minuto fa il tuo cuore. È da un po' di tempo che ne fa qualcuno di più, comunque.
Hai contato il numero dei libri in tuo possesso, in tutto ciò: quelli sulla libreria in salotto, quelli in camera tua, quelli accatastati in quasi tutti gli angoli della casa. Hai provato a calcolare quante pagine di libri, in totale, si trovano a casa tua, ma dopo un po' hai perso il conto, e ricominciare aveva perso la sua attrattiva.
Certe volte hai anche pensato di contare quanti gesti ti occorresse compiere prima di dire 'ho finito', qualsiasi cosa tu stia facendo, che sia la colazione, le faccende del bagno, oppure il prepararti per la notte. Hai smesso quando ti sei reso conto che il numero trovato è troppo, troppo basso.
Anche quella sera, dopo che O'Dampand ti ha medicato la ferita al collo e che ti ha dato la nuova pozione, hai contato, a letto, il numero delle automobili che passavano in strada, sotto la tua finestra chiusa. Ti sei addormentato quando ormai non ne passavano più da un bel po'.
Quando ti svegli sai che non è mattina ancora prima di aprire gli occhi.
È solo... una sensazione. Il rumore per strada non c'è, per casa neanche – non che normalmente ce ne sia granché, ma comunque...
È ancora notte, ma ti sei svegliato lo stesso, cosa che ultimamente non ti stava capitando più. Potresti riaddormentarti, certo, ma qualcosa te lo impedisce. La stessa sensazione di prima ora si è fatta più insistente, ti è entrata nelle viscere e vuole tenerti sveglio. C'è silenzio, come è giusto che sia, dato che percepisci che non è ancora giorno, eppure... è un silenzio diverso.
A questo punto apri gli occhi, e solo quanto lo fai senti il primo rumore, quello di un respiro. E anche abbastanza accelerato. L'unica spiegazione logica sarebbe che O'Dampand ti abbia fatto un'improvvisata in camera per chissà quale insano, stupido, e deprecabile motivo, ma tale spiegazione, sul momento, non affiora minimamente alla tua mente. È un respiro pesante, quello, non è di O'Dampand, e di sicuro non è neanche il tuo.
Ti volti piano verso la porta della tua stanza, e lì, in piedi, trovi il tuo visitatore. Apparentemente non cambi espressione, nel guardarlo, e immagini che anche lui se ne sia accorto, sebbene la stanza non sia di certo illuminata a giorno. Ma è illuminata comunque quanto basta.
Dentro di te non sai se essere più sorpreso o chissà che cos'altro.
Quando, allora, anche i tuoi occhi si abituano alla poca luminosità, puoi pronunciare il suo nome.
"Rodolphus." mormori, semplicemente.
Rodolphus Lestrange fa un passo in avanti, nella stanza, e ora la luce del lampione riesce ad illuminare meglio il suo viso.
Sembra sfigurato. Non che abbia delle cicatrici come ne hai tu, il suo naso è a posto, ha tutti i pezzi collocati proprio lì dove si presume che stiano, eppure la parola 'sfigurato' è di sicuro quella che potrebbe descriverlo meglio: i capelli scuri sono tutti appiccicati alla faccia, più lunghi di quanto ti ricordavi fossero, e neanche più raccolti da un piccolo laccio, come lui era solito fare. Di solito completamente glabro, ora la barba gli ricopre totalmente la faccia. Sarebbe anche simile a te, certo, in quel momento, non fosse per lo sguardo completamente stralunato, accecato da qualcosa che proveniva dall'interno della sua stessa testa, pazzo.
"Rodolphus." ripeti.
Lui fa un altro passo in avanti, e adesso alle narici ti arriva un odore acre, di chi non è neanche abituato più a lavarsi. È d'altronde anche piuttosto comprensibile: è un latitante, ora. Dopo la battaglia ad Hogwarts, gli Auror lo staranno cercando in ogni dove.
"Piton." sputa lui.
Non che abbia sputato sul serio, ma il tuo nome lo pronuncia come se fosse la definizione di qualcosa di... osceno.
Tu, in ogni caso, non dici niente, specie quando ti accorgi che Rodolphus ha, nella sua mano ciondolante, la propria bacchetta.
"Che carino, che sei." comincia a parlare lui, alla fine "Nel tuo letto, a riposarti tutto tranquillo."
Il suo viso è peggio che scolpito nella pietra, la mascella si muove appena, per pronunciare quelle poche parole, tanta è la rabbia che riesci a percepire dalla sua sola presenza
"Piton." dice soltanto, come se debba bastare.
"Che cosa vuoi?" domandi, osservandolo guardingo.
"Mia moglie è morta." comincia, dunque "Io sono un ricercato. Vivo come vivono i topi, Piton, lo sai? Anzi, i topi stanno meglio di me: loro non devono scappare. Scappo, te ne rendi conto? La prima volta, dopo la prima guerra, non mi importava; che mi arrestassero pure. Sono andato ad Azkaban insieme a mia moglie senza rinnegare il Signore Oscuro, perché lui sarebbe tornato, ci avrebbe tirati fuori da lì, ci avrebbe ricompensato perché noi gli siamo stati fedeli. Tu quante volte l'hai tradito? Quante? E tu sei in questo bel letto. Mia moglie è morta. Io sono peggio dei topi, adesso i topi li invidio. E il mio Signore non tornerà, stavolta, e non posso finire ad Azkaban di nuovo, perché lui non mi tirerà più fuori di lì, e neanche mia moglie. Mia moglie è morta, Piton, la mia Bellatrix."
Non ha preso fiato neanche un momento.
E continua a guardarti con quegli occhi fuori dalle orbite e tu...
Immagini che anche solo una singola parola sbagliata potrebbe farlo esplodere. È sull'orlo del baratro, potrebbe scoppiare a piangere tanto quanto potrebbe iniziare a distruggere tutto quello che si trova davanti.
Non c'è spazio per prese in giro, per saccenti e sarcastici commenti, sarebbero soltanto la scintilla giusta per accendere la sua miccia.
"Rodolphus..." continui, sempre prudente.
"Lo sai cosa si dice in giro, su di te? Lo sai? Si dice che hai aiutato, che hai dato qualcosa a Potter e per questo abbiamo perso. Si sentono tutte queste cose, Piton, e la sai un'altra cosa? Io ci credo. Perché tu non vivi coi topi, tu sei qui a casa tua come se non fosse successo niente, tu hai aiutato!"
Lestrange alza il tono di voce. E temi che la miccia non abbia neanche bisogno di un fiammifero, per incendiarsi, che possa fare tutto da sé.
"E la mia Bellatrix è morta!"
"Mi dispiace."
"E' colpa tua, non puoi dire che ti dispiace!" esclama, mentre fa un altro paio di passi in avanti, verso di te, accostandosi al bordo del tuo letto "Se tu fossi stato leale, avremmo vinto! E Bellatrix ora sarebbe assieme a me!"
"Bellatrix sarebbe morta comunque."
"No. Saremmo stati noi a fare piazza pulita, chi ha ucciso Bellatrix sarebbe morto. Non lei. È colpa tua, e di quello stupido di Potter."
"Concordo sulla poca intelligenza di quel ragazzino, ma no..." fai una piccola pausa, continuando a fissare Rodolphus in quei suoi occhi stralunati "Lei sarebbe morta a prescindere."
"Avrei avuto più tempo, io, allora! Avremmo vinto e avrei evitato che morisse!"
"Perché, Rodolphus, avresti rischiato per una persona che ti ha sempre considerato meno di niente?"
"Sta' zitto."
Oh, hai sbagliato a provocarlo. Ti eri detto di non farlo, e invece hai sbagliato.
E un momento dopo ti ritrovi la sua bacchetta che ti preme al centro della gola. E con la ferita lì, a pochi pollici di distanza, fa male, tanto che devi quasi reprimere un lamento. Non smetti di fissarlo comunque, però.
"Anche nei bassifondi di Nocturne Alley, anche nelle fogne, Piton, si sussurrano altre cose, su di te. E immagino tu sappia anche quali. Io Bellatrix l'ho sposata, e lei mi amava." no, non era vero, questo; lei per lui non aveva mai avuto occhi "E anche se non mi avesse amato io l'ho sposata ugualmente." adesso un sorriso, folle come i suoi occhi, si delinea sulle sue labbra "La tua dov'è, Piton? È questo che si sussurra."
"Smettila." è tutto quello che dici, con voce ancora più gracchiante del solito, per via della bacchetta di Lestrange.
"Vieni a dire a me che la mia donna mi considerava meno di niente? Tu? Tu lo dici a me?"
"Sta' zitto." sillabi, proprio come ha fatto lui con te poco prima, e la punta della sua bacchetta, come risposta, preme un po' di più sul tuo collo.
Lestrange fa un sorriso.
"Oh, Piton." mormora "Bellatrix non ha mai avuto stima di te, proprio mai. E sai cosa? Io le dicevo che si stava sbagliando, che in fondo tu eri leale tanto quanti noi. Lei all'inizio rideva, pensando che scherzassi, poi si arrabbiava. Oh, era convintissima, lei, che tu avessi qualcosa che non andava. E aveva proprio ragione, avremmo dovuto ascoltarla tutti." fa una leggera pausa, e tu vedi il suo prominente pomo d'Adamo andare su e giù un paio di volte "Adesso nessuno potrà ascoltarla più."
"Rodolph--"
"Una morte per una morte, Piton, non è così che si dice?"
A questo punto non puoi più pensare di non star capendo dove lui voglia andare a parare. In fondo l'hai capito sin dal momento in cui lui ha fatto la sua silenziosa entrata in scena.
Che fare?
Alcune settimane prima gli avresti detto di comportarsi come più desiderasse fare, che non ti importava, e magari dentro di te avresti anche pensato che fosse la cosa più giusta. Così, in fondo, tutto sarebbe finito, tutto sarebbe andato come sarebbe dovuto andare sin dall'inizio, come se Potter non fosse mai intervenuto. O chi per lui, se non è stato direttamente Potter.
Forse sarebbe stato, alcune settimane prima, ciò che avresti voluto davvero.
Non che adesso la situazione sia cambiata poi molto. Sei sempre lo stesso uomo inutile di prima, e, per quanto possano ripeterti che hai un futuro, tu ancora non ci credi per niente. E dubiti che più in là lo farai.
Eppure... Eppure.
Eppure, forse, non è così che te ne vuoi andare, non per mano di Rodolphus Lestrange, non per vendicare quella folle di Bellatrix.
O magari, invece, il folle sei tu, che pensi di voler morire. O che pensi di non voler morire.
Ma no, se deve accadere, vuoi che sia in modo diverso, vuoi che non sia così... improvviso. E quando arriverà quel momento non farai nulla per evitarlo.
Solo... non adesso.
Ma anche con questi pensieri, puoi forse opporti? Cosa potresti fare, dargli un debole pugno sulla mascella ossuta? Rischieresti di farti persino male alla mano e nulla di più, ne sei praticamente certo. Non sei mai stato incline alla forza fisica, semplicemente perché non sei mai stato abile nell'adoperarla. Sei sempre stato un tipo di persona... magica. Se volevi ferire, lo facevi con la magia, non con i pugni. Ma avresti dovuto imparare comunque come si fa, specie se la cosa può tornare utile in a casi come questi, in cui puoi servirti solo delle mani. Di una mano, anzi.
"Lei penserà a tormentarti nell'aldilà, stai certo. Adesso questo si comincerà a sussurrare."
Apri la bocca, stai per dire qualcosa, qualsiasi cosa che potesse almeno provare a fargli togliere la bacchetta dalla tua gola indolenzita, quando è qualcun altro a parlare al posto tuo, proprio in quell'esatto momento.
"'Stupeficium'!" esclama la voce di O'Dampand.
Lestrange non fa in tempo a voltarsi per puntare la sua bacchetta contro la nuova arrivata, che si ritrova scaraventato e svenuto dall'altra parte del letto, proprio sotto la finestra, lontano da te.
Quando guardi O'Dampand la trovi con gli occhi puntati su Lestrange, steso a terra, di cui tu – tra l'altro – puoi scorgere soltanto un braccio. Lei sembra quasi... terrorizzata. Neanche a dire che lui potrebbe attaccarla a sua volta da un momento all'altro; tiene la bacchetta puntata contro il suo petto con praticamente entrambe le mani.
Tu, dal canto tuo, ricominci a respirare più normalmente, e anche il battito cardiaco si fa più tranquillo.
"Non ha mai Schiantato nessuno, sino ad ora?" chiedi, interrompendo quello strano silenzio che si è venuto a creare.
Mentre parli la gola ti fa un tantino male, specialmente nel punto in cui la bacchetta di Rodolphus premeva.
Quanto era potuto essere disperato, lui? Arrivare da Nocturne Alley – a quanto pare era lì che lui si era rifugiato, dopo la guerra – fino a casa tua, solo per, presumibilmente, sincerarsi delle tue condizioni. Non per premura, ovvio, ma solo per constatare con i suoi occhi che a te è andata meglio che a lui, confermando così le varie voci udite in giro, fino ai bassifondi di Nocturne Alley. Sì, le voci. Ti chiedi come diavolo abbiano fatto, quelle voci, ad espandersi un po' ovunque. Potter? Sul serio?
No, stranamente, ne dubiti. È un idiota, ma non fino a tal punto: di sicuro anche lui capirà che se vuole parlarti – non si è fatto più vivo, sì, ma non credi che ti abbia totalmente dimenticato, purtroppo – sparlare di te alle tue spalle non è di sicuro il modo migliore per riuscirci. E comunque, al massimo, supponi che ci sia la Granger a redarguirlo quanto basta.
La Gazzetta del Profeta, allora? Possibile. Gli articoli sui sopravvissuti e non alla guerra si sprecano, e Rita Skeeter è sempre stata in grado di tirare fuori le storie più coinvolgenti per i suoi accaniti lettori. Non sempre totalmente vere, ma, devi ammetterlo, comunque con un fondo di verità.
Magari quei giornalisti, che, ormai molto tempo prima, sono venuti a casa tua, erano proprio amici della Skeeter. A meno che proprio lei non fosse uno di quei giornalisti, sotto mentite spoglie. Ma questo è di sicuro un altro discorso.
Ciò che al momento attira principalmente la tua attenzione è la figura di O'Dampand, ancora in piedi sulla porta, in pigiama.
"No, non ho mai Schiantato nessuno." ti risponde, dunque, lei, quasi in un sussurro.
"Beh, c'è sempre una prima volta. E, nonostante ciò, ammetto che ha fatto un buon lavoro."
Lei smette di fissare Lestrange, a questo punto, e ti guarda. Sembra riscuotersi un po', difatti la prima cosa che fa è abbassare la propria bacchetta e distendere le braccia lungo i fianchi.
"Io..." comincia, ma prima di continuare si schiarisce appena la voce "Chi è quell'uomo?"
Gli getta un'altra veloce occhiata, e poi torna a guardare te, in attesa di una risposta.
"Immagino di non poter rispondere con un semplice 'sono affari miei'."
Il tuo è più un pensare ad alta voce.
"Sicuramente no." conferma lei "Dato che, se fosse andato male qualcosa, ci troveremmo in ben altra situazione."
"Ma così non è stato."
Lo sguardo che ti lancia lei è più che eloquente.
Ti ritrovi a sospirare appena, prima di rispondere davvero.
"Quell'uomo è Rodolphus Lestrange, diciamo... ex-marito di Bellatrix Black in Lestrange."
"Bellatrix Lestrange? Quella... Quella che ha torturato i Paciock..."
Sembra quasi... tramortita, e le tue sopracciglia assumono una piega che esprime una certa perplessità.
"Ne è al corrente?" chiedi.
"Il coniugi Paciock si trovano al suo stesso Reparto, al San Mungo."
Annuisci. Allora sì, è comprensibile il suo orrore, dato che, a quanto pare, conosce le vittime almeno di vista. Se non di più. Non indaghi, comunque: non sono i Paciock il fulcro del discorso.
"Che cosa voleva?" chiede, infatti.
La replica, seppur brutale, è comunque semplicissima e pressoché ovvia.
"Uccidermi. Per vendetta, naturalmente."
Stavolta, come invece ti saresti aspettato, la sua espressione non cambia molto; eppure, anche non cambiando, assume una sfumatura più seria e pensierosa, di chi sta lavorando mentalmente. Non si è messa a sbraitare, e, se per caso era vicina al cadere nel panico – come, in effetti, ti era sembrata – quel momento pare semplicemente passato.
"E'... comprensibile."
Non aggiunge nient'altro, bensì va verso la finestra, a questo punto, ad 'esaminare' un po' meglio lo svenuto Rodolphus.
"Dobbiamo chiamare degli Auror." dice, poi.
"Che ore sono?"
Si volta verso di te leggermente perplessa.
"Io... Non so, quando ho sentito delle voci non sono stata molto a guardare l'ora. Le tre o le quattro, credo."
"Poveri Auror."
Anche lei fa un lieve sorrisetto. Dopodiché, in ogni caso, con un leggero movimento della bacchetta avvolge l'intero corpo a terra in delle serpentine di sottili corde magiche, e tu ti sposti appena, rimanendo sopra il letto, per guardare meglio la scena. Vedi così che gli ha anche messo un bavaglio alla bocca, sebbene sia già innocuo così. A questo punto, comunque, con un altro movimento Lestrange viene sollevato in aria, e lei, nonostante tutto, fa anche attenzione che non sbatta da nessuna parte.
"Quanta premura." mormori a mezza bocca, ma lei ti sente comunque.
"Non vorrei si rovinasse qualche mobile."
Incurvi un angolo delle labbra all'insù.
O'Dampand lascia la stanza, e tu indossi la vestaglia che tieni sempre posata sulla poltrona accanto al letto. Non passa molto tempo, allora, che lei torna da te, e, di nuovo, non ne trascorre molto altro prima che entrambi vi ritroviate in salotto, a guardare silenziosi Rodolphus Lestrange legato con altre corde ad una sedia – momentaneamente presa dalla cucina – con la testa a ciondoloni sul petto.
"Ho già mandato il mio Patronus a chiamare qualcuno." ti informa.
"Bene."
Non che ci sia altro da dire. Forse potresti chiedergli che forma ha, il suo Patronus; sarebbe interessante e stimolante discuterne, ma di sicuro non è questo il momento. E neanche pensi ci sarà un vero momento per parlarne, dato che ti viene alla mente, subito dopo, che lei allora ti chiederebbe quale è il tuo, di Patronus, perché, per come, e in base a che cosa. E sinceramente...
Ogni cosa porta sempre a lei, te ne rendi conto sempre più spesso. Quando eri occupato in altre faccende, ad Hogwarts, o in qualsiasi altro luogo, quella parte di te, ogni tanto, si fermava; rimaneva in sospeso, concentrato com'eri su altro.
Ora no, e la cosa ti allieta e ti stanca allo stesso tempo.
Scuoti impercettibilmente la testa, concentrandoti sul ben più urgente quasi omicida. O meglio, sul tuo quasi omicida.
"Entro quanto saranno qui?" Chiedi.
"Immagino presto. D'altronde è un ricerc--"
O'Dampand non riesce neanche a finire la frase che bussano alla porta con un vigore anche un po' esagerato, e lei, ovviamente, fa uno scatto per andare ad aprire.
"Aspetti." la fermi, però, e lei si volta verso di te con la mano allungata verso il pomello della porta, che però ancora non sta effettivamente toccando "Vado di là."
Senza attendere una risposta che non serve, allora, ti sposti all'inizio della rampa – o delle scale – chiudendo poi la porta-libreria; lasci solo che vi sia una piccola fessura che ti permetta di guardare all'interno della stanza. Da lì, con la coda dell'occhio, vedi anche che Lestrange si sta svegliando.
E mentre O'Dampand sta, ormai, concretamente per aprire la porta, il caro ospite pare essere rinvenuto completamente, dato il modo in cui tiene lo sguardo puntato sulla scena.
Gli Auror, che identifichi una volta che entrano nel tuo ridotto campo visivo, sono due. Non li hai mai visti, sino a quel momento, ergo, tempo prima, non avevano preso parte alle protezione di Hogwarts, quando eri diventato professore di Difesa contro le Arti Oscure. Sono entrambi uomini, entrambi abbastanza presentabili, sebbene si noti, però, una certa trascuratezza nella loro figura, nel complesso. O meglio... sembra che si siano vestiti velocemente, e che, comunque, siano stati affaccendati parecchio fino al momento della loro chiamata; un indizio che confermi questa tesi è la giacca di uno dei due leggermente spiegazzata e i capelli dell'altro appena arruffati.
Ma di sicuro queste sono solo sottigliezze.
Ciò che importa è che Lestrange ha capito benissimo chi sono i due uomini – uno biondo e con i capelli medio-lunghi, l'altro castano scuro e con i lineamenti decisamente squadrati, che di sicuro non gli donano nessun tipo di grazia (da che pulpito) – eppure non pare opporre alcuna resistenza: non si dimena. Non cerca di slegarsi, non prova neanche ad aiutarsi con la lingua e con i denti a togliersi il bavaglio, non per pronunciare parole di autodifesa, nel caso, anche perché sarebbero puramente vane, ma piuttosto per inveire contro i nuovi arrivati. O quanto meno potrebbe tentare di scappare, o almeno provare a tentare.
Niente di tutto ciò, invece: rimane seduto lì, con le mani dietro lo schienale della sua sedia, dapprima con lo sguardo fisso sugli Auror che chiedono spiegazioni ad O'Dampand su quanto sia successo, pretendendo che lei, comunque, racconti loro tutti i dettagli. Come è anche giusto che sia, dopotutto. E poi, semplicemente, lo vedi abbassare lo sguardo sui propri pantaloni sporchi e leggermente sbiaditi all'altezza delle ginocchia. E prima che lui abbassasse definitivamente il viso e che celasse gli occhi alla tua vista, qualcosa hai scorto proprio in essi: rassegnazione.
D'altronde, starà pensando, perché combattere? Non ha più la sua bacchetta, è legato, in inferiorità numerica. Come potrebbe prevalere?
Gli Auror, allora, si avvicinano a Lestrange, e gli tolgono il fazzoletto stretto attorno alla bocca. Neanche in quel momento si mette a parlare, semplicemente muove appena le labbra per far riacquistare loro una certa sensibilità, e magari prova anche un po' di dolore, dato che gli sono state premute contro i denti. Ma, a parte questo, non fa nient'altro. Alza gli occhi, sì, e sebbene stavolta nel suo sguardo noti un non tanto sottile disprezzo, la rassegnazione rimane lo stesso, e le parole – qualunque esse possano essere – non vengono pronunciate.
Per un momento, Rodolphus ti fa quasi pena.
Dopodiché gli Auror lo slegano, ma non per questo senza ammanettarlo comunque, e, dopo qualche altra parola, escono da casa tua. Proprio sulla soglia, in realtà, chiedono anche di te, ma O'Dampand risponde che ti sei rimesso a dormire, e che, dato il trauma, è meglio che così tu rimanga, addormentato.
Bugia.
Non sai con certezza cosa sia passato nella testa di quella ragazza per farla rispondere con tanta sicurezza, pur sapendo benissimo di star pronunciando una totale menzogna.
Poi, nel giro di un minuto, la porta si richiude; e tu, subito dopo, spalanchi nuovamente la porta segreta con un calcio della... gamba funzionante.
"Tutto fatto." è la prima cosa che dice O'Dampand.
"Sì... Ho notato. La visuale era abbastanza buona." rispondi, e cominci a fissarla in una maniera che probabilmente a lei starà sembrando anche abbastanza intensa.
Anche lei ti guarda, prima di andare a sedersi sul divano, sicura che tu ti muoverai da solo. E così è, infatti.
"E anche questa è andata." commenta, appoggiando appena la nuca all'indietro, sul cuscino dello schienale.
"Una situazione di cui avrei fatto volentieri a meno, comunque."
"Potrebbe... riaccadere?"
Non hai neanche bisogno di pensarci più di tanto.
"Potrebbe, sì."
Impercettibilmente le labbra di O'Dampand assumono una piega che va verso il basso.
"Bisognerà che chiediamo protezione." dice.
"Degli Auror?" fai, invece tu, con una smorfia "O magari delle semplici guardie del corpo? Sinceramente, no, grazie."
"Ma ce n'è bisogno! Non può negarlo."
"Potrebbe mettere una protezione direttamente sulla casa."
La cosa pare interessarla un tantino di più del semplice 'no'.
"Dovremo uscire molto poco, in caso."
"Io non esco mai."
Lei sospira e non dice più niente. Oh, non credi che comunque la questione sia finita lì; te lo senti proprio nelle viscere. Ma al momento... è il silenzio, ancora, che prevale.
"Mi inventerò qualcosa." dice, dopo un po'.
Quindi, invece, la questione pare chiusa, e finché, dato che l'ha appena detto, lei non troverà una personalissima soluzione, la situazione rimarrà così come è sempre stata. Con le conseguenze che ciò comporta, ovvio, ma il lato positivo della cosa è che adesso hai qualcosa di diverso a cui pensare, almeno, invece delle solite cose.
"Vuole un caffè?" fa poi lei, alzandosi dal divano "Non credo riuscirei ad andare a dormire di nuovo."
Come biasimarla.
"Sì... Approvo."
È di nuovo notte.
O'Dampand non ha ancora tirato fuori quel discorso che avete affrontato la mattina, il fatto della protezione e tutto il resto, ma dalla sua espressione pare quasi che se ne sia dimenticata.
Ti sta medicando la ferita al collo, come ogni sera, e quella roba vischiosa brucia, come ogni sera, ma stavolta, invece di tenere lo sguardo puntato sull'intersezione tra il pavimento e il muro dall'altro capo della stanza, guardi lei. Vuoi capire che cosa stia mai pensando.
Perché anche in precedenza aveva... fatto finta di non dare più importanza ad una determinata cosa, quando invece era decisamente tutt'altro.
Eppure non credi che al momento riuscirai a dedurre qualcosa: il dolore che senti ti rende meno... studioso della fisionomia altrui, e poi lei è troppo concentrata nel fare il suo lavoro per bene, si legge solo questo sul suo viso. Ha le sopracciglia leggermente aggrottate, magari neanche se ne rende pienamente conto, come non si rende conto che stai continuando a fissarla.
Poi, quando ha finito, alza il viso, e ti nota.
L'unica cosa che fa è un tenue sorriso, prima di togliersi i guanti e prendere la pozione giornaliera.
"Tenga."
Prendi l'ampolla e mandi giù il suo contenuto tutto d'un fiato, prima di riconsegnargliela vuota.
Lei rimette tutto a posto, ti dà la buonanotte, anche tu la saluti, e poi va via, accostando appena la porta.
Solo che poi, invece, la riapre.
"E se viene qualcuno? Come stanotte." dice, andando dritta al punto, come è giusto che sia.
Già. E se venisse qualcuno?
"Mi dovrò arrangiare. E magari parlerò un po' più forte per farmi sentire da lei."
O'Dampand si avvicina, però, e tutto quello che fa è tirare fuori la sua bacchetta. All'inizio ti chiedi che incantesimo voglia mai utilizzare, ma poi, invece, la posa semplicemente sul letto, accanto alla tua mano sinistra.
"Non ci penso proprio." è quello che dici.
"Di sicuro quel qualcuno verrebbe da lei, non da me. Almeno può difendersi."
"Non la sentirei mia, è inutilizzabile."
"Oh, non è vero, e lei lo sa, signor Piton. Non sarà la sua, la sua fedeltà non è per lei, certo, ma può almeno farci qualcosa, piuttosto che usarla semplicemente come un bastoncino da tirare in un occhio."
Sbuffi, ma ammetti che la cosa ha un senso. Non lo ammetti ad alta voce, certo.
Lei prende il tuo sbuffare come una sorta di rassegnazione, probabilmente, perché, a quel punto, torna nuovamente alla porta. Ti dà nuovamente la buonanotte, ma tu stavolta rispondi con un lieve mugugno, e la porta si richiude.
È sempre notte.
E anche stavolta ti svegli senza alcun apparente motivo. Cos'è stato? Hai sentito un fruscio? Un movimento? Ormai tendi a svegliarti al minimo rumore...
C'è qualcuno nella stanza?
Lentamente giri la testa, ma non c'è nessuno, nella tua camera.
E allora? Non hai fatto un incubo, non hai dolore da nessuna parte, perché ti sei svegliato?
Istintivamente stringi la bacchetta di O'Dampand, giusto per un paio di secondi, e poi la lasci nuovamente andare sopra la coperta.
Non capisci. Ma magari ti sei semplicemente svegliato e basta, d'altronde può anche essere che il tuo sistema nervoso si sia un po' suggestionato, dati i recenti eventi.
Rimani in attesa per più di un minuto, immobile e con le orecchie ben tese.
Niente. Per cui puoi anche rimetterti a dormire, a quanto pare.
Ti sposti leggermente, assumendo una posizione un po' più comoda, ed è proprio in quel momento che capisci perché ti sei svegliato: è perché hai compiuto un gesto che il tuo corpo non era abituato a fare da diverse settimane, e magari... magari l'hai fatto anche durante la notte, ed è stata una cosa talmente improvvisa che neanche le tue membra riuscivano a crederci, tanto che hanno subito deciso di destarsi.
Hai mosso la caviglia del piede destro; da bloccata che era prima, ora riesci a muoverla perfettamente.
Angolo Autrice:ZAN ZAN ZAAAAAAN!
L'avevo detto che sarebbe successo qualcosa.
E' la prima volta che faccio comparire Rodolphus Lestrange in una storia. Beh, non che su di lui si sappia ganché, però spero che, riferendoci all'immaginario collettivo, l'abbia reso in maniera quantomeno plausibile.
Non ho molto altro da dire, perciò lascio a voi tutte le deduzioni e gli interrogativi (sempre che ce ne siano).
Detto ciò, un abbraccio a tutti quanti, e, come al solito, fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima,
Iurin
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Convalescenza
Fiksi PenggemarFanfiction su Harry Potter. Personaggi principali: Severus Piton Rating: Per tutti Genere: Introspettivo, malinconico, sentimentale Trama: La guerra è finita. Voldemort è morto, i defunti vengono sepolti, i feriti vengono curati. E, a differenza di...