Capitolo Diciotto

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Un. Passo. Alla. Volta.
Non ci tieni a finire come durante la prima mattina che ti sei svegliato a Spinner's End, dopo che il San Mungo ti ha... 'dimesso'. In quel momento assomigliavi molto ad un poppante che non sapeva neanche gattonare.
Non che ora sia molto diverso.
Ecco, forse adesso potresti considerarti come un moccioso che ha imparato a gattonare e che ora è allo stadio successivo.
Appoggi la mano sinistra al muro, rimanendo immobile. Non ti eri reso conto di avere già il fiatone.
Preferisci non voltarti indietro per capire quanto tu ti sia spostato dalla camera da letto, onde evitare qualche improvviso movimento e, quindi, un consecutivo incidente.
La casa è buia e silenziosa, si sente il rumore solamente del tuo stesso respiro.
È già qualche giorno che sei stazionato lì, da O'Dampand - no, dire che 'ci vivi' non sarebbe un'espressione... naturale. Anche se forse,molto lentamente, ti stai abituando - anzi, assuenfacendo - a quel particolare tipo di arredamento.
Non senti neanche il respiro di O'Dampand, in tutto quel silenzio, ma è comprensibile: il salotto, nel quale lei dorme, ti sembra ancora lontano miglia e miglia.
Ti senti stanco. Vorresti sederti.
Ma ti dici che sei stato seduto fin troppo tempo.
Però sì... Ti senti piuttosto stanco.
Puoi capire perché Malocchio utilizzasse un bastone tanto grande per sorreggersi, qualsiasi fosse il suo ennesimo problema di deambulazione.
... Ti torna in mente quella notte. Tu a cavallo di una scopa e sette Potter nel cielo tutti attorno a te, Alastor Moody che era proprio nell'esatta traiettoria della bacchetta del Signore Oscuro.
Preferisci concentrarti sul dolore che ti sta attraversando le gambe e il palmo della mano, che ancora tieni esageratamente premuta sul muro accanto a te.
E ricominci.
Un passo alla volta. Un pollice dopo l'altro. Merlino, sei così lento. Ed ogni movimento è una fitta ed un lieve digrignare di denti.
Ti fermi di nuovo, capendo di essere arrivato a metà corridoio.
Poi riprendi ancora.
La volta successiva in cui ti fermi per riprendere fiato è appoggiandoti con la spalla allo stipite della porta del suddetto soggiorno. Ti tocchi appena la fronte, per quanto puoi, e trovi un paio di piccole gocce di sudore scorrerti lungo la pelle.
Comprendibile, certo, ma non per questo meno frustrante. Cerchi di non fare rumore quando cominci ad addentrarti nella stanza, proprio come solo tu sai fare. O meglio, sapevi. Ma ti imponi di non avere comunque perso il tuo 'tocco'. Il buio non è così pesto, riesci a distinguere i contorni della mobilia, fortunatamente, e questo grazie al fatto che l'alba è ormai sorta. Riesci a scorgere piccoli fasci luminosi di sole filtrare dagli scuri chiusi delle finestre. E in questo modo riesci a raggiungere il divano senza problemi. Senza troppi, almeno, dato che credi passino almeno dieci minuti per percorrere la distanza che normalmente avresti superato con tre o quattro veloci e lunghi passi.
Pensarlo ti rende più frustrato di quanto tu già profondamente sia.
L'unica piccola soddisfazione è il raggiungimento della tua meta: i divani.
Riesci miracolosamente a rimanere dritto, appoggiato di fianco allo schienale di uno di essi, sorreggendoti con l'aiuto della mano. Da lì hai una perfetto visuale di O'Dampand che, ovviamente, sta ancora dormendo.
Lei non è scossa, d'altronde, da eccezionali fremiti, durante quella notte.
Quindi... dorme. E in una posizione molto composta, noti: niente gambe all'aria, niente coperta attorcigliata chissà dove. Dorme in maniera ordinata, e ti lascia solo lievemente perplesso il non averla comunque svegliata. Allora sei ancora bravo a mantenere un certo... passo felpato.
Felpato, mh.
Con una smorfia cancelli il pensiero velocemente così come è arrivato e torni a guardare lei, ancora ad occhi chiusi, nonostante tutto.
E a questo punto speri che lei davvero non si svegli, dato che tu passeresti come un uomo piuttosto depravato, se lei ti sorprendesse a fissarla in questa posizione. In silenzio e al buio.
Fai un'altra smorfia, quando realizzi ciò, considerando che le tue intenzioni sono ovviamente altre.
Meglio sedersi, almeno. E lo fai accomodandoti sul divano libero, piegandoti con cautela, ma poi cadendo sul cuscino producendo un piccolo tonfo attutito dai vari strati di stoffa e imbottiture. Fai un sospiro di sollievo, subito dopo. Piccolo. Sei seduto, dunque, e, come hai notato in precedenza, i segni del già avvenuto arrivo dell'alba sono ormai visibili.
E anche O'Dampand, sebbene addormentata, deve essersene inconsciamente accorta; la vedi agitarsi nel sonno - poco, ma più di poco prima - e aggrottare le sopracciglia - l'esserti abituato al buio aiuta i tuoi occhi già stanchi di per sé a vedere meglio. Si sta svegliando, lei.
Tu rimano immobile, ma con lo sguardo comunque rivolto a lei.
Sì, un esterno ti riterrebbe un uomo dalla dubbia moralità, probabilmente, ma tu hai le tue buone motivazioni, per fare ciò.
O'Dampand allunga le braccia in alto, tendendole, per poi piegarle, ma mantenendole comunque al di sopra del suo capo. Poi apre gli occhi. Sbatte le palpebre tre o quattro volte fissando il soffitto.
"Buongiorno." sei tu il primo a parlare, e la tua voce, ormai tendente al gracchiate dopo l'incidente di Nagini, è ancora più roca, essendo quella la prima parola che pronunci dopo una notte intera - più o meno - di sonno.
O'Dampand, allora, rivolge lo sguardo a te nell'immediato, notandoti, finalmente. E di conseguenza si alza di scatto, mettendosi seduta tutta d'un colpo. Sei certo che per qualche istante abbia anche visto tutto nero per via del repentino movimento.
"Ma... Cosa.... Perché..." farfuglia, mettendo giù i piedi dal divano.
Non l'hai mai sentita veramente farfugliare, dovevi sorprenderla così, per farglielo fare.
"Cosa diamine ci fa lei qui?!" esclama poi.
Tu fai quello che potrebbe essere un lieve ghigno.
"Non le piacciono i pigiama-party improvvisati?" rispondi.
Di nuovo ti viene alla mente l'immagine di Moody e a quando l'hai incontrato in camicia da notte tu - come sei ora, d'altronde - e in vestaglia lui, ad Hogwarts, circa tre anni prima.
Ma quell'uomo non era Alastor Moody, in fondo, ma Barthemius Crouch jr., per cui il pensiero se ne va subito, neanche il tempo di attecchire.
"I pigiama-party sì, forse persino quelli improvvisati, ma non se sono inquietanti come ora. Mi ha fatto prendere un colpo."
"Questi sono dettagli."
"E ho i capelli tutti per aria, grazie tante."
"Se per me è un dettaglio il suo ipotetico quasi-infarto, figuriamoci lo stato dei suoi capelli. È tutto un enorme e insignificante dettaglio di fronte a quello che - lo sappia, glielo rinfaccerò a vita - ancora lei non ha notato."
L'espressione di O'Dampand, a questo punto, da sconvolta diventa perplessa.
"Un momento..."
"Dunque ci è arrivata. Il suo cervellino è stato nuovamente ossigenato a dovere e le rotelline hanno ripreso a girare. Cigolando, certo, ma..."
"Oh, la smetta di fare lo scontroso e si sbrighi, signor Piton."
"Mi sbrighi a fare cosa?"
"A farmi vedere come ha fatto a venire qui."
A quel punto occorre la dimostrazione pratica, è ovvio. Anche se, in realtà, non vi è stata una precedente vera e propria esplicazione teorica, le migliori lezioni avvengono così: prima la teoria, poi la pratica. Anche tu, quando eri professore, adottavi un tale sistema. La maggior parte delle volte.
Eri professore. Lo sei?
Già da tempo hai affermato tu stesso di non esserlo più, ti sei definito 'ex' tu stesso, senza neanche soffermartici troppo.
Andiamo. Quando mai potresti tornare ad insegnare? E, anche potendo, come? Non tieni alla compassione dei tuoi colleghi, non tieni ai risolini che gli studenti nasconderebbero dietro le dita osservando il tuo incedere caracollante.
No.
Saresti rimasto un 'ex'. Ex. Non più utile. Vecchio. Da buttare.
"... Signor Piton?"
Ti sei fermato a fissare il vuoto per l'ennesima volta, forse il lembo della coperta che O'Dampand tiene ancora sulle gambe.
"Sì. Dimostrazione pratica." borbotti.
Sebbene tu, a dirla tutta, quella teorica non l'abbia per nulla esplicata. Ne avete parlato per sottintesi, per allusioni, e solo alla fine della vostra appena conclusasi conversazione.
Un tuo commento acido, una sua risposta piccata. Frasi spezzate. È stata questa la tua 'teoria'.
Speri che durante l'altra non sia tu a spezzarti.
E così inizia.
Tu che fatichi per metterti nuovamente in piedi; la smorfia sulla bocca che cerchi di nascondere ma che lotta per rimanere impressa sulla tua faccia; le vertigini, per un istante che ti è sembrato molto più lungo di quanto fosse in realtà.
Sei penoso e tu stesso ti fai pena da solo, all'inizio. Questo è ciò che ti fa infuriare più di tutto il resto e di conseguenza metti più forza sul braccio che spinge sul bracciolo del divano per farti rimettere dritto sulle gambe.
Gambe maledette. Forse meno di quanto lo fossero un mese addietro, ma di sicuro non le vai ringraziando.
È un problema quando l'anca decide di collaborare di nuovo, finalmente, ma il ginocchio decide di rimanere una stupida articolazione insensibile agli impulsi di chi dovrebbe governarlo. Comunque così, con la gamba ancora mezza rigida, sei uno spettacolo grottesco che avrebbe fatto ridere i crudeli e far distogliere lo sguardo ai compassionevoli.
L'odio.
Sì, per entrambi. Per i primi non c'è neanche bisogno di spiegazioni; per i secondi perché credono di fare un favore, non guardando, mentre invece ti farebbero sentire ancora più miserabile.
Il tutto sta nel guardare in un certo modo.
Quando finalmente sembra che tu sia riuscito a metterti in posizione eretta - anche se la schiena rimane forse troppo in avanti, per un po' - O'Dampand ti offre la spalla ancor prima che tu possa muovere un passo.
L'accetti.
Un conto è barcamenarsi da solo al buio, quando nessuno ti osserva, un altro è farlo di fronte ad altri. È inutile non ferire il proprio orgoglio ma fare la figura del primate sgraziato.
Così posi la mano sulla spalla di O'Dampand, mentre quest'ultima posiziona la sua sul lato del tuo tronco, appena sotto il tuo braccio.
Per te dovrebbe essere come utilizzare l'ingombrante bastone di Moody.
Solo che il bastone di Malocchio non parlava.
"Signor Piton?"
Fai un passo con la gamba 'stupida', nulla di strano.
"Mh."
Ne fai un altro con quella 'buona', di gamba, e forse ti appoggi un po' troppo alla guaritrice. Non importa, lei è lì per quello, dopotutto.
"Cosa c'è?" la incalzi, dato che ha smesso di parlare.
Altri passi vengono aggiunti ai primi.
"Lei è alto, sa?"
Ti rendo conto che prima di oggi lei neanche avrebbe potuto saperlo. Non ti ha mai visto davvero in piedi. È strano.
"Sono anni che non misuro la mia altezza, ma credo di saperlo, sì. Grazie per l'informazione."
Raggiungete il corridoio.
"Così devo ammettere che mi mette un po' in soggezione."
"Salazar sia lodato, credevo che per me sarebbe stato impossibile riuscirci, nei secoli a venire. Mai stato così contento di potermi ricredere."
"Ehi, ho detto solo 'un po''."
Un altro passo.
"Mi basta." rispondi in un sussurro "Per il momento."
Qualche altro minuto trascorre e, più velocemente di quanto sia stato il tuo solitario viaggio di andata, sebbene comunque con una qual certa snervante lentezza, tornate in camera da letto. E sul letto vi sistemate, di conseguenza: tu mezzo sdraiato, con due cuscini dietro la schiena per tenerti sollevato come al solito, e O'Dampand semplicemente seduta.
Sì, aveva ragione: ha i capelli da pazza.
"Ho notato che muove quasi tutta la gamba destra, ormai." è la prima cosa che dice lei, allora, dopo una breve pausa di silenzio.
"Io ho notato che arranco comunque..."
"Farò in modo che le vangano subito date delle stampelle."
"Una. Che potrò usare con il braccio sinistro, dato che l'altro pare morto. Per cui sarà solo parzialmente d'aiuto."
O'Dampand inarca entrambe le sopracciglia. Lo vedi nonostante la luce fioca, la stessa che era presente nel salotto, forse solo un po' più intensa.
"Non riesco a capire, lo ammetto." fa lei "Un attimo sembra contento... Beh, contento, diciamo 'sollevato', mentre l'attimo dopo pare che se non gliene stia importando niente."
"In realtà è tutto un astuto piano per confonderla, O'Dampand. Sono senza bacchetta, per cui devo ricorrere ad altre... tecniche. 'Confundus Verbale'."
"'Confundus Verbale'."
"Famosissimo."
...
"Non mi dica che sta scherzando, perché potrei seriamente mettermi ad urlare."
"Non troppo forte; sveglierebbe i vicini e sarebbe la causa del mio mal di testa di prima mattina."
... Forse non è vero, certe volte, che non te ne importa proprio niente.

Ora sei di nuovo seduto sul divano, ma la situazione è cambiata: sei vestito (dei tuoi abiti babbani, ci mancherebbe altro) e gli scuri alle finestre sono stati aperti da qualche ora.
Stai leggendo, o, almeno, è quello che sembra che tu stia facendo. In realtà stai fissando da qualche secondo l'agglomerarsi delle parole nere sulla pagina giallognola. Le guardi ma non le vedi.
O'Dampand è appena rientrata dall'essere andata a comprare qualcosa per il frigorifero che si era svuotato di nuovo. La senti armeggiare con una busta di carta spessa. Anzi, è probabile che la busta stia armeggiando se stessa da sola per magia.
A quel punto senti l'impulso, però, di andartene semplicemente in bagno, ma ti dici che è anche arrivata l'ora che tu lo raggiunga da solo.
Sei un uomo, non un poppante.
Ora che puoi farlo, devi.
Un piccolo giro di parole che conduce comunque alla tua messa in piedi finale. Non senza sforzi. Non senza imprecazioni mentali, ma, come quella mattina, in piedi riesci a rimettertici. E raggiungi il bagno, passando di fronte anche alla cucina, ma di O'Dampand hai solo una fugace visione: sta guardando alla finestra e non si accorge di te, così tu tiri lentamente dritto. Chiudi a chiave la porta del bagno dietro di te.
Il respiro affannoso ed affaticato ti segue come una seconda ombra. O forse come terza o quarta. Di ombre tu ne hai parecchie.
Qualche minuto dopo - diversi minuti dopo - riesci ad uscire dal bagno. Apri la porta rimanendo con la spalla appoggiata al muro proprio accanto all'uscio.
Da un certo punto di vista... ti senti un pupazzo di pezza. Di quelli che devono venire appoggiati da qualche parte per farli stare dritti e dar loro una certa parvenza da essere umano.
Forse anche tu, ormai, sei un ex-uomo?
Forse no. Ma fatto sta che i pupazzi di pezza ti hanno sempre messo tristezza, con i loro occhi a bottoni e i loro sorrisi dai denti aguzzi. E le loro membra morte.
Apri la porta.
E immediatamente il viso dagli occhi sgranati di O'Dampand ti compare davanti veloce come il vento.
"E' qui dentro!"
"No, ora sono fuori. E comunque non faccia più così, o mi procurerà un infarto. E avevamo già appurato che la cosa non andrebbe neanche a suo vantaggio."
"Non colpa mia se non l'ho più trovata sul divano. Poteva essere sparito chissà dove."
"Ma cosa pretende, O'Dampand?"
"Non lo so..."
Silenzio.
"Comprerò un guinzaglio." afferma poi lei.
"Lei ci provi e userò la poca forza che ho per scaraventarla giù dalla finestra."
Lei si mette a ridere, nella maniera tanto breve che ormai conosci, e si allontana da te per tornare in cucina.
"E io la porterei giù con me." dice sorridendo, mentre cammina.
Tu rimani appoggiato al muro.
"Mi salverei. Lo sa che so... beh, quanto meno sapevo... volare senza scopa?"
A questo punto lei si volta nuovamente verso di te, un 'Davvero?' che prende forma sulle sue labbra ma che non viene pronunciato, seguito da un 'Come?'.
Tu, dal canto tuo, incurvi un angolo delle labbra in alto, senza rispondere.
Forse lei starà pensando che tu la stia di nuovo prendendo in giro. La lascerai con il dubbio negli occhi.
Invece di tornare in salotto, allora, con O'Dampand che ancora ti sta guardando, te ne vai in camera da letto.
Ti senti stanco.

Dopo cena, di nuovo divano.
Letto, divano, sedia, divano, letto, divano.
Non si può dire che i 'luoghi' che frequenti siano molti. Per un secondo hai fissato con vibrante soddisfazione la sedia metallica con le ruote, nella tua testa esplodeva il grido di 'mai più'. Poi l'hai dovuto modificare in 'meno': a volte le ginocchia tremano e i passi diventano sempre più difficili da compiere.
Reputi singolare, a questo punto, provare della stanchezza puramente fisica. Ultimamente hai sperimentato molto quella mentale, dato il pensare troppo e a troppe cose, o quella di spirito, su cui neanche ti soffermi. La stanchezza fisica è singolare, quindi, sì, e speri che essa possa risucchiare un po' di energia vitale alle sue più estenuanti sorelle.
... Perlomeno pare che tu ti addormenti più in fretta, adesso.
Quindi... Sì. Divano. Come al solito.
E stai ancora leggendo quel dannato libro che ti ha incantato O'Dampand. Non solo sarà almeno la quarta volta che lo riprendi in mano, lungo l'arco della tua vita, ma stia pure proseguendo lento. Come se non capissi le parole, neanche tu fossi un bambino di prima elementare che ha appena imparato a leggere.
... No - valuti - stai esagerando, il tuo cervello non si è rattrappito a tal punto. Vai più lento, è vero, ma non perché non sai leggere; per Salazar, ti ci mancherebbe solo quello. Evidentemente, allora, la tua mente ha deciso che, dato che hai ancora un'infinità di tempo, davanti a te, per stare seduto con un libro tra le mani, sarebbe inutile affrettarsi, divorare parole già lette per giungere alla fine della pagina in una breve manciata di secondi. Può essere questo. Non lo sai, è una supposizione bella e buona. Ma intanto sei ancora lì, su quel divano ocra, a mormorare lentamente quell''Avanti' che fa voltare pagina.
Poi, il rumore.
All'inizio senti solo una sorta di tintinnare lontano, ovattato, sfocato. Dopodiché percepisci distintamente che delle chiavi vengono infilate nella toppa della porta di casa. Dall'esterno, ovviamente, altrimenti non vi sarebbe nulla di particolare ed insolito.
Almeno - pensi - se chi vuole fare irruzione ha le chiavi, non deve trattarsi di un ladro.
Provi a voltarti con la schiena, per capire cosa mai stia per succedere, per quanto puoi, dato che nella tua posizione stai dando le spalle alla porta, ma quando lo fai inizi a sentire la pelle del collo pizzicare, così lasci perdere e torni a guardare dritto di fronte a te. Il libro viene chiuso e posato sul bracciolo piatto del divano; non riuscirai mai a finirlo, già lo sai.
Nello stesso momento in cui la porta si apre, in ogni caso...
"Eee--" senti provenire da dietro di te.
... inizi a parlare. "O'Dampand," è lei ad essere in bagno, ora; tu la chiami ad alta voce "c'è qui qualcuno che non si premura neanche di bussare quando entra in casa d'altri." e dire che non stai neanche guardando in faccio l'intruso "Gliele ha date lei, le chiavi, o si tratta di un fabbro piuttosto intraprendente?"
O'Dampand accorre ancora con l'asciugamano in mano.
"--eehi." conclude quel qualcuno; e dalla voce ora sai che si tratta di una donna.
"Oh, Merlino, Lois!" esclama proprio O'Dampand, lanciando praticamente il suo asciugamano sul divano - non accanto a te, almeno - e correndo verso la nuova arrivata.
Perlomeno è assodato che no, non si tratta di un fabbro con troppa intraprendenza.
"Oh, ciao, Serena... Ah!"
A questo punto, con molta più calma, lentezza e attenzione - che trio - riesci finalmente a voltarti nella direzione delle due donne: O'Dampand sta sciogliendo quello che era un evidente abbraccio che però si è già concluso, mentre l'altra donna... Sei sicuro di averla già vista da qualche parte.
Ha i capelli corti fino alle spalle, ricci e castani chiaro, occhiali sul naso, occhi più grandi di quelli che comunemente è la misura comune.
Al San Mungo sei sicuro di non averne mai incrociate, di donne: oltre ad O'Dampand stessa, hai incontrato solo l'infermiera a cui è stata affidata quella palla al piede di Gilderoy Allock, mentre per il resto, nulla. Eppure sì, sei sicuro di averla già vista da qualche parte. Ed è amica di O'Dampand, per cui, se non è successo in ospedale... E poi ti viene in mente: la caffetteria. È stato in quella strana caffetteria senza nome, solo che quel giorno lei era in compagnia di qualcun altro. Sì, è stato proprio lì. Quella donna era in compagnia di un uomo, te lo ricordi, sebbene di quest'ultimo tu ora non abbia affatto presente i lineamenti. Ma sei sicuro di esserti ricordato bene.
Ovviamente questo tuo ragionamento si è svolto nel giro di un paio di secondi, difatti nessuna frase è stata ancora espressa ad alta voce.
Ma si rimedia subito.
"Io, ehm..." è proprio la nuova arriva a prendere timidamente la parola "Scusate, comunque, ho visto da sotto che le finestre sono aperte, per cui ho pensato..."
Il suo sguardo passa più volte da te a O'Dampand e viceversa.
"Che la signorina O'Dampand fosse tornata a casa." sei tu a completare la sua frase "Ma presumo da sola."
La donna si ritrova ad annuire in maniera fin troppo celere. Ha lo sguardo fisso su di te, quasi ti sembra che non stia neanche sbattendo le palpebre.
Puoi supporre ciò che stia passando per la sua mente; d'altronde anche alla famosa caffetteria ti ha guardato in maniera non troppo... entusiasta. Sei sicuro che vederti qui, seduto sul divano della sua amica, sia l'ultima cosa che si sarebbe immaginata di trovare e anche l'ultima che avrebbe voluto vedere.
Tu fai una smorfia alimentata solo da questo pensiero, senza che l'interessata abbia effettivamente detto di nuovo qualcosa.
"Beh..." è la prima pseudo-parola che dice, ma O'Dampand la interrompe, intromettendosi:
"Signor Piton, lei è la mia amica Lois Chadwick. Le ho lasciato le chiavi per farle annaffiare le piante, ma mi sono scordata di avvertirla di essere tornata."
"Quali piante?" ti ritrovi a chiedere.
"Quelle fuori dalle finestre, non le ha notate?"
"No."
Nel frattempo O'Dampand ha posato una mano sulla schiena della signorina Chadwick, sospingendola delicatamente verso di te. Tu osservi il tutto con le sopracciglia entrambe inarcate. È palese come la nuova arrivata faccia volutamente solo dei piccoli passi per accostarsi al divano. E, oltretutto, il suo sguardo rimane fisso in maniera lievemente inquietante.
Ed irritante, ovvio.
Alla fine lei ti tende la mano.
"Sì, er... Salve." dice, ormai forzata.
Nessun 'Piacere'. Avresti dovuto supporlo.
Tu, dal canto tuo, non dici nulla, ti limiti a stringere le sue dita per giusto un secondo con la mano sinistra.
"È mancino?"
"No."
Attimi di silenzio. Un silenzio teso e imbarazzato. Per lei, per la signorina Chadwick, non di certo per te. Tu sei... relativamente tranquillo, credi. Ma la sensazione passa, ed è durata così poco che subito dopo non sei più così sicuro di averla davvero posseduta. Il fatto è la suddetta signorina, alla tua risposta sgarbata - che poi... sgarbata, è consistita in un unico monosillabo; la gente si fossilizza veramente sulle virgole e sui punti. O sui toni di voce. Ma i tuoi toni non è che siano di una così vasta varietà, dopotutto - ti guarda male, e per più di una mezza frazione di secondo. Fino ad ora ha sempre mantenuto uno sguardo sorpreso e allarmato, certo, come se tu potessi saltarle alla gola da un momento all'altro.
Alla gola. Ironico.
Ma evidentemente adesso ha capito che non lo farai, specie quando le hai stretto la punta delle dita. Forse ha capito che la violenza che potresti riservarle sarebbe quella di una parola o di un tono di voce, e allora lei ha assunto il coraggio per poterti guardare duramente.
Di coraggio, prima, non ne ha avuto neanche troppo, dato che O'Dampand ha dovuto spingerla verso di te. Quello di ora può veramente considerarsi coraggio? Di sicuro, in questo caso, lei ne ha molto poco e solo per le situazioni in cui è sicura di cavarsela, se fosse possibile misurarlo. Allora non con molta probabilità il suo dovrebbe essere considerato coraggio.
Ma non è poi questo il punto.
Il punto è che ti ha guardato come sei sicuro ti guarderebbe abitualmente.
Arrabbiata. Disgustata, forse. Nessuna ammirazione. Nessuna compassione. Per lei tu sei il Mangiamorte, l'assassino di Albus Silente e basta.
Oh, la cosa non ti è affatto simpatica. La cosa ti dà un pugno sul petto all'altezza del cuore, e non in maniera delicata.
Ma forse è meglio così che con un sorriso di pena sul viso.
Forse non è così male. D'altronde sono anni che non sei... simpatico alle persone. Forse devi solo abituarti ad una reazione un po'... maggiore rispetto a quella che di solito la gente ti riservava.
... Forse in realtà non lo sai neanche tu come vuoi essere guardato.
O forse lo sai, ma non riesci a decodificare i tuoi pensieri, in questo esatto momento.
La stanchezza mentale e di spirito non vengono poi così indebolite dalla stanchezza fisica, le tue speranze sono state decisamente vane.
A questo punto è O'Dampand ad intervenire. Dapprima fa un passo in avanti, posando delicatamente la mano sulla spalla della sua amica; noti, però, che il suo sguardo rimane fisso su di te. E' uno sguardo che ti sta studiando, ma che ben presto diventa uno sguardo che viene rivolto all'altra donna, dato che O'Dampand fa ancora un passo avanti, in modo da potersi affiancare a lei.
"Ti va una tazza di caffè? Stavo per metterlo su." dice lei, e finalmente anche la signorina Chadwick smette di concentrare tutta la sua attenzione solamente su di te.
"Sì... Sì, grazie, certo che mi va." è la risposta.
Oh, niente caffè, per te.
Non sai se per evitarti l'imbarazzo di una conversazione o se, semplicemente, per evitare che tu sia d'intralcio allo scorrere delle parole tra le due donne.
E così O'Dampand e la Chadwick escono da lì, rifugiandosi in cucina, chiudendo anche la porta dietro di loro.
Puoi solo supporre quale sarebbe la natura della loro conversazione, di cui riesci a cogliere solo poche parole, prima che tu venga lasciato fuori. 'Giornale', 'ancora?', ben poco altro. Poi rimani da solo.
In realtà, date le tue nuove... condizioni, potresti anche alzarti - faticosamente e lentamente, ma almeno potresti farlo, più o meno - e andare proprio accanto alla porta della cucina. Potresti rimanere lì, potresti attaccarti con l'orecchio proprio sul muro sottile, potresti ascoltare senza essere visto.
Non ti arrischieresti a spiare dal buco della serratura, ancora, sarebbe troppo rischioso.
Ma poi scuoti la testa; l'ultima volta che hai spiato qualcuno in una maniera simile hai ascoltato parole dettate dalla Divinazione. Ti sei sentito un codardo e un debole, dopo; farlo adesso non sarebbe diverso.
Anzi, sei sicuro che tali sensazioni verrebbero percepite persino in maniera amplificata.
Così tu rimani sul divano, in compagnia solo di te stesso, il libro ancora chiuso di nuovo sulle gambe, il palmo di una mano posato lungo la lunghezza della copertina.
Respiri a pieni polmoni.
Hai altro a cui pensare.
Altro che si materializza esattamente nell'attimo successivo, come se ti stesse aspettando, o come se tu l'abbia appena chiamato.
Inizi a sentire una sorta di ticchettio, da qualche parte. Forse quella è la giornata dei rumori improvvisi. Ma insomma, c'è questo... ticchettio, sì. Un ticchettio provocato da qualcosa di duro contro un vetro, per cui capisci subito di cosa si tratta e non ti sorprendi quando, voltandoti verso la finestra, vedi un gufo appollaiato sul davanzale esterno.
Lo fissi, per un attimo, ed è come se lui stia fissando proprio te.
E così, sebbene per una motivazione assai differente, sei costretto ad alzarti comunque, dato che O'Dampand non si fa viva e dato che tu non l'avresti di sicuro chiamata ad alta voce interrompendo la sua conversazione e apparendo come un vecchio bisbetico dispettoso.
... Immagine a cui tu vai pericolosamente vicino, ma non ti saresti dimostrato tale in questo esatto momento.
Ti alzi, dunque. Piano, come hai ormai già imparato a fare, ma non per questo con meno accortezza e attenzione.
Caracolli verso la finestra, e, quando vi arrivi, ti appoggi di peso con tutta la mano sul davanzale e con la spalla contro il muro lì accanto.
Il gufo non ha smesso di guardarti con i suoi occhi gialli per tutto il tempo. E proprio il gufo, una volta che riesci ad aprire la finestra per quel minimo indispensabile, entra senza fare assolutamente alcun rumore, lascia cadere il rotolo di pergamena che ha tra le zampe sul divano e, sempre volando, riesce dalla finestra.
Tu chiudi quest'ultima e guardi l'animale nel cielo, ormai già solo un piccolo puntino.
Singolare.
Di solito gli ingordi gufi aspettano almeno di ricevere qualche misera briciola di pane. Che tu non sai se gli avresti offerto, ma questo è un altro discorso.
Torni al divano. Sempre lentamente, sempre con attenzione, anche se i tuoi movimenti vorrebbero accelerarsi per la curiosità che ora senti vorticare nella tua testa. Perché quella lettera - o quel che è - è per te, non per O'Dampand, altrimenti il gufo avrebbe ticchettato contro la finestra della cucina - ti dici.
Quando sei nuovamente seduto, allora, prendi il rotolo: è tenuto fermo da un nastro nero; senza fiocco, il nastro termina in un comune nodo. Fortuna è un nodo semplice, non doppio, altrimenti scioglierlo con una mano sola sarebbe stato più complicato. Avresti dovuto usare i denti e la sensazione di un pezzo di stoffa in bocca non ti è mai andata particolarmente a genio.
Non puoi fare altro che leggere, allora, non appena spieghi il foglio di pergamena sulle ginocchia.
È una lettera di comparizione da parte del Ministero della Magia. C'è anche un timbro, alla fine del foglio, sopra la firma scarabocchiata di quello che dovrebbe essere – a detta della lettera stessa – il Rappresentate dei Servizi Amministrativi Wizengamot, tale Tiberius Ogden – ti sa di nome già sentito, ma non ricordi dove. Ti spiega come sei invitato – invitato – a presentarti al Ministero, in Aula Dieci, di lì a due giorni. Il motivo è inutile specificarlo, ma la parola 'processo' si ripete costantemente nella tua testa.
Fai tornare a rotolo quella pergamena. Anche se in realtà si può dire che vi sia tornata in maniera più che naturale, dato che, dopo aver finito di leggere, la tua mano sembra essere diventata troppo debole per poter mantenere una presa salda.
Una presa su un banale foglio di carta, già.
Ma, no, non banale; non è l'aggettivo esatto. Di aggettivi ve ne sarebbero a decine, a centinaia, ma no, banale non è tra questi.
Quando riprendi il controllo delle tue dita ti ritrovi a stringere il rotolo accanto alla tua gamba. Non ti viene naturale lasciarlo neanche per un momento. Il tuo sguardo rimane fisso, dapprima sul muro di fronte a te, poi sulle candele verdi sul tavolino, ormai spente.
Aspetti che la signorina Chadwick se ne vada, prima di dire qualsiasi cosa riguardo a quello che hai appena letto, e, quando lei lo fa, ti senti la bocca talmente asciutta che non riesci neanche ad articolare un vero e proprio saluto. Sgarbato o no che sia, non dici nulla che non sia somigliante ad un vago borbottio.
E quando rimani da solo con O'Dampand, allora, puoi spiegarti. Prepararla al disagio che sarebbe arrivato di lì a poco, come se ormai non fosse già abbastanza.
Per lei, ovvio, ma per te?
È abbastanza anche per te?

Sei seduto su una sedia di marmo. Anzi, più che una sedia sembra addirittura un vero e proprio trono: i braccioli ambi e rigidi, lo schienale alto e a punta, la base composta da un unico blocco di pietra grigio-bianca.
Strana sedia, per un imputato. Lo si vuole far sentire al sicuro, avvolto da una apparente regalità anche nel momento della condanna?
Tu sei seduto su questa sedia, e sì, sei l'imputato. Tutto attorno facce di uomini e donne che osservano in silenzio ciò che sta accadendo. Ma tu non hai occhi, per loro; per te sono solo vacue forme e vari colori, facce senza occhi e lineamenti, senza bocca, senza identità. Tu sei concentrato ad osservare l'uomo seduto più in alto, quello seduto più al centro degli altri, esattamente di fronte a te. Non lo conosci, ma è lui che decide, ora, è lui che ha tra le mani il tuo destino.
E il tuo destino ha preso forma materiale nella pergamena che l'uomo ha proprio nella sue mani. Si alza in piedi, lui, spiega il foglio, pronto a leggere ciò che la giuria vi ha impresso con inchiostro indelebile. Una condanna? Un'assoluzione?
Senti il sudore scenderti lungo la schiena.
Poi l'uomo fa un cenno con il braccio, rivolto a te. Un gesto annoiato. Anzi, no, non è rivolto a te, ma a qualcuno che si trova esattamente alle tue spalle. Stai per voltarti per osservare chi sia mai il destinatario delle mute parole del giudice, ma prima che tu possa girare la testa senti qualcosa premerti sul collo.
Un corda tesa. Ti preme ti schiaccia contro lo schienale, ti fa bruciare la carne. Alzi la testa, cerchi di guardare chi mai stia facendo questo, ma i tuoi occhi vedono solo facce scure e senza volto. Nere come quelle dei Dissennatori. Ma sono uomini, due, che ti stanno facendo mancare il fiato, lacerando la sottile carne del tuo collo.
Un grido ti rimane imprigionato in gola per via di quella corda.
"La sentenza." dice poi il giudice " L'imputato è colpevole."
Nessuno fa niente, nessuno ferma quegli uomini che ti stanno lentamente uccidendo. Per gli altri sembra tutto normale.
È così... Così doloroso.
Ti porti le mani al collo, nel tentativo di allargare la morsa della corda, ma non riesci. E puoi anche muovere entrambe le braccia, ti rendi conto. Come è possibile? Ma ha poco importanza, perché neanche questo basta, non c'è lo spazio per infilare neanche la punta delle dita, le tue unghie graffiano la fune e la tua pelle stessa, le senti rompersi una dopo l'altra con un sonoro 'crack'.
Solitamente si muore per strangolamento in pochi secondi, e non perché manchi il fiato, no, ma perché viene impedito al sangue di raggiungere il cervello.
A te però non succede così. Sono bravi, quegli uomini. Vogliono farti morire soffocato, più lentamente, in modo che tu possa continuare a vivere per il tempo necessario per ascoltare le ultime parole del giudice.
Perché nessuno fa nulla?
Dov'è O'Dampand?
La cerchi, ma non la vedi, scorgi solo volti senza faccia.
E il giudice riprende a parlare con voce metallica:
"Azkaban è un luogo di prigionia, ma non è ancora abbastanza per l'imputato Severus Piton. La punizione da infliggere deve essere più forte, da esempio. Azkaban non basta. La sentenza è morte."
Una risata si leva da un punto che non riesci ad identificare. Il giudice ha lo sguardo che sorride, ma ben presto anche lui diventa un uomo senza occhi.
E poi la corda scompare. Non sai perché, ma capisci che la sedia sotto di te, la sedia regale di marmo, è improvvisamente scomparsa anche lei. Il pavimento si apre e tu vieni inghiottito; cadi, ma immediatamente vieni inglobato da una poltiglia grigiastra, un lago di fango che ti avvolge e non ti lascia andare, se allunghi le mani verso l'alto, verso il buco del pavimento da cui ti guardano gli uomini dalla faccia completamente nera, un braccio melmoso ti tira giù, spire di serpente ti stringono all'altezza dello stomaco, il tuo volto e tutto il resto del tuo corpo ben presto ne vengono ricoperti.
Apri la bocca per gridare, ma quando lo fai la gola ti viene riempita di fango.
Non vedi più nulla. Non senti più nulla. Non respiri più. Stai morendo.

... Quando ti svegli ti rendi conto che un tuo urlo riecheggia ancora nella camera da letto.
Riprendi fiato come se tu non abbia mai respirato in vita tua. Hai proprio il fiatone, a dirla tutta, il tuo petto si alza e si abbassa il continuazione, sembra non essere mai sazio di ossigeno. Gli occhi sono così aperti che iniziano a pizzicarti.
L'hai capito.
Non vuoi morire, no.
E non vuoi neanche finire ad Azkaban.






Angolo Autrice:

Ehilà, bella gente! Come andiamo?
Che dire riguardo a questo nuovo capitolo... Spero vi sia piaciuto, è un capitolo un po' di lancio (ma non di passaggio!) per il prossimo capitolo, che sarà decisamente più... succulento.
E complicato.
E lungo.

Unica piccola nota che faccio su quanto avete appena letto, tanto per rispolverare la memoria:

"Non ci tieni a finire come durante la prima mattina che ti sei svegliato a Spinner's End, dopo che il San Mungo ti ha... 'dimesso'. In quel momento assomigliavi molto ad un poppante che non sapeva neanche gattonare."
Questa frase a inizio capitolo si riferisce a quando Piton, appena tornato a Spinner's End, era caduto a terra nella sua camera, non riuscendo a camminare, e, preso dalla frustrazione, si era pure ferito il braccio di sua spontanea volontà.

A parte questo, se avete altre domande o richieste non esitate a porgermele e... beh, qui le recensioni sono sempre ben viste, non siate timidi xD
Vi auguro una serena giornata, ci vediamo tra qualche tempo con il diciannovesimo capitolo!
Un saluto,
Iurin  

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