Capitolo Otto

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Quando ti svegli, ti senti estremamente rilassato. L'ultimo ricordo che hai è di te che, in pratica, bruci, e, in effetti, non sei neanche sicuro di poterlo considerare veramente un ricordo, tanto è stato improvviso, strano e fuori dal normale. Forse è stato solo tutto un sogno. Una cosa però la sai, e sei costretto a cambiare immediatamente idea: quello che hai visto e provato era reale, a meno che tu non ti trovassi sotto una sorta di sortilegio o maledizione, ma ne dubiti; malefici di quel genere non esistono.
Apri gli occhi, e noti che è mattina; noti anche che però non ti trovi nella tua stanza. Pareti bianche tutte attorno a te... Merlino, sei di nuovo al San Mungo. Fai per metterti seduto, senti la schiena scricchiolare appena, ma poi passa. Sì, sei decisamente al San Mungo, su una blanda branda di fortuna, nel laboratorio in cui ti hanno più volte fatto le analisi del caso.
Peccato, però, che intorno a te non ci sia assolutamente nessuno.
Che diamine è successo? Sei stato male? Beh, pare la risposta più ovvia, guardandoti intorno, e anche la più plausibile, a dirla tutta.
"Oh. È sveglio, signor Piton."
Ti volti, a quelle parole, e vedi che O'Dampand è appena entrata nella stanza. Si sta giustappunto richiudendo la porta alle spalle. La sua voce ti rimbomba un po' in testa, tanto che devi far passare qualche secondo prima di poterle rispondere.
"Mi pare... ovvio."
Lei si avvicina al tuo... 'letto', che, essendo appunto non il solito letto ospedaliero, con tanto di rotelle, ringhiere e meccanismi vari, è piuttosto... basso, cosicché sei costretto ad alzare il viso per poterla guardare meglio.
Sì, ti è venuto decisamente mal di testa. Ma, a confronto di quello che hai appena passato, pare una cosa piuttosto insignificante.
"Come si sente?"
"Che cosa è successo?"
"Caffè?" Ribatte, però, lei con l'ennesima domanda, e subito ti offre una tazza di – si presume, a questo punto – caffè "Me l'hanno appena preparato giù, in caffetteria."
"La caffetteria del San Mungo?" Allunghi una mano, e prendi comunque la tazza che lei ti sta offrendo, anche se per il momento non te la porti ancora alle labbra "Ci credo che me lo sta... regalando, deve essere qualcosa di abominevole."
"Sì, ma mi dispiaceva buttarlo."
O'Dampand fa un leggero sorriso, ma tu ovviamente non ricambi. L'idilliaco momento dello scambio di battute –o quello che erano – è finito, e adesso vuoi sapere cosa è successo durante la notte. Lei pare leggertelo praticamente in viso, perché fa un lieve sospiro, e anche lei cambia espressione, assumendone una più seria.
"Si è sentito male." Spiega alla fine lei, allora "Si agitava, diceva parole senza senso, o comunque troppo farfugliate per poter essere capite, e poi – Merlino – era semplicemente bollente. Sono una guaritrice, insomma, di gente malata ne vedo a bizzeffe, ma le assicuro che una persona con la sua temperatura probabilmente non l'ho mai sentita in vita mia." Ah, beh, detieni un primato in qualcosa, almeno "E poi stava ad occhi aperti e fissi, insomma... Mi crede se le dico che non era proprio un bello spettacolo?"
"Io mi sentivo anche peggio, quindi sì, posso immaginarlo. Come se n'è accorta, scusi?"
Ti ci manca pure, a discapito di tutto, che adesso venga fuori che lei, durante la notte, sia abituale ad entrare di soppiatto in camera tua per controllarti o... qualsiasi cosa debba fare una guaritrice, o un'infermiera, o quel che è.
Sarebbe estremamente inquietante.
"Stavo andando a letto." Dice, comunque, O'Dampand "Mi ero appena fatta un tè, ecco perché mi trovavo in corridoio. E poi, nulla... Ho sentito la sua voce, pensavo stesse chiamando me, e, quando sono entrata, le ho già detto come l'ho trovata." Ah, che cosa avvilente "Il professor Sherman ha supposto subito che fosse la pozione che ha preso prima di andare a letto, quella nuova."
"Sherman?" Ti sfugge dalle labbra "E' qui? Quell'inetto? Certo che è stata la sua pozione, una pozione preparata da incapaci!"
"Oh, non è stato un incompetente, è solo capitato un... incidente di percorso." Fa un leggero sorriso, nel risponderti, invece di – avresti supposto – dirti con professionalità che il professor Sherman sta facendo tutto quello che è in suo potere per aiutarti.
"C'è mancato poco che perdessi la vita, altro che incidente di percorso." Dici allora, lentamente, guardandola di sottecchi e aspettando la sua nuova risposta, perplesso.
Una frase sulla quale, sul momento, piuttosto significativa, ma sulla quale non ti soffermi, data la discussione abbastanza concitata.
"Già. Ma l'ho portata qui, e tutto si è risolto. Ecco perché mi deve un favore."
Sollevi entrambe le sopracciglia, a quel punto, continuando a fissarla. Ecco dove vuole andare a parare...
Ma perché, poi?
"Prego?"
"Ma sì..." O'Dampand guarda, per un momento, verso un punto indeterminato della stanza, facendo oscillare appena i capelli biondi un po' arruffati, per poi intrecciare le braccia al petto e tornare a puntare gli occhi su di te "Se io non fossi accorsa prontamente, e soprattutto non mi fossi decida a portarla qui..."
"Mi pare un po' superficiale come spiegazione; ha fatto il suo lavoro e nulla di più, O'Dampand."
"Ma avrei potuto lasciarla lì e concludere il mio lavoro con parecchio anticipo."
Incurvi un angolo delle labbra verso l'alto, non lasciandoti abbindolare.
"Riceverebbe quella famosa nota di demerito, allora."
"O forse no. Sa... Era notte fonda, i suoi lamenti non erano poi così forti. E in più la pozione che ha preso non le è stata prescritta da me, ma dal professor Sherman." Fa un lieve sorriso "Avrei potuto dire di essere arrivata troppo tardi e... beh, non sarebbe stata proprio colpa mia."
Stavolta sei tu a fare una pausa, prima di parlare.
Quindi che cosa aveva fatto lei, un... atto caritatevole? Oh, che persona premurosa. Peccato che ora voglia qualcosa in cambio!
Altro che guaritrice professionale, esperta, eticamente corretta. Non appena se ne presenta l'occasione, non perde tempo!
È un'approfittatrice, quella O'Dampand, semplicemente un'approfittatrice, e adesso una persona del genere devi averla vicino costantemente, addirittura.
Il destino non fa che beffarsi di te; continua, imperterrito, a darti scacco matto, ridendo forte e orgoglioso di sé. Un giullare maligno, che invece di far gioire i suoi spettatori, è tutto l'opposto.
"Quindi siamo arrivati a questo." Dici, infine "Adesso devo guardarmi le spalle anche da lei. Immagino, allora, che anche questo caffè nasconda una minaccia mortale."
"Oh, non succederà nulla, se lei farà qualcosa per me. Per... sdebitarsi, ecco, e poi saremo tutti e due amici come prima." Spiega "E, comunque, quel caffè è a posto, per la cronaca, non si preoccupi."
"Tanto di cappello." Concludi con tono lugubre.
E comunque la tazza di caffè si è ormai raffreddata, tra le tue dita.
È la prima volta, a pensarci bene, che vieni ricattato nel senso stretto del termine, solo che mai avresti immaginato che una tale... nuova esperienza ti si sarebbe presentata in simili circostanze. Che diamine vuole, poi, O'Dampand, da te? In quel momento, per lei, puoi fare ben poco, d'altronde.
Forse vuole informazioni sul Signore Oscuro, su qualche Mangiamorte... Forse la guerra non l'ha toccata superficialmente come vuole lasciar trasparire, magari la sua famiglia è composta da alcuni... beh, Nati Babbani, e per questo è stata perseguitata.
O forse invece lei è interessata a ben altro, magari proprio direttamente alla Magia Oscura, e vuole che tu gliene insegni i segreti.
Salazar, questa è l'ultima cosa che ti saresti aspettato, e, sinceramente, non ne senti affatto il desiderio.
"Siamo d'accordo, allora?" Fa lei.
Tu, dal canto tuo, la guardi con tutto il disprezzo di cui sei capace.
"La sa una cosa, O'Dampand?" Dici, e il disprezzo stavolta emerge anche dalla tua voce "Faccia come vuole, non mi abbasserò ad una simile, ignominiosa costrizione."
L'espressione di lei si fa un po' incerta e – oseresti dire – dispiaciuta.
Facesse pace con la propria mente bacata.
"Signor Piton, la cosa andrebbe solo a suo svantaggio, glielo assicuro."
Minacce, ancora. Devi veramente temerla, dunque?
Quanto ti stia sui nervi non riesci neanche a quantificarlo.
Non fate in tempo a dirvi nient'altro, però, perché proprio in quell'istante la porta si apre nuovamente, ed entrano velocemente Sherman e Witherington. L'allegro duo.
Tu, nel frattempo, ti allunghi con un braccio verso il tavolo, per posare la tazza di caffè. A dire il vero, potresti utilizzarla in un modo migliore tirandola addosso ad O'Dampand, ma supponi che ormai sia passato il momento perfetto per farlo.
"Buongiorno, signor Piton!" Esordisce Sherman, in ogni caso.
"Direi che di buono questo giorno ne abbia veramente poco."
Anche meno di tutti gli altri di quello stesso periodo.
Ma immagini che Sherman adduca la tua affermazione al fatto che sei quasi morto, per la seconda volta, per praticamente lo stesso motivo, l'avvelenamento. E, sebbene il tuo malumore sia causato anche da altro, Sherman ci ha di sicuro messo del suo, ergo continui comunque a fissarlo in maniera accusatoria.
"Mi spiace per quanto successo." Continua, dunque, lui "Sono veramente desolato. Credevamo che la pozione avrebbe avuto degli affetti positivi, tanto miracolosi quanto quelli di neanche troppo tempo fa."
Beh, ti pare ovvio. Ci sarebbe anche mancato che ti abbia fatto ingurgitare quella roba senza pensare quello che ha appena detto.
"Delle sue scuse non me ne faccio nulla, francamente. Ma ha capito cos'è stato?" Chiedi allora, con tono piatto.
Lui sospira.
"Forse. D'altronde sappiamo cosa vi abbiamo aggiunto di nuovo, per cui non può che essere stato quello." Tira fuori dalla tasca interna del proprio camice una fialetta piena di pozione e opportunamente sigillata.
Riconosci in essa ciò che ti ha fatto sentire male.
Ironia della sorte, ora ti si è rivoltata contro anche quella branca della magia che tu hai seguito e curato con tanta dedizione.
Che cosa ti rimane?
A quel punto, comunque, Sherman fa semplicemente cadere la fialetta nel secchio della spazzatura presente nella stanza.
"Fortunatamente abbiamo stabilizzato le sue condizioni non appena la signorina O'Dampand l'ha portata qui." Per poi utilizzare quell'avvenimento per ricattarti, certo "Ed ora... riprenderà la vecchia cura, mentre noi continueremo a cercare un'alternativa."
"Sì... Magari prima assicuratevi della sua efficacia su qualcos'altro. Io suggerisco i topi, ma immagino lo sappiate già da voi. Si suppone, almeno."
Ghigni appena, specie quando Witherington assottiglia quasi impercettibilmente le labbra; Sherman invece si limita ad annuire, anche se forse un po' troppo frettolosamente.
"In ogni caso" Continui, comunque, tu "Avrei una domanda."
"Certo. Certo, mi dica." Ti risponde immediatamente Sherman.
"Giusto a titolo informativo... Do per certo che abbiate ritenuto superfluo parlarmene, d'altronde immagino vi interessi poco e che per voi sia indubbiamente qualcosa di poco conto, ma... se non è di troppo disturbo, potrei sapere dove diavolo è finita la mia bacchetta, per Salazar?"
Passa qualche momento di puro silenzio e di immobilità. L'unica cosa che si muove sono le foglie di un albero fuori dalla finestra, e il tuo sopracciglio che si inarca nel constatare quanto tempo ci sta mettendo Sherman per rispondere.
"Deve perdonarmi, signor Piton..."
"Oh, la trovo una cosa troppo al di fuori della mia portata."
"... ma, tra tutto quello che è successo, mi è passato di mente."
Fai una smorfia. Avresti voluto vedere lui, senza la sua bacchetta.
"In ogni caso non c'è molto da dire." Si intromette allora Witherington, parlando così per la prima volta, quel giorno "Quando l'hanno portata qui non l'aveva con sé, e chi l'ha appunto portata qui non ci ha detto nulla a riguardo. Sa, a portarla qui è stato--"
"Sono già a conoscenza della sua identità, grazie."
"Ma se ne volete una" Si affretta ad aggiungere Sherman "qui ne abbiamo diverse, molte lasciate da pazienti che, ahimé, non ci sono più o a cui sono state requisite per la loro stessa sicurezza."
Un'altra smorfia ti compare sul viso praticamente da sola.
"Non ci tengo ad entrare in possesso di una bacchetta appartenente ad un'altra persona." Ci tieni a precisare "Specie se questa persona è morta o mentalmente instabile. È evidente che non siete sufficientemente preparati sull'argomento."
Al che emetti un suono vagamente simile ad uno 'tzk'.
Tanto vale, a questo punto, comunque, andare a comprare un'altra bacchetta direttamente da Olivander. Certo, sempre se ha ricominciato a lavorare...
Ma comunque, dettaglio niente affatto trascurabile, stando alle parole di 'quei due', o la tua bacchetta è andata indiscutibilmente perduta, oppure – opzione ugualmente poco idilliaca – in quel momento ne è in possesso Potter.
Deve sempre ricondurre tutto a lui, eh?
Nel primo caso, la cosa ti dispiacerebbe; quello sarebbe uno dei pochi casi in cui sul serio proveresti una tale sensazione. Quella bacchetta è la stessa che hai comprato quando avevi solo undici anni, è l'unica bacchetta che tu abbia mai avuto, l'hai sempre curata anche più del dovuto, l'hai custodita come fosse una vera e propria reliquia. È sempre stata, nella tua più acerba giovinezza, ciò che ti contraddistingueva da un comune e noioso Babbano, e mai, mai, avresti voluto che andasse persa.
Nel secondo caso, non c'è neanche bisogno di dilungarsi in commenti di qualsiasi genere. Potter, semplicemente, continua ad essere una palla al piede anche a chissà quante miglia di distanza.
Dovresti vederlo, per fartela restituire; sempre se veramente Potter la tiene con sé. E ovviamente Potter per rendertela ti proporrà diparlare, anzi, lo pretenderà. Altro ricatto, dunque – un ricatto idiota, certo, ma caso strano da Potter una cosa del genere potresti anche aspettartela.
"Capisco." Dici, allora "Non approvo affatto la vostra condotta, ma capisco quanto mi sta dicendo. Lessicalmente parlando." Fai una breve pausa "E' tutto?"
C'è un'altra pausa, dato che il diretto interessato ci mette un po', a rispondere.
"Sì, può tornare a casa, signor Piton." Dice, infine, in un sospiro.
Evidentemente è riuscito a notare che non sei particolarmente trattabile, quella mattina.
E, così, ti lasciano andare via, promettendoti che sarebbero riusciti a sbloccare quella spinosa situazione.
Tu, con le promesse fatte al vento, ci fai poco e niente.
E, quindi, rimanete soltanto tu e O'Dampand, che, senza fretta, andata via dal San Mungo. Senza fretta e in silenzio, soprattutto; e non è uno di quei silenzi tranquilli in cui semplicemente non c'è bisogno di dire nulla perché 'si sta bene così'; e non è neanche simile a quel silenzio maturato quando vi siete parlati per due giorni.
Guardi la sua espressione e la noti tranquilla. Molto... serena.
Ah, pure il gioco di parole.
Ti dici che lei non dovrebbe avere quella faccia, dovrebbe trasparire da lei preoccupazione per quello che vuole fare e farti fare, l'ansia derivata dal fatto che potresti anche opporti a qualunque suo capriccio idiota, e invece no. Ciò vuol dire che lei è abituata ad un simile comportamento, magari ha ricattato tutti i propri pazienti, durante la sua carriera; scova i loro punti deboli e quando può ne ricava un tornaconto personale.
Sicuramente è per questo che tempo prima ti ha detto di volerti conoscere. Beh, più o meno. Tu hai associato una simile volontà ad una sorta di gentilezza cronica, di... malattia femminile di non riuscire a farsi gli affari propri fino in fondo, e invece si trattava semplicemente di quello.
Trovare qualcosa che ti convincesse a farti fare un 'favore'.
Tu hai fatto più che bene a non darle la confidenza che poi neanche si meritava. Sarebbe stata soltanto l'ennesima delusione.
Perché ora non sei deluso. No. Assolutamente no. Quella cosa che senti è solo una profonda e persistente arrabbiatura.
E quindi il silenzio permane per tutto il tragitto, la successiva Smaterializzazione, e l'arrivo in quella discarica umana che è Spinner's End.
Tua madre ti avrebbe detto di non disprezzarla, quella zona, dato che, in fondo, è il luogo in cui vivi e in cui hai una casa, un tetto che ti ripara.
Tu non le avresti risposto, e ora preferisci non pensare a tali ipotetiche conversazioni con gente che neanche c'è più. La cancelli semplicemente dalla tua mente.
In ogni caso, stranamente, stavolta per le strade c'è un po' di movimento in più, persone che non ti vedono da quasi un anno, ed ora tu ti presenti a loro... beh, così.
Non che ti interessi il loro giudizio, ma in questo modo le loro lingue non faranno altro che alimentare i pettegolezzi su di te. Semmai esistano veramente, certo.
Sì, è vero, Spinner's End non è frequentata come se fosse, per esempio, il centro di Londra, e la gente tende a rimanere a casa, ma ciò non vuole dire che le voci non circolino ugualmente.
Semplicemente perché è da secoli che le persone provano quell'ebbrezza folle nel cercare di capire cosa accada nella vita di un altro, perché si è comportato proprio in quel modo, perché ha sempre quell'aria burbera, perché nessuno va mai a trovarlo?
Come se tutto ciò fosse un crimine, una cosa così strana da indurre chiunque sia abbastanza vicino ad... investigare, neanche siano stati distribuiti diplomi da detective agli angoli delle strade.
Da che mondo è mondo le vedove che si riuniscono per l'ora del tè non fanno altro che parlare, parlare, parlare di fatti che non le riguardano affatto, tanto per il gusto di fare supposizioni. È così che, ne sei certo, cercano sollievo dalla loro povera, squallida, miserabile quotidianità.
Tu non hai mai avuto l'onore di provare l'ebbrezza data dalla scoperta di un nuovo pettegolezzo, l'eccitazione dovuta al diffondere personalmente la diceria, come se fosse qualcosa di importanza vitale, come se un simile, importantissimo segreto debba necessariamente essere di dominio dell'intero quartiere.
Tu di segreti ne hai conservati a bizzeffe, contro o non la tua stessa volontà, per necessità. Il pettegolezzo è un tanto infimo surrogato di ciò che hai vissuto che neanche dopo cinquant'anni proveresti anche un solo briciolo di soddisfazione nel venire a sapere che sì, è vero, il piccolo Michael in realtà è il figlio del lattaio.
Altri si crogiolano nelle disgrazie altrui, perché è ovvio che le dicerie non includano niente di positivo. Oh, no, spargere buone voci non è... divertente.
Quindi immagini la goduria di quelle stesse vedove, che si riuniscono a turno nel salotto di ogni membro del loro ristretto gruppo arteriosclerotico, nel magari affacciarsi dalla finestra e notare te, il lugubre inquilino della casa accanto che torna a casa... così.
Oh, sì, è come se vedessi sul volto di ognuna di loro l'espressione sorpresa, è come se sentissi il rumore degli ingranaggi rattrappiti del loro cervellino cominciare lentamente a muoversi per giungere alla banale, arrugginita deduzione.
E poi, come se non bastasse, non hai più bisogno neanche di immaginare, perché la classica vecchietta con cappellino fucsia e gonna a fiori, pronta subito a parlare con gli stessi esemplari della sua specie, ti si para semplicemente davanti, una volta girato l'angolo. O'Dampand è costretta praticamente a fermarsi.
"Signor Piton!" Quasi esclama quando ti riconosce, dopo averti fissato anche troppo con i suoi occhietti indagatori "Quasi non l'avevo riconosciuta." Ecco, appunto.
In teoria neanche dovrebbe sapere come ti chiami – e, a pensarci, è probabile che il tuo nome di battesimo sia effettivamente un mistero, per lei – ma i Piton abitano in quella zona da generazioni, è inevitabile che ormai i tuoi vicini sappiano chi sei. Di facciata, certo.
Forse è anche per questo che presumi che tu, in realtà, quella zona della città non riuscirai mai ad abbandonarla; non l'hai fatto finora nonostante tu ne abbia avuta la possibilità, dopotutto; ti ha risucchiato tra i suoi tentacoli, ormai.
"Signora... Jefferson." Ti pare si chiami così, quando fai un cenno del capo per farle capire che la conversazione è già finita.
Lei non ti corregge, quindi immagini di aver anche... azzeccato il suo cognome.
Effettivamente lei si fa un po' da parte, dimodoché O'Dampand possa riprendere a muoversi – sei circondato da donne spiacevoli – solo che lei non pare affatto aver demorso: continua comunque a guardarti, lo senti, e senti il rumore delle sue scarpe sul marciapiede rimanere vicino a te, non allontanarsi come sarebbe dovuto succedere. Alzi lo sguardo notando, così, che si è messa a camminare affianco a te, anziché continuare per la propria strada, ovvero nella direzione esattamente opposta alla tua.
"Che le è successo?" Continua dunque lei, evidentemente non intenzionata a lasciarsi sfuggire quella succosa novità sul burbero di quartiere.
O'Dampand si ferma nuovamente, addirittura, come se pensasse che tu voglia veramente cominciare una conversazione con quell'inutile vecchietta Babbana.
"Mi pare evidente." Rispondi lentamente "Ho avuto un incidente."
"Oh, Signore, è finito sotto una macchina?"
Fai scocchiare appena le labbra, qualche secondo più tardi.
"Sì, esattamente."
"Oh, lo sapevo, scommetto che è stato uno di quei giovani che hanno appena preso la patente. Quelli lì fanno sempre gli spericolati, e poi ecco! Ecco qui che cosa succede!" Lei scuote la testa in segno di disapprovazione, come se questo potesse darti conforto.
Ti viene quasi da ridere. O di affatturarla, a seconda dei casi.
Poi si mette a guardare O'Dampand.
"E lei chi è, signorina?" Chiede col sorriso di chi sa che alle cinque del pomeriggio ci sarebbe stata una bella riunione.
O'Dampand fa anche per parlare – è ingenua, quando vuole – ma tu la precedi senza problemi.
"E' mia sorella." Dici "Mi darà una mano fino a quando non mi sentirò un po' meglio."
"Sua sorella?" La sorpresa è ovunque, nella sua figura "Non sapevo avesse una sorella! E ad osservarla non assomiglia a lei neanche un po', no, no."
Scommetti che quella frase sia una sorta di complimento rivolto ad O'Dampand.
"Sì, è mia sorella, signora... Jefferson." Continui allora tu, con l'intenzione di concludere "Non vedo come lei potrebbe essere più esperta di me sulla mia famiglia. Credo non ci sia il tempo per un esame del DNA, comunque. E, ah, tanto per la cronaca." Aggiungi, infine, alzando le sopracciglia e allungando appena il collo verso di lei "Il mio... incidente non è stato causato da uno di 'quei giovani',anzi: la persona che l'ha causato avrà avuto più o meno la sua età, signora Jefferson. Proprio come lei... ."
Incurvi gli angoli delle labbra verso l'alto, soddisfatto, mentre è palese che la seccatrice stia cercando di formulare qualcosa da dirti. La precedi senza alcun problema anche in questo caso.
"Arrivederci." Concludi davvero, per poi girare la testa appena appena verso O'Dampand, il tono un po' più cupo "Andiamo, avanti."
E O'Dampand finalmente ricomincia a muoversi, tu ti volti di nuovo in avanti, quindi non sai se le due si siano scambiate qualche occhiata, ma poco ti interessa, alla fine.
L'importante è che stai raggiungendo casa tua, e che il rumore delle scarpe della Jefferson stavolta si sta veramente dirigendo dalla parte opposta alla tua.
Possibile che non avvenga mai nulla, nulla, per il quale tu non maledici il momento in cui apri gli occhi ogni singola mattina?
Alla fine riuscite ad arrivare a casa senza ulteriori interruzioni, fortunatamente.
Anche se quella giornata, in sé, di fortunato ha avuto ben poco.
Sì, beh... Ti hanno 'salvato la vita' – dopo avertela messa loro, in pericolo – ma sul momento pensi sia un dettaglio non molto rilevante.
"Alla fine quel caffè non l'ha preso." Ti dice improvvisamente O'Dampand, interrompendo quel silenzio irritante, reso ancora più irritante dalla sua irritante presenza – e stavolta è vero – con la sua voce irritante e con quel sorriso irritante sul viso "Preparo la colazione?"
"Faccia quello che le pare." Le rispondi in malo modo, muovendoti lentamente da solo, dato che lei ti ha praticamente mollato appena oltrepassata la porta.
E no, il fatto che tu abbia fatto una specie di grugnito infastidito non è stato un buon motivo per farlo.
"Faccia come le pare." Dici, dunque "Tanto sembra proprio che la cosa le riesca fin troppo bene, no?"
Lei è sulla soglia della tua cucina, e quando la guardi – dato che non stai ricevendo alcun commento per la tua insinuazione – la vedi con un'espressione... incerta. Di nuovo.
"Ah." Dice infine, con una sorta di sospiro di chi ha capito di cosa si sta mai parlando "Ah, sì, capisco che intende."
Tu aggrotti le sopracciglia, continuando a fissarla. Poi, però, la lasci... visibilmente perdere e ti concentri sul fatto che ti stai spostando.
"Però... Mi dica, gliela preparo o no, la colazione?"
"No." La soddisfi laconicamente "Vado di sopra."
"Aspetti, ce la porto i--"
"Non ho bisogno di lei." Le sibili contro voltandoti di nuovo verso di lei, di scatto, cosa che ti causa anche una sorta di forte pizzicore al collo, ma il passo indietro che fa lei per la repentina sorpresa è quasi un sollievo naturale.
Nei momenti immediatamente successivi devi concentrarti completamente nella coordinazione dei muscoli delle braccia: la rampa che ti porta al piano di sopra non è eccessivamente ripida, ma ritrovarsi a camminare all'indietro a causa della forza di gravità per poi ritrovarsi nuovamente in salotto sarebbe... tremendamente disdicevole.
O'Dampand, comunque, ha preferito farti fare come da te deciso, senza intromettersi più di tanto, dicendoti che, allora, ti avrebbe chiamato per pranzo.
Evidentemente guardarla in maniera estremamente omicida funziona.
Arrivi in camera tua, dunque, e ti sistemi lì senza che fortunatamente ad O'Dampand venga la brillante idea di rompere la promessa appena fatta e di salire fin da te per disturbarti con chissà cosa.
Certo, dopo quello che ti ha detto quella stessa mattina te lo aspetteresti, a pensarci; perché preannunciarti di volerti chiedere un 'favore', se poi durante tutta la giornata non ne fa più menzione? Dubiti che lei sia avvezza alle torture psicologiche dell'attesa. Ma la giornata è lunga, e, per quanto tu ne sappia, potrebbe parlartene direttamente a pranzo; sempre che tu scenda davvero nuovamente al piano di sotto e non decida di rimanere costantemente nella tua stanza, il luogo, a quanto pare, che O'Dampand aveva invaso il meno possibile con la sua presenza.
È rimasto... puro, si può dire.
Beh... puro. Meno contaminato, più che altro.
Così, alla fine, l'ora di pranzo arriva veramente. Senti la pendola del salotto, anche da lì dentro, scoccare l'una del pomeriggio, e un secondo dopo i passi di O'Dampand e il suo consecutivo, leggero bussare sulla tua porta.
"Signor Piton, se vuole scendere..." Dice lei, rimanendo, comunque, al di là della porta.
"Sto bene, qui." Le rispondi tu "Non ho fame."
Oh, sai che questa frase la irrita terribilmente, e se tu, durante quella giornata, devi essere terribilmente irritato, non sarebbe affatto giusto se un po' di questo fastidio non ricadesse anche su di lei, no?
Come poi ti stavi proprio immaginando un momento prima, a quelle partole O'Dampand apre direttamente la tua porta ed entra nella stanza. Giusto facendo un paio di passi in avanti. Stranamente, però, sul volto non ha quell'espressione di delusione mista a fastidio o chissà cosa che le hai visto già precedentemente. Stavolta sembra piuttosto tranquilla.
Ma, tanto, quella giornata strana è iniziata e strana prosegue, quindi la cosa neanche dovrebbe sorprenderti più di tanto.
"Preferirei che scendesse comunque. Così, almeno, possiamo parlare." Fa lei.
"Vedo che non perde tempo, signorina O'Dampand." Osservi.
"Ho avuto modo di... studiarla un pochino, per modo di dire, e ho capito che con lei è meglio andare dritto al sodo."
Ti esce uno sbuffo apparentemente divertito.
"Mi ha studiato, O'Dampand? Oh, lo so." Fai, incurvando un angolo delle labbra verso l'alto "Ma lei, di me, non sa proprio un bel niente." Fai una pausa "O forse tutto, il che è esattamente la stessa cosa."
Lei inclina per un momento la testa di lato, guardandoti dubbiosa.
"Scende a parlarne?" Chiede nuovamente, molto probabilmente per avere una conferma che l'avresti davvero seguita.
Tu sospiri.
"Non penso di avere un'alternativa. Mi ha intrappolato in casa mia."
"Ah, non sia troppo drastico con le parole, dobbiamo solo parlare come due persone civili."
"Dubito che l'argomento possa concernere un tale aggettivo; e per una volta non sarà neanche a causa mia."
Lei si avvicina, a questo punto, dato che tu non le hai detto di stare lontana come poco prima, presumibilmente per portarti di sotto, come sempre. A pensarci potresti benissimo attendere una frazione di secondo, aspettare che lei si nella posizione giusta, afferrare la lampada sul comodino e... galantemente fracassargliela addosso. In un modo o nell'altro potresti anche riuscire ad impossessarti della sua stessa bacchetta.
Ma non sei mai stato un tipo... manesco. Ai pugni preferisci i duelli magici, e questi ultimi non danno agli altri neanche l'impressione che chi colpisce accidentalmente o meno una donna sia una sorta di misogino.
Quindi, tanto velocemente quella – sei pronto ad ammetterlo – malata idea ti è entrata in testa, tanto velocemente se ne va, e, quando lei si avvicina, la lampada rimane al suo posto, e tu, quietamente, vieni condotto prima in salotto, e poi in cucina, al tuo solito posto attorno al tavolo, anche stavolta con un piatto fumante pronto lì ad aspettarti.
"Che cosa vuole?" Dici subito, abbandonando il finto tono conviviale di poco prima e assumendone un altro infinitamente più serio e furioso, cosa che effettivamente sei fino in fondo.
"Vorrei che mangiasse il pranzo."
Riduci gli occhi a due fessure.
"Le ho detto che sarei venuto qui per parlare delle sue idiozie e su cosa dovrei mai fare per non ritrovarmi improvvisamente un coltello da cucina in pieno petto nel cuore della notte. Non per mangiare. Quindi parli, O'Dampand."
Lei sbatte per un paio di volte le palpebre, assimilando per bene quello che le hai appena sciorinato. Non troppo velocemente, certo, ma sono sempre un mucchio di parole.
La ragazza dei rebus, ah.
Poi, in ogni caso, lei ti fa uno dei suoi sorrisi.
"Le ho appena detto qual è la mia richiesta, signor Piton, non c'è bisogno che lei mi attacchi in questo modo."
"Quello era solo il mio modo di... conversare. E in ogni caso... Prego?" Inarchi un sopracciglio.
"Le ho appena chiesto di mangiare il suo pranzo; magari assieme a me, ma in caso contrario accetterò il suo voler stare da solo." Ti spiega lei, sempre sorridendo "Vorrei che mangiasse tutti i pasti che le preparo, invece che costringermi a buttarli nell'immondizia, tutti quanti. È questo il... favore che le chiedo."
Sta scherzando?
Tutta quella storia, sin da quella mattina, sin da quando ti sei appena svegliato dopo essere stato intossicato, per... quello?
Sta scherzando?
Se la frase che lei ti ha appena esposto non ti avesse lasciato completamente attonito... forse – forse – avresti anche potuto metterti a ridere. Di nuovo. O forse no, ma al momento non è questo che conta.
"O'Dampand." Riesci a dire, infine "Mi pare avessimo già chiarito a sufficienza il fatto che lei voglia comportarsi come la mia balia. Se ha degli... istinti materni, vada a trovarsi qualcuno con cui riprodursi. Se si apposta di notte in un vicolo buio qui vicino, non dovrebbe avere troppi problemi."
Sei sicuro di averla insultata, tra le righe, ma lei continua incessantemente a tenere quel sorriso sulle labbra.
"Non voglio farle da balia, certo che no, le sto solo chiedendo il favore di cui abbiamo parlato stamattina."
"Abbiamo due idee decisamente diverse su come funzionano i ricatti."
"Ciò non toglie che se non soddisferà la mia richiesta potrebbe veramente rischiare di ritrovarsi improvvisamente un coltello da cucina in pieno petto nel cuore della notte'."
Stavolta inarchi entrambe le sopracciglia.
Lo sai cosa ha in mente, lo sai benissimo. E non avresti mai pensato che lei sarebbe arrivata a tanto solo per... per...
Tutta quella storia del ricatto...
Ti hanno messo in casa una squilibrata.
"Lei vuole che io... mangi." Dici, molto lentamente "Per cosa, di grazia, evitare che io rischi di morire di fame?"
"Se vuole, può vederla anche in questo modo, certo."
"Però, se non lo faccio, lei mi ucciderà." Fai una breve pausa. "Oh, ha molto senso, certo." Continui, ironico.
Lei non molla, tiene ancora le labbra incurvate leggermente all'insù.
"Sì, proprio così."
"Lei è pazza."
"Forse." E continua a sorridere. Oh, sai che non sta dicendo sul serio, sa che vuole solo zittirti "Allora, siamo d'accordo, signor Piton?"
O'Dampand ti porge la mano, la sinistra, ricordandosi che l'altra tu non la puoi muovere.
Fai una smorfia chiara, la più visibile che riesci a riprodurre, e poi allunghi la mano verso la sua, afferrandola. È lei a stringerla e a scuoterla un paio di volte dall'altro in basso, comunque.
Tu ti limiti ad enfatizzare il tuo stato d'animo con una sorta di grugnito seccato.
"Perfetto!" Il suo sorriso è diventato più grande, e, se non la smette, immagini che le verrà una paralisi facciale. Almeno avreste qualcosa in comune, così.
"Spero che la carne di manzo le piaccia." Aggiunge, infine.








Angolo Autrice

Buon salve! :D
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, detto in soldoni. Io lo vedo come un'evoluzione del rapporto (o quello che è, insomma) che si è instaurato tra Piton e Serena.

In più c'è anche tutta quella faccenda sul cibo (ultimamente il cibo è onnipresente, nelle mie storie. Vabbè.): ho ribadito più volte, nei capitoli scorsi, quanto Piton non voglia mangiare, che è dimagrito, che si sente debole e bla bla bla xD Così, in questo capitolo, c'è una svolta anche sotto quel punto di vista!

Oh, un altro piccolo appunto, specialmente per quanto riguarda la questione morte (*musica lugubre di sottofondo*): se notate un'inversione del pensiero di Piton, rispetto a quanto invece detto nello scorso capitolo, sappiate che la cosa è voluta da me proprio in questo modo :) Piton ha subito un (altro) forte trauma, credo sia abbastanza normale che alcuni suoi pensieri siano un po'... sconnessi. E comunque, con una frase apparentemente buttata lì a caso, verrà tutto spiegato meglio in uno dei prossimi capitoli ;)

Beh, che aggiungere, vi invito a recensire e a rendermi partecipe delle vostre impressioni, mi farebbe molto piacere.

Detto ciò... Alla prossima!
Un abbraccio,
Iurin

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