Capitolo Quindici

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La strada che vi riporta a Spinner's End ti ritorna vagamente più familiare quando i minuti trascorsi cominciano ad aumentare sempre più di numero. Sei sicuro, adesso, che, voltandoti completamente indietro, neanche la vedresti, la caffetteria. Se davvero tu lo facessi, oltre a non vedere nulla se non palazzi anonimi o negozi e vetrine di altro tipo, ti ritroveresti davanti la figura di O'Dampand, o, meglio, le sue mani posate su quelle specie di manubri attaccati proprio dietro la tua nuca. Sulla sedia metallica, ovviamente, ma proprio a quell'altezza, uno a destra e uno a sinistra.
Salazar, nonostante tu effettivamente lo sappia non riesci a non provare un non troppo vago senso di nausea ogni qual volta ti soffermi a pensare al tuo stare costantemente seduto . Sì, è vero, stai seduto anche in poltrona, sul divano - anche se più raramente - sulla sedia della cucina, a letto, ma... quelle sedute la tua attenzione non la attirano, sono routinarie, quotidiane, riguardano mobili che hai sempre utilizzato. Quella sedia no. La sua particolarità la rende affascinate a qualcuno, ma completamente insopportabile a te.
Affascinante, già.
Immagini un bambino, a casa di suo nonno, osservare con la testa inclinata da un lato la sua sedia a rotelle. Poi lo vedi, come fosse davanti a te, sedersi su di essa, accomodarsi, e provare nell'attimo esattamente successivo a farla muovere girando le ruote con le mani. Riesci a vederlo mentre sbuffa per il fatto di non avere abbastanza forza nella braccia, riesci a vederlo impegnarsi, riuscirci, magari, e poi correre per il salotto strusciando addosso alla mobilia con quella cosa. E poi vedi suo nonno, invece, seduto su una vecchia sedia dalla fodera di paglia, accanto alla finestra, il bastone piantato a terra e le mani giunte sulla sua sommità, guardare suo nipote girovagare per casa sua. Nella tua mente il vecchio non ha quel sorriso che a volte compare a chi sta osservando il futile einopportuno comportamento di un moccioso.
Ciò che per lo stupido bambino è solo un gioco - e magari anche piuttosto divertente - per il vecchio non è che il costante ricordo delle sue inabilità.
Per il bambino quell'oggetto potrebbe essere affascinante, ma a te - come ad un vecchio, sì, interessante paragone - risulta completamente insopportabile.
In un libro babbano, una volta - non ricordi neanche quando, esattamente - avevi letto qualcosa riguardo agli antichi e moderni metodi di tortura e di esecuzione.
Sì, le solite letture serali per conciliare il sonno.
Chiunque - chiunque, e chi non lo ammette è solo un bugiardo - ne rimane affascinato. Magari anche inorridito, è naturale - non te, ma a qualcuno dall'anima sensibile potrebbe succedere - ma non per questo non-affascinato. Chiunque cercherebbe di capire quale sia il funzionamento di una macchina da tortura o di esecuzione, e scommetti che quel chiunque si fermerebbe anche ad osservare qualcun altro smontarla e poi rimontarla.
Piuttosto ironico che, all'epoca, tu abbia letto anche della sedia elettrica.
Scampando però per un momento da tali lugubri pensieri, ti riconcentri sulla strada di fronte a te. Ti eri detto che lo avresti fatto, quindi focalizzi il cemento sopra il quale state camminando.
C'è comunque quiete, nell'aria, e la cosa, per te, è anche abbastanza insolita.
Circa dieci minuti dopo, però, quel vago senso di nuovo equilibrio pare frantumarsi in pezzi quando due mocciosi, superandovi a passo svelto, si sono messi a borbottare tra di loro. Su cosa? Beh, su di te, altrimenti la cosa non avrebbe attirato la tua attenzione. Anzi, hanno espresso commenti sui tuoi capelli, più che altro, ma la sfacciataggine ti ha ugualmente dato ai nervi.
Che, poi, il fulcro del commento è consistito in una parola che hai già sentito, rivolta a te, innumerevoli ed innumerevoli volte.
Unti.
Beh, lo sa da te, ma è per principio che senti la bile aumentare.
Tale parola l'ha sicuramente sentita anche O'Dampand, dato che, per un momento, ha modificato leggermente la propria andatura, segno impercettibile che, però, tu hai colto lo stesso.
Sì, c'entra leggermente il fatto che la tua orribile sedia meccanica abbia fatto un sussulto.
Tu, in ogni caso, non hai detto alcunché, semplicemente perché non ne hai sentito il bisogno. Come sempre, l'improvviso nervosismo te lo saresti fatto passare in silenzio e totalmente per conto tuo.
A quanto pare, però, O'Dampand non è dello stesso avviso, dato che mormora un non tanto a mezza bocca 'Stupidi'.
E questo ti ha anche sorpreso un po'.
"O'Dampand, da quando insulta qualcuno?"
"Beh, sono stati... maleducati. Ma perché dice così?"
Tu alzi semplicemente le spalle.
"In questo caso quelli lì se lo sono meritato. Non sono stati carini per niente."
Non sai perché lei stia facendo così. Cercando di essere solidale con i tuoi ipotetici pensieri - che lei pare aver istintivamente interpretato e compreso addirittura correttamente. Per farti sentire meglio? Lo fa adesso? Quando, francamente, quel commento era, per quanto irrispettoso e idiota, sostanzialmente veritiero?
Il suo comportamento, però, non riesce nel suo intento. E lei lo capisce, e sa che c'è ben poco da dire, perché, quando tu smetti di parlare, anche lei ti imita all'istante.
Ma non le avresti detto che - sì, è vero - non ti lavi i capelli tutti i giorni ma, bensì, due volte a settimana, che ci sono persone che sembrano avere i capelli puliti anche dopo giorni e giorni che non vedono una goccia d'acqua, che tu non sei tra queste persone, ma che, invece sei tra coloro che dovrebbero usare lo shampoo un giorno sì ed il successivo anche, e tu, di sicuro, non trovi né il tempo né la voglia per farlo. Il fatto che Madre Natura ti abbia dotato di una tale caratteristica va al di là delle tue responsabilità, nella tua ottica.
Ciò, però, non toglie che commenti come quello di quel giorno non si sono mai sprecati, e tu, di riflesso, specialmente quando eri molto più giovane, ti sei impuntato ancora di più, perché no, non farai qualcosa di cui gli altri non si preoccupano minimamente, solo perché non sei 'ganzo' come loro.
Il lessico degli anni Settanta lasciava molto a desiderare, mh.
Con il tempo l'ostinazione adolescenziale si è tramutata in convinzione comportamentale, in 'modo di vedere le cose', e i commenti ti hanno dato sempre meno fastidio, in realtà, perché a te è sempre andato bene così, dopotutto. E poi, sinceramente, perché preoccuparsi, dato che non hai mai dovuto impressionare positivamente nessuno?
Quindi, in realtà, neanche capisci perfettamente come mai, quel giorno, il tuo solito livello di sopportazione si sia così pericolosamente abbassato. Pericolosamente, sì, perché in quell'esatto momento sei quasi stato tentato di dire tutto ad O'Dampand, tutte le tue motivazioni, da quando avevi tredici anni in poi. Come a volerti giustificare, quasi.
Beh, ti sei trattenuto dal parlare, stavolta, anche se il logorroico istinto non avrebbe, in realtà, dovuto manifestarsi affatto.
E così continuate a camminare, diretti nuovamente verso casa. Verso casa tua.
E ti trattieni anche dal dirle che, nonostante quanto appena successo, ti sei reso conto che, dopo il manifestarsi del parere di O'Dampand, il tuo malumore sembra essere svanito. O quasi, ma comunque... Non importa.

"O'Dampand! O'Dampand!" quasi urli.
Anzi, in realtà stai proprio urlando, dato che tu ti trovi in camera tua e lei chissà dove.
Dal giorno della... passeggiata, o quel che diavolo era, è passato diverso tempo. Non troppo, non eccessivamente, ma altri giorni si sono susseguiti, mattine e sere che andavano ormai avanti nell'abitudine.
Ti è anche venuto a trovare Sherman per il primo controllo fatto direttamente a casa tua.
"Quale onore, professore." è stata la prima cosa che gli hai detto non appena lui ha varcato la soglia della tua stanza.
E proprio nella tua stanza sei ora, sì, seduto sul letto, con i cuscini sistemati alla bell'e meglio dietro la tua schiena, in modo da sostenerti in una posizione quantomeno plausibile per poter leggere. E non farsi venire il torcicollo, dato che, in una situazione come la tua, anche un male tanto piccolo potrebbe trasformarsi in qualcosa di molto peggio.
Stavi leggendo, quindi.
Quando te ne sei accorto.
È stato come per la volta precedente: all'improvviso e senza preavviso, senza degnarsi di dare un segnale, un doloretto, un formicolio, un senso di gelo o di bruciore che sia. Niente. Ci sei semplicemente riuscito e... Beh, non hai idea di come sia successo, maè successo, e questo è sufficiente a farti alzare la tua voce ormai molto tendente al gracchiante per chiamare la guaritrice.
Proprio lei arriva poco dopo, e la prima cosa che fa è bussare alla tua porta semplicemente accostata.
"Avanti." dici senza indugio.
Solo che pronunciando questa parola il tuo libro volta pagina, al che abbassi lo sguardo verso di esso con un sopracciglio inarcato.
O'Dampand apre la porta, nel frattempo, ed entra di corsa.
"Mi ha chiamata, signor Piton? È successo qualcosa?" è quello che lei chiede subito, come è anche giusto che sia.
D'altronde non sei solito chiamarla quando lei ti ha già dato la pozione e tutto il resto, di sera, dopo cena.
Sei anche in camicia da notte, infatti, ma al momento la cosa non ti interessa per niente.
Tu, però, stai ancora fissando il libro.
"C'è la... marcia indietro, per questo affare?" dici, però, più tra te e te che direttamente a O'Dampand "Indietro." e la pagina del libro viene voltata nel verso opposto a poco prima "Oh, funziona."
"E'... E' questo che voleva chiedermi?"
Alzi gli occhi, a questo punto.
"Certo che no, O'Dampand. Il fatto è un altro." fai una leggera pausa, durante la quale ti umetti le labbra, per poi proseguire "Ha presene la mia caviglia destra? Ebbene, adesso consideri il piede che vi è attaccato: si muove anche quello."
Davvero, dovrai studiarla, prima o poi, questa pozione che Sherman ti sta somministrando.
Vedi lei sgranare gli occhi e aprire leggermene la bocca, in un moto di grande sorpresa.
"Davvero? Dice sul serio?"
"Secondo lei sto scherzando?"
"Io... No, effettivamente no, non credo. Direi di avvertire il professor Sherman, allora." e poi, da calma e tranquilla che era, sbatte improvvisamente le mani, facendoti addirittura sobbalzare; anche se in maniera comunque piuttosto impercettibile "E' una notizia meravigliosa, potremmo avere la conferma che le cose si stanno finalmente smuovendo! E in tutti i sensi!"
E, detto questo, si volta e corre via. Letteralmente. Senti i suoi passi veloci addirittura su quelle che erano le scale.
Tu, dal canto tuo, rimani, senza neanche avere avuto la possibilità di replicare, a fissare il punto in lei era in piedi fino ad un momento prima, con un sopracciglio alzato.
Neanche sbatti le palpebre, per un po'.
Donne.
E sì, non stavi scherzando, un'altra parte del tuo corpo si è svegliata.
E, come l'ultima volta, ti si presentano le due sensazioni contrastanti: scetticismo e... speranza. Sì, perché non pensarlo? Ma fai finta di nulla, non puoi e non devi crogiolarti nelle emozioni; piuttosto, torni a leggere.
L'unico tuo effettivo disappunto è che non puoi ancora sbarazzarti di quella maledetta cosa. E, pensando ciò, lanci un'occhiata malevola - come se possa essere percepita dalla destinataria, poi alla tua personale e personalizzata sedia accanto al letto, sedia che ormai si è sicuramente molto affezionata al tuo - personale anche quello - fondoschiena.
Sherman viene avvisato, dunque, anche lui subito entusiasta di tutta la faccenda, pronto ad esprimersi in mille ipotesi e in altrettante elucubrazioni.
Ma non è questa la cosa più... importante accaduta in tale lasso di tempo.
O meglio, sì, ha di sicuro la sua enorme rilevanza, ma, di sicuro, tutto questo passa in secondo piano in confronto a quello che sarebbe accaduto di lì ad un momento dopo.
Tu e O'Dampand siete in salotto, qualche giorno dopo il... lieto annuncio della ripresa attività del tuo piede, e... beh, bussano alla porta. È questo, il punto.
Non che questo sia un evento di portata eccezionale, certo. Bussare è uno di quei gesti che, in sé, significa ben poco. Forse potrebbe essere importante solo in abito musicale, con... i tamburi e tutto il resto, ma tu non ti interessi granché di musica; oltre a ciò, bussare è importante per ciò che preannuncia, per ciò che viene dopo: la porta viene aperta, e, nel tuo caso, viene mostrata l'identità del momentaneo visitatore. Bussare, in sé, non dovrebbe creare alcuna sensazione o emozione. È quel che viene dopo che fa sempre venire il patema d'animo a chicchessia: 'Chi sarà? La posta, un amico, un creditore, l'amante? Dovrò aprire? Dovrò guardare dall'occhiolino? Dovrò muovermi silenziosamente per non far sapere di essere in casa? Devo cambiarmi d'abito in pochi secondi?'.
Salazar.
In ogni caso, tu non sei chicchessia. E il tuo visitatore sarà momentaneo, sì, così momentaneo che non varcherà nemmeno la soglia di casa, ne sei certo. Sempre che O'Dampand si attenga alle tue già trascorse disposizioni, ma stavolta pensi che userà un po' più di accorgimento. In realtà, a pensarci, secondo le tue disposizioni dovrebbe infischiarsene e continuare a risolvere i suoi rebus, però immagini che un tale comportamento non sia, purtroppo, realmente fattibile.
"Chi può essere?" è quello che, infatti, ti chiede O'Dampand, non appena il suono di quel bussare si espande per il tuo ingresso-soggiorno.
"O'Dampand, non sono un veggente." rispondi "E comunque non vedo neanche attraverso i muri."
Lei, a quel punto, si alza e va proprio alla porta. Tu, uno spioncino, non ce l'hai, quindi lei è costretta ad aprire la porta quel tanto che basta per sincerarsi di chi ci sia dall'altra parte. Prima di far questo, però, dice un leggero 'Chi è?'. Forse teme che il visitatore possa aggredirla, una volta che lei fosse entrata nel suo campo visivo.
"Il signor Piton è in casa?" la voce risponde, ed è una voce maschile.
E non è di sicuro la risposta alla domanda di O'Dampand, consideri tra te e te, mentre alzi istintivamente un sopracciglio.
"Lei chi è?" ripete, con una leggera variante, O'Dampand.
"Veniamo dal Ministero della Magia." risponde la voce, solo che stavolta appartiene ad una donna "Dal Quartier Generale degli Auror, più precisamente."
Parità numerica, come minimo. Mh.
"Siete Auror, quindi?"
"Sì, esatto."
O'Dampand si volta verso di te, a quelle ultime due parole. Con gli occhi ti sta dicendo che non sarebbe affatto una buona idea sbattere la porta in faccia a due - o più - Auror; o non aprirla affatto, la porta.
Tu ti ritrovi a stringere le dita attorno al bracciolo sinistro della poltrona su cui sei seduto.
Beh, non puoi dire che questo momento non ti aspettavi che sarebbe arrivato; l'unica cosa che finora non hai saputo è stata quando.
Che poi, a dire il vero, ti aspettavi che sarebbero arrivati già molto tempo prima, non così tardi. Forse, quando gli Auror hanno contattato il San Mungo chiedendo di te, è stato detto loro di lasciarti in pace per un po'. Non sai bene come possa essere andato avanti il discorso, ovviamente, né come la Direzione del San Mungo sia riuscita a convincere il Quartier Generale, ma forse 'malattia' è un motivo sufficiente. D'altronde non è che saresti potuto fuggire da qualche parte.
Assurdo.
I due Auror, in ogni caso, varcano la soglia, e la prima cosa che fanno è porgere a O'Dampand delle specie di cartellini identificativi che già hanno pronti nelle loro mani. O'Dampand li legge, prima di riconsegnarglieli e di farli infine entrare definitivamente in casa tua. O'Dampand chiude la porta dietro di loro non appena loro muovono un passo in avanti, tanto che forse, deve avere addirittura sfiorato con il legno la spalla destra dell'uomo.
Problemi su problemi. Come se non bastasse. Puoi solo immaginare l'affanno - tuo, ovvio - che seguirà quella visita, e la cosa non ti piace per niente.
Già ti senti stanco, tanto che affondi un altro po' nella tua poltrona.
I due arrivati li stai guardando, e non sono assolutamente gli stessi che sono venuti a prendere Rodolphus Lestrange diversi giorni addietro; un uomo e una donna, come già hai appurato ancora prima di vederli, e sì, sono solo in due. L'uomo non è più alto di te, ne sei quasi certo, e scommetti che, se tu fossi in grado di metterti in piedi, lo supereresti sicuramente di più di qualche misero centimetro; in ogni caso, l'uomo è biondo, con i capelli corti, la mascella squadrata e le spalle larghe; forse i suoi genitori sono stranieri, perché, a occhio, diresti che provenga da un Paese nordico, la Svezia o la Finlandia o qualcosa del genere.
La donna, invece, non ha nulla di particolare, è piuttosto formale, piuttosto ordinaria, piuttosto classica nel suo completo elegante nero, ed anche piuttosto alta, praticamente tanto quanto il suo collega, ma forse è a causa dei tacchi vertiginosi che ha ai piedi.
Ti domandi come diamine faccia a camminare con quegli affari, e supponi che sia stato addirittura incredibile che lei non sia caduta sull'asfalto nel momento della post-Smaterializzazione. Perché presumi che si siano smaterializzati da qualche parte, per giungere fino a Spinner's End.
Ad un'altra veloce occhiata noti come, in quel singolare quadretto, O'Dampand sembri assolutamente fuori posto, con i suoi pantaloni ocra, le scarpe da ginnastica e la sua banale felpa blu. Dovresti chiederle, più in là, perché non indossa una divisa lavorativa; o, magari, perché non indossa indumenti i cui colori non procurino un danno all'osservatore simile ad un pugno in un occhio.
Mentre tu li osservi, comunque, O'Dampand si fa lievemente da parte, e l'uomo si schiarisce la voce, prima di cominciare a parlare.
"Signor Piton," dice, per l'appunto "noto che sta bene."
Tu sollevi nuovamente un sopracciglio.
"E' una visita di cortesia?"
"No, non proprio, a dirla tutta."
"E allora andiamo dritti al punto. Per cortesia."
L'uomo e la donna si scambiano una veloce occhiata, e subito dopo la conversazione ricomincia, e anche con un tono un po' più... sostenuto.
"Come avrà di certo capito, siamo due Auror, signor Piton." è la donna che prende la parola, stavolta "Io sono l'Auror di primo grado Abigail Dover, e lui è il mio partner, Aloysius Bergman."
"Il suo partner?" chiedi, leggermente perplesso.
È lo stesso Bergman a spiegarsi:
"Partner, collaboratore, collega. Un Auror dello stesso livello."
La signorina - o signora - Dover fa un movimento con le spalle che denota una certa impazienza, e tu lo noti semplicemente con la coda dell'occhio. Cogliendo quel movimento ti rendi conto che quello è il primo segno di una qualche emozione che i due riescono a trasmettere; non fosse per quello, fosse solamente per il loro visi, si direbbe che non stiano pensando assolutamente a... nulla. Né lui né lei. Il che è strano, perché se due Auror sono giunti fin da te, un uomo dalla storia così particolare, qualcosa devono star pur provando, sia anche soltanto un blando nervosismo.
Invece è come se si stiano trattenendo, in una costretta etichetta professionale.
Stai per dir loro di muoversi a concludere il loro discorso quando Dover infila una mano all'interno della sua giacca e ne estrae un foglio di pergamena piegato a metà; lei lo porge a Bergman, e lui, di rimando, lo porge a te. Tu lo afferri con la mano sinistra.
"E' un mandato di fermo del Quartier Generale degli Auror," enuncia Bergman "firmato dal Ministro Straordinario Shacklebolt."
Capisci quel che stanno per dire nel momento in cui leggi la prima riga del documento.
Dover, però, lo dice comunque a voce alta.
"Deve venire con noi, signor Piton. Dobbiamo farle qualche domanda."

Ricordi benissimo l'ultima volta che sei stato lì. Era il 1981. Sono passati diciassette anni, eppure, nella tua mente, le immagini sonovive e vivide. Così come le sensazioni. Ricordi il cuore martellarti nel petto, la bocca secca e le mani sudate. Ricordi come cercassi di non mostrare tutto questo agli occhi degli spettatori; sì, spettatori: oltre agli Auror che erano lì appositamente per svolgere il loro lavoro, gli altri loro colleghi erano comunque presenti, nonostante tu, il Caso, non fossi stato affidato alle loro competenze. Te lo ricordi. Eri in quella stanza asettica, con le pareti bianche, il pavimento bianco, il tavolo nero. Sembrava anche quella una delle stanze del San Mungo. Oh, ma era molto di più. La stanza degli interrogatori del Quartier Generale degli Auror del Ministero della Magia, d'altronde, non è affatto cosa da poco. Nel 1981 eri seduto su quella sedia di legno ma dalle manette metalliche, chiuse attorno ai tuoi polsi e attorno alle tue caviglie, con lo sguardo gelido e la mascella serrata.
Ma il cuore ti martellava nel petto e le mani, chiuse a pugno, erano sudate.
Nella stanza era presente un Auror anziano, neanche ricordi più quale fosse il suo nome, ricordi solo la sua veste blu e i suoi capelli corti e grigi, il pizzetto lungo e nero. Quale accozzaglia di colori. Lui camminava al di là del tavolo al quale eri costretto a stare seduto, ammanettato, neanche fossi stato tanto stupido da alzarti e uccidere tutti quanti. Specie per il fatto che ti avessero anche sottratto la bacchetta.
"Lei è Severus Piton?" ti aveva chiesto, continuando a camminare.
Tu, con il volto fermo, lo osservavi muovendo solamente gli occhi a destra e a sinistra.
"Sì." hai risposto tu.
Il cuore martellava nel tuo petto, sebbene solo tu potessi udirlo, e non solo per un'umana e comprensibile paura.
"Lei ricopre il ruolo di insegnante di Pozioni nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts?"
"Non sono solo un insegnate, sono il Mastro Pozionista."
"Risponda alla domanda."
"Sì. Sì, lavoro alla Scuola di Hogwarts."
Le mani erano sudate, e non sono per un'umana e comprensibile ansia per cosa sarebbe potuto succedere nel breve periodo. Le hai aperte, distanziando e tendendo le dita le une dalle altre.
"Ci è stato fatto il suo nome come importante membro del gruppo criminale denominato 'I Mangiamorte', nel quale ricopriva un'alta carica. Conferma?"
Tu hai fatto silenzio.
Nelle orecchie ti rimbombava il tuo cuore, e non solo per paura.
Era per dispiacere.
"Conferma, signor Piton? Risponda."
"Vorrei far venire qui Albus Silente, se possibile. Poi risponderò a tutto quello che volete."
Così è stato. Spiegazioni famose sono state date, quel giorno. Piani di spionaggio sono stati menzionati, bugie sono state dette - sì, è vero - e verità sono state omesse. Ma dopo gli interrogatori, dopo che è arrivato Albus Silente, dopo che lui è riuscito a sorridere dopo ogni tua smorfia, nessun processo è stato messo in atto, e le ombre delle torri di Azkaban non si sono mai mescolate con la tua, di oscurità.
Ora sei di nuovo lì, e quel luogo non è cambiato di una virgola.
Ovviamente prima sei stato condotto al Ministero da Dover e da Bergman; anzi, a dire il vero ti è sembrato di esserci stato scortato, e non come se lo fossero state delle guardie del corpo, ma già dei carcerieri, anticipazione di quello che sarebbe potuto succedere in un prossimo futuro.
Quella paura potrebbe rappresentarsi, e già cominci a sentire vecchie sensazioni ripresentarsi, dirti 'Buonasera, siamo tornate per te'.
Percorrere l'ingresso del Ministero con i due Auror e con O'Dampand dietro di te è stata un'esperienza alla quale avresti preferito non prendere parte. Un luogo così affollato, pieno di maghi, pieno di orecchie, pieno di occhi.
Hai cercato di non guardarti intorno, hai cercato di non accorgerti delle espressioni presenti sui volti di tutti quegli uomini e di tutte quelle donne. Eppure hai comunque visto sia sorpresa, sia rabbia, sia pietà, sia disgusto.
Poi, hai sentito una mano sulla spalla, proveniente da dietro di te. Era O'Dampand, ovviamente.
"Signor Piton." ti ha chiamato, nonostante fosse implicito che si stesse per rivolgere specificatamente a te.
"O'Dampand." dici solamente, in modo che prosegua.
"Andrà tutto bene."
Tre parole che ti fanno salire i nervi già tesi.
Quand'è che è mai andato tutto bene? E quante volte ti è stata ripetuta questa insulsa frase? Quante volte ci hai creduto, specie nella tua più acerba giovinezza? E quante volte ne sei rimasto deluso?
Questo è un conto impossibile da sostenere.
"O'Dampand, stiamo per salire al secondo livello del Ministero della Magia. Sa cosa si trova al secondo livello? Non andrà tutto bene, come minimo tutto questo non farà che farmi innervosire. Non mi menta."
La senti trattenere il fiato. Prima che lei ribatta, ovvio.
"Sto solo cercando di farle capire che ha il mio appoggio."
"E cosa me ne faccio, di grazia?"
Oh, non avresti dovuto. Lo sai, una voce nella tua testa te lo suggerisce nel momento stesso in cui pronunci '-zia'.
"Alcune persone lo avrebbero apprezzato, piuttosto." O'Dampand pronuncia queste parole con un tono abbastanza piccato. O meglio, il tono era tale a inizio frase, mentre più avanti, invece, torna normale.
Tu, dal canto tuo, torni a fare silenzio. Non sai se, in un'altra occasione, avresti risposto in maniera differente. Forse no. O forse la tensione e tutte le incognite a cui non sai dare risposta ti fanno quest'effetto.
"E' una situazione difficile." ti ritrovi comunque a dire.
O'Dampand sembra capire. Non puoi saperlo osservando la sua espressione, dato che lei, come sempre, cammina dietro di te - ti spinge come al solito - ma il fatto che lei dia seguito a quella breve conversazione sembra in qualche modo confermarlo.
"Per questo gliel'ho detto. Ma posso capirlo. Dica la verità e andrà tutto bene." risponde, per poi aggiungere immediatamente "Sì, lo so, l'ho detto di nuovo, non riesco a farne a meno."
Nel frattempo avete raggiungo l'ascensore, che, una volta chiamato, si apre di fronte a voi con il suono comunque a quasi tutti gli ascensori, magici e non. Quando questo si apre, altre persone sono al suo interno.
Quanta gente può contenere il Ministero?
Fortunatamente ce ne sono solo due, due donne, che sussultano, quando si rendono conto di cosa stia succedendo realmente.
Severus Piton sta per essere interrogato.
Le due donne escono di lì quasi strusciandosi di schiena contro le pareti dell'ascensore, e, subito dopo, entrate voi quattro.
In realtà, all'inizio, avreste dovuto essere in tre; Dover e Bergman, infatti, avevano supposto che O'Dampand sarebbe rimasta a casa. D'altronde quello non è posto per lei, e la situazione, in sé, non ha nulla a che fare con lei. La ragazza ha però insistito, dicendo che... beh, asserendo che lei non può venire meno ai suoi doveri, e al momento il suo dovere è occuparsi di te.
Sì, così ha detto.
Come se tu fossi un... gatto, una civetta o qualcosa di simile.
Ma non l'hai pensato, mentre lei ha esternato questo volere; ti è venuto in mente solo a posteriori.
E alla fine anche lei è riuscita ad aggregarsi... all'allegro gruppetto. Da tre siete passati ad essere quattro. Due 'contro' due. La cosa ti ha fatto un po' piacere - hai ammesso solamente tra te e te.
E poi avete raggiunto il Ministero.
L'ascensore si richiude davanti a voi e parte, andando prima a destra, con uno scossone, e poi sfrecciando verso l'alto. Hai sentito O'Dampand tenerti saldamente.
Dopodiché, la voce femminile dell'ascensore stesso: 'Livello Due: Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia'. Dlin E dlon.
Quella che si apre davanti a voi tutti è una grande stanza circolare dalle pareti di pietra liscia e grigia. O, almeno, presupponi che sia liscia solo guardandola. Il pavimento è della stessa fattura dei muri, ma più lucido, evidentemente coperto da una qualche sostanza protettiva. I tuoi accompagnatori, camminandovi sopra, producono un costante battito di tacchi. Vi sono delle panche bianche, addossate ai muri, pesanti e squadrate, curve, in modo che possano seguire l'andamento della stanza.
Da quell'ingresso, poi, si apre una porta, una di quelle grandi, alte, massicce, a doppia anta. Le porte sono spalancate, e dall'altra parte tu intravedi già un lungo corridoio, nel quale vi addentrate subito dopo. Lì le pareti non sono di pietra, o meglio, non sono come quelle della stanza che avete appena abbandonato: sono sempre grigie, ma di un grigio più brillante ed uniforme, senza le crepe tipiche della pietra.
Mentre voi entrate in corridoio, un uomo viene verso di voi, ma non vi guarda, vi passa semplicemente a fianco e poi vi supera, di sicuro diretto all'ascensore.
Non è l'unico uomo presente, oltre a voi: lungo il corridoio sono state poste numerose porte, molte con targhette recanti nomi, altre con targhe leggermente più grandi ad indicare il nome direttamente di un determinato Ufficio. E da lì uomini e donne escono, per poi entrare in altre porte. E nessuno presta a voi più attenzione di quanta non sia necessaria solamente per non inciampare.
Uno di questi uomini, invece, con la targhetta attaccata alla giacca, in alto a sinistra, cammina più lentamente degli altri, apparentemente senza una meta precisa, apparentemente con lo sguardo rivolto al vuoto. Deve essere un Auror anche lui, dopotutto, e, guardandolo, ti viene alla mente l'immagine di un vecchio ed annoiato professore che effettua una qualche ronda notturna ad Hogwarts.
Anche se, ora, notte non è.
Anche qui ci si può sedere, in ogni caso, e, se non delle panche, sono comunque state poste diverse sedie lungo tutto il corridoio, a gruppi di quattro o cinque l'uno. Ed è proprio accanto ad uno di questi, più o meno giunti a metà corridoio, che vi fermate.
"Ci vorrà solo un momento." preannuncia Bergman, interrompendo quel silenzio di cui, francamente, ti sei anche accorto molto poco.
"Per cosa?" senti uscire dalle labbra di O'Dampand.
"Dobbiamo solo... annunciare la vostra - la sua, signor Piton - presenza. Questione di pochi minuti."
Dover annuisce alle parole del suo tarchiato partner.
Tu non dici e fai nulla, invece. Ti limiti a fissarli.
Ma loro non stanno guardando te, e, un momento dopo, spariscono dietro alla porta che avete praticamente di fronte.
Ti lasciano, così, aspettare proprio lì, davanti a quella porta. In alto, quasi a toccare il soffitto, proprio sopra di essa, vi è una piccola teca di vetro - questo ti sembra - con dentro una luce rossa, segno che la stanza al di là della soglia è occupata. Immagini che anche i Babbani utilizzino uno stesso sistema, ma con le lampadine elettriche. O qualsiasi cosa utilizzino. Qui, invece, noti bene che oltre il vetro ci sono semplicemente delle scintille rosse che si muovono di qua e di là, sbattono contro le pareti e si scontrano le une contro le altre.
Sembrano tanti piccoli insetti rossi e luccicanti in una gabbia.
Eppure, nonostante, quindi, nella stanza vi sia già qualcun altro, Dover e Bergman sono comunque entrati. Magari per capire quanto avrebbero dovuto aspettare, magari per dire a chiunque sia lì dentro di sbrigarsi, magari per salutare un collega. Non lo sai. Ti hanno solo messo lì, ad attendere assieme ad O'Dampand, come fossi uno stupido pacco.
Come se foste due stupidi pacchi.
Neanche si preoccupano di mettere qualcuno a sorvegliarti. Certo, c'è sempre l'Auror che fa avanti e indietro per il lungo corridoio, e prima o poi qualcuno uscirà da qualche porta per entrare in qualche altra, quindi qualcuno ti vedrà comunque, anche se solo di sfuggita. E poi... suvvia: dove credi di andare nelle tue condizioni? Come se tu possa veramente alzarti e correre via. Senza bacchetta.
Salazar, devi sul serio fare qualcosa per la tua bacchetta.
Senza contare che non credi proprio che, in caso, O'Dampand ti permetterebbe di fuggire così, senza dire assolutamente nulla. Pensando alla donna che è al tuo fianco sin da quando siete usciti di casa, ti volti proprio verso di lei. La trovi seduta su una delle sedie attaccate alla parete, la schiena posata indietro, il bacino leggermente spostato in avanti. Non propriamente una posa elegante.
"O'Dampand, le verrà il mal di schiena se continua a stare seduta in quel modo."
Stavolta è lei a voltarsi nella tua direzione. Prima di parlare si porta una ciocca di capelli biondi, sfuggita all'intreccio della sua coda da cavallo, dietro un orecchio.
"Davvero si preoccupa per il mio mal di schiena? Adesso?" è la sua risposta piuttosto sorpresa.
In effetti la questione sembra decisamente fuori luogo anche a te stesso, a pensarci. Ma cosa sarebbe meglio, in fondo, rimuginare in maniera ansiosa e ansiogena su cosa potrebbe capitarti non appena gli Auror Dover e Bergman usciranno finalmente da quella stanza 'occupata'?
Oh, non c'è pericolo, tanto lo farai di lì a neanche un paio di minuti.
"Stavo solo pensando che..." cominci, ticchettando appena l'indice e il medio della mano sinistra contro il bracciolo della tua sedia, emettendo così un suono abbastanza metallico "... Se avrà dolori alla schiena non sarà solo lei a rimetterci, ma anche io."
"Ah, ecco. Mi pareva strano."
"Mh."
Silenzio, per una manciata di secondi.
"Sa come i Babbani lo chiamano, a volte, il mal di schiena?" chiedi, però, subito dopo.
"No, come?"
"Colpo della strega." spieghi "Ed è una particolare scelta di parole, non trova? Come se le streghe c'entrassero veramente qualcosa. Forse, chissà quanti secoli fa, una strega ha praticato un 'Pietrificus' alla schiena di qualcun altro. Solo che ora ogni blocco dorsale per i Babbani è opera di una ipotetica quanto inesistente strega."
O'Dampand ti sta fissando senza dire nulla e con una strana espressione sul viso. Eppure risponde lo stesso, sebbene con un tono di voce un po' titubante, all'inizio.
Per un momento ti saresti aspettato che non aprisse proprio bocca, invece.
"Sì, beh... E' una cosa interessante, sì. I Babbani a volte sono piuttosto strani nello scegliere i nomi delle cose." tu annuisci "Le ha studiate... Com'è che si chiama quella materia, ad Hogwarts? Babbanologia, se non erro."
Stavolta muori appena la testa a destra e poi a sinistra.
"No, sapevo quasi tutto ancora prima di andare a scuola, dato che mio padre era un comune quanto disgustoso Babbano."
"Se ha voglia di parlarne, signor Piton..."
Tu, però, la interrompi ancora prima che possa cercare di concludere il suo invito.
"E a cosa mi servirebbe? In questo momento ho ben altro a cui pensare, O'Dampand, dovrebbe essersene accorta d a sé. O sbaglio?"
Un cambio di atteggiamento a dir poco radicale.
E incoerente. D'altronde non hai parlato di futilità sino a questo esatto momento? Adesso ti tiri indietro?
Forse è perché, in fin dei conti, non vuoi pensare a fatto a quello che accadrà da qui a qualche altro minuto. Forse non vuoi pensare al fatto che il cuore stia cominciando a martellarti nel petto e che le mani ti stiano diventando sudate.
Ma qualsiasi probabile risposta della signorina O'Dampand non trova concretezza al di fuori della sua mente, perché, proprio in quell'esatto istante, le scintille sopra la porta diventano verdi. La stanza è libera. Tutta per te, adesso, non ne sei contento, Severus?
E la porta si apre, facendo uscire da lì quattro persone. Gli ormai conosciuti Dover e Bergman sono i primi. Dietro di loro, quello che con tutta probabilità è un terzo Auror, un uomo molto alto e dai capelli grigi - come allora. Quest'ultimo ha una cartellina in mano, dei fogli che sbucano fuori da essa anche per metà. Senti dentro di te che è lui, l'uomo delle domande, quel giorno. È la quarta persona, però, che attira completamente la tua attenzione, non appena la metti a fuoco: una donna, alta anche lei, e non perché abbia i tacchi ai piedi; bionda, con i capelli lisci e lunghi, che le ricoprono anche parte delle spalle; non è truccata, rughe di stanchezza solcano il suo volto, occhiaie riesci ad intravedere sotto i suoi occhi azzurri.
Quando la riconosci ti ritrovi inconsapevolmente a sgranare i tuoi, di occhi.
"Narcissa." mormori, con le labbra semi-aperte.
Quando lei alza il viso e ti guarda, anche i suoi occhi sembrano ingrandirsi.
"Severus."
Anche lei dice il tuo nome. Nessuno di voi due si sarebbe aspettato di incontrare l'altro. Non lì, quantomeno.
Lei si avvicina comunque a te, non curante dei tre Auror che stanno semplicemente ad osservarvi senza dire niente, ma non per questo dandovi la giusta privacy.
Narcissa, dal canto suo, continua ad osservarti, si sofferma sulla tua figura, guarda per un attimo O'Dampand e poi torna a te; la vedi guardare la tua personalissima sedia da ospedale.
"Diciamo che ho passato periodi migliori." è quello che le dici, e lei torna a guardare il tuo viso.
"Mi dispiace, Severus, se non siamo venuti a trovarti. Io, Lucius, Draco..." dice lei, e tu li vedi, vedi quei suoi occhi inumidirsi "Anche noi abbiamo passato momenti migliori."
Ti rendi conto che quella donna ha perso un bel po' del suo atteggiamento nobile, rispetto all'ultima volta che l'hai vista.
"Lucius è qui? E anche Draco?"
"Sì." lei annuisce "Sono da qualche parte, in qualche altra stanza."
"Mi piacerebbe vederli."
"Posso salutarteli quando torneremo a casa insieme, in attesa."
"In attesa?"
Narcissa tira su con il naso. Ti sembra una bambina, addirittura, e lei non sembra voler distogliere lo sguardo dai tuoi occhi. Prima che le sue labbra tremassero, così come tutta la sua figura.
"Io... Io..." quasi balbetta "Certo, n-non c'è stato un processo, ancora. Ci sarà, prima o poi - presto, dicono - certo, ma... Severus, me lo sento così tanto."
"Narcissa..."
A quel punto lei tira indietro le spalle, mettendosi dritta con la schiena, la testa di nuovo alta. Ma sembra comunque solo lo spettro della Narcissa Malfoy che conoscevi. In realtà non hai neanche idea del perché ti stia parlando, il rapporto tra te e i Malfoy, dopo la guerra, dovrebbe essere tutto un'enorme incognita.
"... Finirò ad Azkaban, me lo sento, Severus, io... E ne sono terrorizzata."
Tu non riesci a dire niente.
A stento riesci finalmente a deglutire.
Poi lei si muove, e ti posa una mano sulla spalla.
"Buona fortuna." ti dice, prima di allontanarsi, senza aspettare una tua risposta che comunque non arriverà.
La vedi camminare verso il corridoio, e vedi Dover e Bergman andare con lei.
"Noi ci vediamo dopo, signor Piton." ti dice proprio l'uomo che ti è appena passato davanti camminando.
"Conterò i minuti..." mormori, ma non sei sicuro che lui ti abbia sentito.

Non sai, però, effettivamente, quanto tempo sia passato, in realtà.
Sai solo che, quando esci di lì, hai un gran mal di testa, come se dentro la tua scatola cranica vi sia un Bolide che va a cozzare contro le tue stesse ossa. Ogni colpo è una fitta in più che ti fa irrigidire la mascella.
Non ti hanno neanche dato il tempo di essere... spinto fuori - e anche sgarbatamente. O'Dampand è più delicata - che ti ritrovi davanti proprio la guaritrice. Probabile che tu abbia chiuso per un momento gli occhi proprio mentre lei si alzava dalla sua sedia, per cui per te è come se ti si sia improvvisamente materializzata di fronte al naso.
E, non sai come mai, la cosa ti crea sì un'altra fitta alla testa, ma non così forte come le precedenti.
"O'Dampand." dici solamente, come a volerla rassicurare sul fatto che tu l'abbia vista.
Come se non fosse possibile.
"Come è andata?"
"O'Dampand, non mi stavano trattenendo per farmi domande riguardo un esame scolastico, mi stavano interrogando."
Curioso come, in effetti, in entrambi i casi si possa usare lo stesso verbo. Ma questo è un pensiero che avresti espresso poi. Magari a casa. O magari no, al momento non ti sembra né così importante né così curioso da dovercisi soffermare troppo.
"E...?" prosegue lei.
È come se non trovasse le parole per fare una domanda decente.
Quando tu non rispondi, lei continua:
"Vuole prima tornare a casa, o...? Non lo so, mi dica lei."
"A casa - a casa mia - non le dirò comunque niente; non cambia." le soffi contro infine - quel mal di testa è veramente una seccatura "Diciamo solamente che... Si ricorda quello che ha detto Narcissa Malfoy prima di andare via?" O'Dampand annuisce, e tu prosegui "Io credo... Credo che possa valere anche per me."









Angolo Autrice:

Salve, bella gente! :D

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, come avrete notato succede qualcosa di più di un comune 'blablabla'.
E non è che ci sia molto da aggiungere, i fatti si spiegano (almeno credo) bene così da sé.

Lasciate un commentino, se vi va, da quest'altra parte è sempre ben accetto e fonte di giuoia :3

A presto e un saluto!
Iurin  

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