Capitolo Diciannove (parte IV)

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Il tempo è fermo. E silenzioso.
Tutto, attorno a te, è rimasto bloccato, mentre tu sei libero di muoverti.
Puoi vedere un rotolo di pergamena ancora aperto, prima che si richiuda su se stesso; uno schizzo di saliva che esce, quasi invisibile, dalle labbra di qualcuno che sta parlando velocemente; le dita intrecciate nei capelli intente a sistemarli; la stoffa mossa da qualcuno che sta stirando la propria toga con una mano.
Tutto è fermo e silenzioso.
E tu riesci ad osservare ogni cosa. Sembra un surreale museo delle cere senza gravità. Ti sembra di trovarti nel fermo-immagine di un televisore babbano.
Quale stranezza.
E quale insolita calma adesso ti pervade: anche il tuo animo ora è fermo. E silenzioso.
Poi tutto comincia a muoversi di nuovo, piano. Anche le voci giungono di nuovo alle tue orecchie, ma più profonde di quanto in realtà dovrebbero essere, distorte dal tempo che sta ricominciando solo ora a svegliarsi.
Un secondo. Due. Forse tre.
Alla fine torna tutto come prima e i bisbigli riprendono. I soliti Auror sono di nuovo disposti attorno a te mentre un insistente chiacchiericcio sta di già cominciando a riempire l'Aula, ora che è stata emessa una sentenza.
Una condanna.
Una condanna che... beh, sì, una condanna che, in fin dei conti, ti piace.
Senti di averla accolta con il calore di un fiume che accoglie una piccola barca che viene spinta per la prima volta sull'acqua.
La avvolgi.
È tua.
Oh, ti compare da dietro O'Dampand, improvvisamente.
"Ah, è ancora qui?" ti viene da dire.
"Non è una novità," ti risponde, sorridendo appena.
Ma tu non ricambi quel sorriso neanche con una smorfia. La scruti, più che altro. La sentenza l'ha turbata, in qualche modo? O l'ha resa contenta, invece? Supponi che ti dirà la sua – se te la dirà – quando sarete soli. Non ora. E, in fondo, ti sembra anche giusto.
"Signori," dice Shacklebolt, proprio in quel momento, rivolgendosi agli Auror attorno a te, "potete uscire per controllare che fuori non si crei disordine. A parte il signor Mann, che accompagnerà il signor Piton nel mio ufficio fra cinque minuti."
"Certo, Signore," risponde Mann.
Nel medesimo istante il Wizengamot si alza, allora, e così fanno i presenti nell'Aula. Solo quando tutti i membri del Wizengamot sono usciti, allora, anche il 'pubblico' fa altrettanto, dirigendosi lentamente in corridoio, controllato dai due Auror. Più di una persona, da entrambe le parti, ti ha lanciato un'occhiata, mentre se ne andava. Credi che non incontrerai più nessuno di loro per un bel pezzo, se non mai più.
Due porte si aprono da un lato e due dall'altro, quattro porte si chiudono con un tonfo, due potenti e profondi echi si espandono per l'Aula Dieci poco prima di sparire improvvisamente come se non fossero mai esistiti.
Rimanete in tre.
Ti torna alla mente l'allucinante discussione che c'è stata giusto poco prima tra te e Mann. In realtà è stato più che altro Mann, a parlare, ma poco importa.
"È soddisfatto, adesso?" ti viene da dire, e non ti trattieni.
Con la coda dell'occhio vedi O'Dampand che si volta verso di te, mentre Mann non muove neanche un muscolo della propria faccia.
"Condanna troppo mite, a mio parere," dice, infine, "ma perlomeno è una condanna."
Sembra fin troppo calmo, rispetto a come supponi si senta in realtà, ma credi che questo sia dovuto alla presenza di O'Dampand. Ci fossero stati, invece, i suoi colleghi, sei sicuro che non si sarebbe fatto tanti scrupoli.
In ogni caso, a questo punto, è proprio O'Dampand a intervenire, ma non sulla stessa questione.
"Scusi, signor Auror, ehm— signor Mann, adesso potrebbe togliere le manette del signor Piton? Non servono più, giusto?"
Mann si volta verso di lei.
"Uhm, sì," risponde. "Direi che si può, ormai."
Secondo il tuo parere si sarebbe potuto fare da ore, ma supponi che in questo momento la tua opinione non sarebbe tenuta molto in conto. Non da Mann.
Quest'ultimo, comunque, tira fuori la propria bacchetta – chiara, ocra – da una tasca interna della sua giacca e, in un secondo, le manette ai tuoi polsi e alle tue caviglie si aprono cadendo sul pavimento di marmo, catene comprese. Il tonfo produce altri echi, simili a quelli delle porte di poco prima.
Il rumore vibra ancora nelle tue orecchie che già ti ritrovi O'Dampand davanti.
"Come sta?" ti chiede a bruciapelo.
"Stanco," ti viene naturale rispondere.
"I polsi? Le caviglie? Le fanno male?"
"Non... particolarmente. Quelli di cui potrei sentire un eventuale dolore, perlomeno."
"Le dita della mano destra sono rosse."
"Ah."
"Sulla punta."
"Non ho idea del perché."
Mann si intromette nella vostra asettica conversazione fatta di botta e risposta.
"Direi che possiamo andare. I cinque minuti di cui parlava il Ministro stanno scadendo."
Tu non dici niente, ma il fatto che O'Dampand mormori un 'Andiamo' e tu pieghi la schiena in avanti per provare rimetterti in piedi... è un po' come acconsentire, no?
O'Dampand vuole aiutarti, e tu la lasci fare. È vero quello che le hai detto: sei stanco. E poi ci siete solo tu, lei e Mann, per quanto sia fastidioso quell'uomo... Un po' di aiuto non ti ucciderà.
Lei allora mette la propria mano sotto il tuo braccio e ti fa mettere in piedi, e, mentre tu continui ad appoggiarti a lei, ti porge la tua stampella, appena recuperata dal pavimento. Tu l'afferri con la mano sinistra e, un attimo dopo, cominciate a camminare.
Non dici nulla del fatto che O'Dampand continui a sorreggerti anche dopo.
Mann vi segue a pochi passi di distanza – due o tre al massimo.
"Prima non gliel'ho chiesto," dice lui, proprio in quel momento, "sono ferite di guerra?"
Tu lasci passare qualche secondo, prima di rispondere. "Secondo lei? Sì. Un tentato omicidio riuscito male."
"Da parte di chi?"
"Il Signore Oscuro. Mi era sembrato che lei fosse stato attento al racconto di Potter, sta sottolineando l'ovvio?"
Mann non risponde; si limita a superare te e O'Dampand e ad aprirvi la porta oltre la quale sono da poco spariti i membri del Wizengamot. La oltrepassate tutti e tre, e poi la porta si chiude di nuovo.
Davanti a voi si apre un lungo corridoio con qualche porta di tanto in tanto, a denotare che gli ambienti nei quali esse introducono non sono poi tanto piccoli. Ogni due o tre porte, in ogni caso, sia sulla destra che sulla sinistra, il corridoio si ramifica in altre corsie. Dopo poco, svoltate a destra e, poi, proseguite dritti.
I vostri passi non sono veloci, forse Mann lo vorrebbe, ma, per forza di cose, sei tu a costringerlo a rallentare.
Prima del processo ti eri sentito stanco, ma era più che altro apprensione e ti eri fatto forza per difenderti e lottare. Adesso ti senti veramente stanco e basta: non importa, al tuo corpo, che tu sia stato condannato o meno, o quanto duramente, gli importa solo che il processo sia finito e che possa 'rilassarsi'. I muscoli che prima percepivi costantemente in tensione ora non lo sono più, la mascella non è più indurita e non hai neanche voglia di digrignare i denti. Il tuo piede destro strascica sul pavimento già di per sé, ma ora neanche la gamba sinistra ha tanta voglia di collaborare. Oh, nessun ritorno di fiamma del veleno di quella dannata Nagini, è pura e semplice stanchezza, per l'appunto. La tensione ti ha prosciugato le energie come una zanzara in cerca di sangue e, ora che ha svolto il suo compito, si è limitata a volare via, sazia.
Noti che Mann scalpita: prima ti supera, ma poi deve rallentare per non distanziarti. Vorrebbe andare più veloce; forse vorrebbe farti sentire come una palla al piede.
Pazienza.
Di certo non vuoi sforzarti di fare una bella impressione proprio a lui. Perché ormai non è questione di 'voler dimostrare di essere forte'. Hai una stampella e degli arti bloccati, sei più forte giusto di un gatto. Ormai è questione di 'voler sembrare meno debole' o 'cercare di fare una bella figura', e tu sei stanco e l'amicizia o la stima di Mann non ti interessano. Per cui lo fai rallentare.
Finché, in ogni caso, non vi fermate di fronte ad una nuova porta, la porta di un ufficio, una porta di legno lucida e ben oliata, alta, larga e spessa, la porta che qualsiasi ufficio vorrebbe. La targhetta su di essa recita: 'Certificazione di Atti Magici Giuridici e Penali – Ministro della Magia'.
Tu inarchi appena un sopracciglio, mentre Mann bussa. Poco dopo odi distintamente un 'Avanti' proveniente dall'interno della stanza. L'Auror apre la porta.
"Oh, eccovi," è la prima cosa che dice Shacklebolt non appena entrate, ma né tu né O'Dampand né Mann fate in tempo a dire nulla che Kingsley continua: "Prego, signor Piton, si sieda, c'è da firmare alcune pergamene."
"Mh," ti limiti a commentare, e così ti vai a sedere su una delle due sedie presenti davanti alla scrivania dietro la quale si trova Kingsley, ancora in piedi.
"Voi potete aspettare qui fuori, non ci vorrà molto," soggiunge poi quest'ultimo.
"Ne è sicuro, signor Ministro?" chiede Mann; tu non lo stai guardando, stai osservando la stanza. È un ufficio molto grande. Il pavimento è quasi tutto ricoperto di tappeti rossicci e bordeaux.
"Sicurissimo," risponde Shacklebolt, prima di rivolgersi a O'Dampand: "Lei invece è la guaritrice che accompagna il signor Piton. Mi è stato detto così, non vorrei si fossero sbagliati."
"Io... S-Sì, mi chiamo Serena O'Dampand."
Kingsley fa un sorriso. "Signora o signorina?"
"Ehm, signorina."
"Signorina O'Dampand, invito anche lei ad aspettare fuori e – glielo assicuro – non è mia intenzione fare del male al signor Piton."
"Oh! Ma... Ma non lo pensavo minimamente, si figuri!"
"Giusto per precisare."
Mann rimane in silenzio, mentre esce dall'ufficio, e lo stesso O'Dampand, anche se, prima di uscire, lancia sia a te che a Kingsley qualche fugace occhiata.
E così tu e Shacklebolt rimanete soli, ma lui ancora non si siede. Noti che la sua, più che una sedia, è una poltrona.
"Credevo che il tuo ufficio, Kingsley, fosse al primo piano," esordisci tu, dopo aver fatto passare appena un paio di secondi di silenzio, "non in queste catacombe."
"C'è troppa luce per definirle delle catacombe, Severus," risponde lui, prima di spostarsi, raggiungendo un tavolino che prima non avevi notato. "Vuoi una tazza di tè?"
E, detto questo, torna alla scrivania posando su di essa una teiera fumante e due tazze.
Tu inarchi un sopracciglio. "Cosa...?"
"Tè. Una tazza. Ne vuoi?"
Ci pensi solo un secondo e, prima di rispondere, ti umetti le labbra. "Sì, grazie."
Kingsley fa gli onori di casa. Anzi, d'ufficio. Poi posa una tazza di tè caldo di fronte a te, ma tu non la prendi subito. Lui si siede.
"Comunque sì, hai ragione: il mio ufficio è al primo piano," dice lui, posata la teiera e appoggiandosi con le spalle allo schienale della sua poltrona, "qui vengo quando bisogna far firmare alcuni documenti a chi è appena stato l'imputato di un processo. Solitamente se ne occupa il giudice di turno che fa le mie veci, ma per molte questioni – le più importanti – presiedo direttamente io, come hai potuto notare. Quando sono io a dover far firmare tutto, vengo qui."
"Già. Troppa fatica salire fino al primo livello."
"Oh, decisamente."
"E ti ringrazio di avermi inserito tra le questioni più importanti."
"Ci mancherebbe. Dopo Harry e me sei tu l'uomo più discusso del mondo magico. Sarei potuto mancare?" Una pausa di silenzio, durante la quale vi guardate. Sai che il tuo non è uno sguardo ostile. Il suo non lo è di sicuro. "Seriamente, Severus. Ti voglio dire che sono rimasto contento di come sono andate le cose, alla fine. Del fatto che tu non fossi veramente un traditore, intendo. Silente si è sempre fidato di te, e io mi sono sempre fidato di Silente. Ho fatto bene."
Tu fai un attimo di silenzio, e poi ti schiarisci la voce. "Durante il processo non mi è sembrato di percepire questa gran fiducia nei miei confronti, da parte tua."
Kingsley fa un accenno di sorriso. "Infatti ho detto di essermi fidato del giudizio di Silente, non direttamente di te."
"Mh. È dialetticamente corretto."
"E poi al momento sono il Ministro della Magia Straordinario. È mio dovere rimanere imparziale e far parlare, piuttosto, i fatti nudi e crudi."
"Io invece sono... sollevato del fatto che Azkaban non stia incombendo su di me. Lo devo ammettere."
"Lo immaginavo," Kingsley fa un altrobreve sorriso, "Elphias spingeva per fartela visitare, in realtà."
"Sto cominciando a nutrire il sospetto che mi odi."
"Puoi averne la certezza. Albus era suo amico. Nonostante come sono andate le cose... diceva che comunque potevi sottrarti, lì, sulla Torre. Ma ormai non è più una questione che ci riguardi. Sono anche sollevato che tutta questa questione si sia risolta in una giornata: i privilegi dell'essere Ministro comprendono anche darmi una più elastica gestione delle... tempistiche."
Tu ti limiti ad annuire, rimanendo in silenzio. D'altronde non c'è bisogno di nessun altro tuo commento su quanto avvenuto poco prima, ne sei certo.
E anche Kingsley sembra pensarla così, perché, quando da te non giunge risposta, è lui stesso a cambiare argomento. E, mentre parla, comincia finalmente a sorseggiare il suo tè.
"Sai, si comincia già a vociferare che verrò addirittura confermato come Ministro in via definitiva."
"Il tuo mandato quando si conclude?"
"Dura sei mesi, per cui fra poco più di trenta giorni. Se il tuo processo fosse capitato oltre quella data, magari avrei fatto in modo che la Giuria fosse più clemente, con te."
Tu ti stringi nelle spalle – anzi, nella spalla.
"Poco più di un anno da passare in casa non è così tragico." Considerando che, già di tua spontanea volontà, sei molto poco incline a passeggiate mondane, ti è andata bene. "E poi cos'è, se diventi effettivamente Ministro della Magia puoi rigirarti tutti come ti piace di più?" Incurvi lievemente un angolo delle labbra. "Sai che non si tratta propriamente di una dittatura, Shacklebolt?"
"Ci sto lavorando. Anche se forse una è bastata e avanzata."
Lui prende un altro sorso di tè e, adesso, anche tu prendi in mano la tua tazza: è tiepida, ormai.
"Mi hanno riferito che non sei stato troppo bene, in quest'ultimo periodo."
"Prova un po' ad essere morso e avvelenato da un serpente."
"Difatti di vedo un po' debilitato."
"Sto bene. Più o meno. Qualche mese fa lo spettacolo era totalmente diverso."
"Mi spiace."
Inarchi un sopracciglio. "Non è di certo colpa tua."
"No, questo è vero. Ma cercare di provare empatia... o qualcosa che le si avvicini... ancora non è un crimine. È sempre stato difficile trattare con te."
Dai il primo sorso al tuo tè.
"Lo so. È uno dei miei più grandi pregi."
Invece di replicare, Kingsley tira fuori la propria bacchetta: la agita lievemente e un cassetto della sua scrivania si apre: ne vengono fuori alcune pergamene, che si srotolano a mezz'aria, e poi piuma e calamaio. Il tutto viene a posarsi direttamente di fronte a te, nel punto in cui prima c'era la tazza di tè.
"Cosa sono?" ti viene spontaneo chiedere.
"Atti ufficiali che devi firmare. Per farla breve, firmando il condannato si impegna a rispettare quanto è stato stabilito dalla Giuria."
"Mh," ti pieghi leggermente in avanti per poter guardare meglio quei fogli, "però il condannato potrebbe rifiutarsi di firmare."
"A quel punto sulla sua fedina penale si aggiungerebbe il reato di 'Intralcio ai Magici Pubblici Uffici' e la firma verrebbe ritenuta non necessaria."
"Capita spesso?"
"A volte sì."
"Allora sembrerebbe solo un'inutile perdita di tempo..."
Shacklebolt si stringe nelle spalle.
"La burocrazia magica è un po' complicata, certe volte."
"Capisco... Vada comunque per la firma, sì."
Così puoi andartene e cominciare sin da subito i tuoi arresti domiciliari.
Kingsley fa un gesto come a dire 'Prego' e tu posi la tazza di tè – praticamente ancora intatta – sulla scrivania.
Guardi la piuma d'oca, afferrandola solo dopo qualche secondo. La senti strana, tra le tue dita.
Ti rendi conto che, da quando hai subito l''incidente' alla Stamberga Strillante... Sì, hai compiuto diverse azioni utilizzando la mano sinistra, quando, invece, tu mancino non sei affatto. Ma scrivere non è mai stata una di quelle, e adesso non puoi che pentirtene. Che cosa dovresti fare? Chiedere a Shacklebolt un pezzo di pergamena qualsiasi e 'allenarti' a scrivere il tuo stesso nome qualche decina di volte? Oppure finire con l'apporre la tua firma con la lentezza di un bambino, producendo, poi, lettere tremanti e una più o meno grande dell'altra?
Avresti dovuto pensarci. Sei stato un idiota.
Alla fine opti per l'apporre una banale sigla.
S.P.
Tutto qua.
Lo fai su tre pergamene diverse, e no: anche se si tratta di due sole lettere, la tua mano non possiede la stessa fluidità che aveva la sua simmetrica gemella.
Per quanto la tua grafia fosse piccola e spigolosa, perlomeno era fluida, quello sì.
Sospiri, quando, una volta completata l'opera, posi la piuma sulla scrivania.
"Tutto a posto, Severus?" ti chiede Kingsley, il capo chino lievemente in avanti, guardandoti così, dal basso.
"Magnificamente," rispondi tirandoti di nuovo indietro con la schiena, ma non riprendi in mano la tazza di tè. L'avevi accettata per cortesia, ma di sicuro non è che tu abbia veramente sete.
"Allora abbiamo finito," dice lui.
Dopodiché prende in mano le pergamene, arrotolandole. Un colpo di bacchetta e piuma e calamaio tornano al loro posto. A questo punto lui si alza in piedi; tu stai faticosamente per fare altrettanto, ma la sua voce ti ferma. O meglio, quello che dice.
"Un momento, Severus, rimani pure seduto. C'è una persona che vuole parlarti e le ho dato il permesso di usare questo ufficio per non farvi disturbare da nessuno."
Tu ti ritrovi, istintivamente, a inarcare entrambe le sopracciglia.
"Una persona? Non sarà mica Potter?"
Il suo nome ti è saltato subito alla mente, com'è naturale che sia.
"Non ti angustiare, lo vedrai tra poco da te." Mentre parla, Kingsley aggira la scrivania, venendoti vicino. "Vorrei dirti una cosa su quello che proprio Harry ha detto su di te durante il processo."
Tu assottigli le labbra, prima di parlare. "Sarebbe?"
Kingsley risponde a voce più bassa, come se temesse di farsi sentire da qualcuno. "Un po' lo sospettavo."
Tutto qua. Il suo grande parere sull'intera questione.
Riprende a camminare, ma tu non lo guardi; ti limiti a tenere gli occhi fissi sulla poltrona che occupava poco prima.
Non vi dite 'Arrivederci'. In fondo non sapete se vi rivedrete di nuovo.
Senti la porta dell'ufficio che si apre e si richiude. Adesso sei rimasto da solo.
Ma l'attesa non è lunga, perché odi il rumore della porta che si apre e si richiude di nuovo.
C'è ancora silenzio, ma non è lo stesso silenzio di prima.
Sebbene nessuno parli, percepisci di non essere solo. Non hai sentito rumore di passi o il suono di un respiro. Semplicemente lo sai. È una sensazione che vola leggera sulle braccia.
Eppure, sebbene tu lo sappia, non ti volti. O forse non ti volti proprio perché lo sai.
"Credevo che prendermi così alla sprovvista, chiudendomi praticamente in un ufficio, fosse una tecnica troppo banale persino per te," dici, sempre con gli occhi puntati sulla poltrona di Shacklebolt.
Perché sai con chi stai parlando. Non hai neanche bisogno di nominarlo.
Shacklebolt non ha detto che non era lui la persona che vuole parlare con te, dopotutto.
Adesso un suono di passi c'è, sebbene attutito dai numerosi tappeti che ricoprono il pavimento, ed effettivamente, poco dopo, una figura si ferma accanto a te. Per te è solo un'ombra scura, vista con la coda dell'occhio.
"Sa, qualche giorno fa ho provato a tornare a casa sua, ma lei non c'era."
A questo punto non puoi davvero fare altro che voltarti verso di lui.
Potter. Chi altri? È una scelta così scontata.
"Hai provato a tornare a casa mia o ci sei realmente tornato?"
"Ci sono tornato."
"Sei sempre il solito ottuso ragazzino," fai tu. "Sì, l'eroe di guerra, il Prescelto, il Salvatore. Ma un ottuso ragazzino rimani."
"Se non fossi andato contro alcune regole che mi erano state imposte, a quest'ora non sarei qui. E neanche lei, professore. Ma tanto so che neanche le interessa."
"Questi sono affari miei."
"Ma se le interessa, allora perché fa così? Perché mi manda sempre via?"
Ti stringi la radice del naso tra medio e indice, chiudendo gli occhi per un momento.
"Potter..."
"Non posso neanche ringraziarla?"
... Non te lo aspettavi.
Sì, a rigor di logica un ringraziamento da parte sua potrebbe anche essere dovuto, è vero... Ma, forse, proprio perché ciò avrebbe implicato dover parlare con Potter, l'hai tolto dalla tua lista dei desideri.
Per quanto essa sia già corta di per sé.
Ma poi, perché mai dovresti desiderarlo, in fin dei conti? Sii sincero. Hai avuto sicuramente un attimo di défaillance. Difatti è con questa ritrovata consapevolezza che rispondi a Potter. Le tue labbra sono un'unica linea sottile, ormai.
"Non devi ringraziarmi. Non l'ho fatto per te."
"Lo so." Potter si appoggia alla scrivania di Kingsley. Per un momento incrocia anche le braccia. "Ma non mi importa. So per chi l'ha fatto, e..." stai per ribattere, ma lui è più veloce di te e continua la frase, "... non fa niente. Il modo in cui si è comportato ha fatto sì che Voldemort" – ti mordi la lingua, nel sentire il suo nome, ma solo per un attimo – "sia stato sconfitto. Questa è la cosa importante. So che non l'ha fatto per me, ma mi sento di ringraziarla: grazie, professor Piton. Grazie – e mi conceda di dirlo, solo per questa volta – per aver amato mia madre, perché, nel bene e nel male che si sono susseguiti, questo ha fatto sì che adesso sia tornata la pace."
Non parli. Non dici niente. Sei lì, con gli occhi fissi su Potter. Lo guardi così, dal basso verso l'alto; e rimani in silenzio.
Cosa dovresti dire o fare, ora? Dovresti cacciarlo da lì? Quello non è neanche il tuo, di ufficio. Dovresti alzarti e andare via? Dovresti rispondergli con un candido 'Prego'?
È frustrante non sapere cosa dire, specie quando, mano a mano che il silenzio si propaga, esso diventa sempre più patetico e imbarazzante.
Probabilmente anche Potter la pensa così. Probabilmente starà pensando di aver parlato troppo.
Ed è così.
Eppure, a differenza delle altre volte, non hai né voglia di cacciarlo né voglia di andartene e lasciarlo lì senza dire niente.
O magari, più che la voglia, non ne hai le forze.
"Ho una cosa per lei," fa allora lui, rompendo il silenzio.
Si stacca dalla scrivania e porta una mano dietro la schiena, per prendere qualcosa nella tasca posteriore dei suoi pantaloni. Te lo mostra: la sua bacchetta.
E quindi?
... No, un momento.
Non è sua, per Salazar e per Merlino.
Quella è...
"La mia bacchetta," il tuo è poco più di un sorpreso sospiro, mentre guardi incantato ciò che pensavi, fino ad un attimo prima, di aver irrimediabilmente perso da tempo.
Poi, però, torni a guardare Potter, e il tuo tono di voce si alza, risultato più gracchiante del solito:
"Perché diavolo tu hai la mia bacchetta, Potter?"
Vedi l'insinuarsi di una sottile incertezza nei suoi dannati occhi verdi, ma non lo fai parlare, sei tu che riprendi la parola:
"L'hai avuta tu per tutto questo tempo?! Sei un emerito idiota!"
"Pensavo... di dargliela quando avremmo finalmente parlato... Dato che non è più successo, allora, ho pensato che adesso fosse il momento più opportuno per—"
"È evidente che l'Eroe del Mondo Magico non è capace di pensare alle cose più elementari!" Vorresti metterti in piedi, ma rinunci, preferendo, piuttosto, continuare ad urlare: "Dove l'hai trovata?!"
"Ehm – nella Stamberga Strillante. Lei era svenuto, per cui..."
"A maggio! Almeno quattro mesi fa!" L'ultima esclamazione la emetti, forse, con troppa energia, perché senti un'improvvisa fitta alla gola; ti porti una mano al collo e senti la stoffa delle solite bende sotto i polpastrelli. "Quattro mesi fa," ripeti, e la tua voce ora risulta alle orecchie notevolmente strozzata, oltre che gracchiante come un maledetto corvo. "Ho vissuto come uno stupido Babbano per tutta l'estate."
Potter fa una piccola pausa, prima di rispondere.
"Mi dispiace. Pensavo che... Se fossi stato io a riconsegnargliela, questo gesto avrebbe contribuito a darle-- a darci un attimo di tregua dal... discutere, lo ammetto."
"Potevi ridarmela subito, stupido."
"Era troppo arrabbiato con me, se la sarebbe ripresa e la cosa sarebbe finita lì senza cambiare."
"Perché adesso, invece, nutro una profonda simpatia nei tuoi confronti," gli fai ironicamente notare, "e poi cosa ti fa pensare – se, almeno per un istante, ne sei capace – che vorrei mai che le cose cambino?"
"È una speranza. Di solito la speranza non se ne va, se a una cosa ci si tiene davvero."
Quella conversazione sta prendendo una piega strana.
Come fin troppo strano reputi il tuo modo di comportarti subito dopo.
"Stai parlando seriamente?"
"... Certo. Ovvio."
"E ti rendi conto che, in ogni caso, non potrò comunque rientrare in possesso della mia bacchetta se non tra quattordici mesi?"
È ... strano – sembra l'aggettivo più pertinente, ancora – dirlo ad alta voce.
"Ho preferito non rimandare ulteriormente proprio per questo, almeno adesso può ancora..."
Lui lascia la frase in sospeso, preferendo piuttosto porgerti la tua bacchetta.
La guardi per un momento.
Sai che una bacchetta non è come una persona. Sai che non è che tu debba dirle arrivederci, per quanto quell'oggetto sia importante per te.
Però allunghi un braccio e, quando afferri l'impugnatura della tua bacchetta, senti un certo... calore irradiarsi da essa e avvolgerti la mano. La stessa sensazione che hai provato a undici anni nel negozio di Olivander. Sarà anche solo un oggetto, seppur personale, seppur magico... Ma è come se lei, invece, ti stesse proprio salutando.
"Vuoi renderti utile per me, una volta nella vita, Potter?"
Alzi gli occhi e lo trovi in attesa, così prosegui:
"Non mi pare che tu, stranamente, l'abbia rovinata, scheggiata o rotta in qualche modo."
"In quel caso non gliel'avrei proprio restituita, altrimenti mi avrebbe Schiantato senza troppi complimenti."
Ghigni appena. "Cosa ti dice che non potrei comunque Schiantarti lo stesso, ora?"
"Attaccare Harry Potter qui? Dopo il suo stesso processo?"
"Probabilmente è solo questo che mi frena dall'agire. Comunque. Dicevo. Reputo che sia necessario, a questo punto, che tu conservi la mia bacchetta ancora per un po'."
Glielo dici così. Di punto in bianco e tutto assieme. Gli occhi di Potter si spalancano.
"Cosa...?"
"Sei diventato anche sordo?"
"No!"
"Allora ti pregherei di darmi una risposta."
Potter balbetta un 'Va bene' nella confusione più sbigottita.
Non gli spieghi il perché. Ti chiedi se sia un modo per ringraziarlo a tua volta, per quanto ha fatto nella Stamberga Strillante, per averti – lui o chi per lui – salvato la vita.
... Salazar, certo che no.
"Se poi, quando me restituirai, la troverò rovinata..."
"Non accadrà. Ci tengo alla pelle. Ma... Questo vuol dire che parleremo un po' meglio, quando verrò da lei per restituirgliela?"
"Non dire stupidaggini."
Potter si stringe nelle spalle e, stranamente, nemmeno protesta. Evidentemente ha capito che fare i capricci non porterebbe poi a molto.
"Ah, beh. Ci ho provato," commenta, mentre tu gli ridai in custodia la tua bacchetta, che lui si sistema, delicatamente, di nuovo in tasca.
Sebbene sia diventato l'eroe del momento, tre parole riescono a tramutarlo nel ragazzo che semplicemente è.
Non che a te serva qualcosa che te lo ricordi. È solo una constatazione.
In ogni caso c'è ben poco altro da dire, a questo punto, così Potter va ad aprire la porta, mentre tu, finalmente, ti metti in piedi, stampella alla mano. Al di là della soglia vedi O'Dampand e Mann, ovviamente in piedi.
"Avete fatto conoscenza, voi due?" fai allora nella loro direzione.
"Come no," risponde O'Dampand, "altri dieci minuti e gli avrei chiesto di sposarmi."
"Le va male, signorina," osserva, invece, Mann, "sono già sposato."
"Povera donna."
Tu ghigni, dal canto tuo.
Ma Potter è ancora lì presente, difatti saluta prima te con un 'Arrivederci, professore', ma tu ti limiti a guardarlo, al che Potter saluta anche O'Dampand e Mann, per poi andare per la sua strada.
Sparisce dietro l'angolo un momento dopo.
"Andiamo anche noi?" dice Mann. "La signorina qui presente mi ha detto dove vive, signor Piton. Anzi, dove vivete. Devo scortarvi fin lì. Prima arriviamo, prima torno ai miei affari."
Che è, in sostanza, la stessa cosa che mesi prima aveva detto Witherington quando, dal San Mungo, sei stato bellamente spostato a Spinner's End. È singolare, quantomeno. Nonché abbastanza banale l'uso delle parole.
Fatto sta che andate via veramente. Mann vi fa lasciare il Ministero da un'uscita secondaria. O terziaria o giù di lì, il Ministero avrà almeno cinque o sei uscite, secondo te. Ma così, perlomeno, non sei costretto a sfilare davanti alle persone che – ne sei sicuro – ti stanno aspettando dopo il processo. Molti sconosciuti, magari, ma anche molti volti noti, che, forse, vorrebbero parlare con te. Che sia per poco o per tanto non fa differenza. Non ti senti di voler parlare con loro e, anche se fossi stato incline, di sicuro l'occasione non ti concilia i nervi.
È meglio così.

Mann ha detto che sarebbe andato via, ma non che sarebbe stata l'ultima volta che vi sareste visti. Ha spiegato a te e a O'Dampand, sul pianerottolo di casa di quest'ultima, che ogni tanto sarebbe passato per... controllare la situazione. D'altronde ora sei ufficialmente agli arresti domiciliari, è anche normale.

Ma non per questo meno irritante.
Quando Mann, finalmente, si degna di lasciarti in pace, rimanere solo con O'Dampand è quasi una benedizione.
Quasi – sottolinei subito mentalmente.
"Vuole una tazza di tè?" è la prima cosa che dice lei.
No. Basta tè per quel giorno.
"No," rispondi tu, per l'appunto, "penso andrò in camera."
"Si stende un po'?"
"Cos'altro potrei fare, secondo lei?"
Hai usato un tono sarcastico, lo sai.
Se tu avessi la mano libera, la useresti per massaggiarti una tempia.
"Scusi," aggiungi subito.
"Sta bene?"
Sei stato appena condannato, quindi la domanda di O'Dampand sembrerebbe piuttosto inopportuna. Ma tu non la consideri tale, nel tuo caso.
"Sono... affaticato. Solo questo," rispondi.
"La chiamo per cena, allora."
Tu ti limiti ad annuire, prima di camminare – o di arrancare lentamente – verso la camera da letto. E verso il letto, più specificamente. Hai i muscoli indolenziti, ormai, le gambe e la schiena invocano pietà.
Hai sempre sopportato il dolore piuttosto bene – quello fisico, perlomeno – ma rifiutare del riposo quando nulla te lo impedisce sarebbe mera stupidità.
E, mentre sei disteso, vestito, sopra le coperte, sai di poter mentalmente catalogare quella giornata appena trascorsa come una delle più lunghe della tua vita.










Angolo Autrice:

Come state? Spero bene.

Ma, lasciando da perdere i convenevoli, spero veramente che questo capitolo vi sia piaciuto! Il processo è ufficialmente concluso, abbiamo una sentenza e Piton comincia i suoi arresti domiciliari. La giornata, che è durata ben quattro capitoli di questa storia, volge al termine.

Non ho note da riportare che vadano ad aggiungere qualcosa in più a quanto è già stato detto, per cui attendo le vostre impressioni: su, su, non siate timidi, una recensione qui fa sempre piacere! Non mordo XD

A risentirci!

Un abbraccio,
Iurin  

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