Capitolo 5
La notizia che gli Ittiti avevano lasciato Mantinea per avanzare verso Sparta si era diffusa rapidamente in città, mentre gli incontri clandestini di Achille e Giada continuavano.
La luce del mattino solleticava i visi dei due amanti, che stesi sul talamo della ragazza si godevano i pochi istanti di libertà.
Giada, con il capo abbandonato sulla spalla di Achille, disegnava cerchi immaginari sul petto muscoloso dell'eroe.
"Credo che sia arrivata l'ora di andare" disse lui, senza entusiasmo, prendendo la mano di Giada che lo stava accarezzando e lasciandole un bacio sul dorso.
La principessa sorrise.
Gli prese il viso tra le mani e lo baciò dolcemente, quasi a non volerlo fare andare via, come ad assicurarsi che non fosse tutto un sogno.
Per quanto amasse sentire le labbra di Giada sulle sue, Achille fu costretto dopo un po' ad interrompere quell'intimo contatto, perché se Agamennone lo avesse visto arrivare tardi per due mattine consecutive si sarebbe insospettito.
Lasciò un'ultima carezza alla ragazza, poi si alzò alla ricerca degli indumenti sparsi sul pavimento della camera.
Giada si concentrò un attimo sul fisico statuario di quello che ormai poteva definire il suo compagno, poi alzò lo sguardo verso i suoi occhi azzurri.
"Non è una riunione, è una rappresaglia, vero? State partendo..." disse lei, incupendosi un po'.
Achille attese qualche istante prima di rispondere.
"Sì, è giunto il momento. Ora siamo preparati, non possiamo permettere che arrivino a Sparta con tutto l'esercito, vanno fermati"
Giada si mordicchiò il labbro, preoccupata.
Dopo averle lasciato un ultimo bacio, il ragazzo si chiuse la grande porta alle spalle, mentre lei affondava di nuovo il capo tra i cuscini con un sospiro.
Si diede mentalmente della stupida.
Insomma, non aveva motivo di preoccuparsi così, era pur sempre di Achille che si parlava.
Ma non poteva proprio fare a meno di pensare in modo negativo.
Era così sbagliato essere in pensiero per l'uomo che amava?
Fosse stato per lei, non lo avrebbe nemmeno mandato a combattere.
Pensandoci sorrise amaramente.
L'amore era un sentimento egoista.
Ti indebolisce, ti insinua delle paure, non ti fa dormire.
E vista così sembra la più terribile delle cose.
Eppure è l'energia che fa girare il mondo, che ci rende vivi.
Giada sorrise, sorrise con le labbra, con gli occhi, col cuore, e si lasciò sopraffare da tutto l'amore che Afrodite, Eros, il destino o chicchessia le stavano dando la possibilità di provare.
Le sue preoccupazioni andavano anche verso la sua "famiglia".
Per quanto scorbutico, tirannico ed odioso, suo zio le aveva salvato la vita, l'aveva tirata via dalle grinfie delle malelingue dopo la guerra, l'aveva accolta a palazzo cercando di dimenticare che fosse figlia di Elena per darle l'amore che qualunque zio, anche se in modo un po' tirato, darebbe ad una nipote.
Per quanto non lo accettasse, in qualche modo Giada voleva bene ad Agamennone.
A saperla con Achille di certo non sarebbe stato fiero, oh no, proprio per niente.
Sorrise di nuovo.
A lei non importava.
Lei non sarebbe stata fiera di sé stessa se avesse rinunciato all'uomo che amava solo per non disobbedire a suo zio.
E in tutte onestà, per quanto poco si ricordasse gli insegnamenti che sua madre le aveva dato da bambina, sapeva cosa le avrebbe detto in quel caso.
Le avrebbe detto che deludere gli altri era meglio che deludere sé stessa, perché di persone nella vita se ne incontrano tante, invece tu sarai unica. La tua perpetua compagna di viaggio, quella con cui farai i conti ogni notte.
Giada si rabbuiò un po', pensando al meraviglioso insegnamento di una mamma che forse non avrebbe rivisto mai più,
Achille, dal canto suo, sapeva di avere ora un ottimo motivo per combattere per difendere Sparta e quel motivo aveva un bel paio di occhi color del mare e dei boccoli biondi che ricadevano morbidamente sulle spalle.
Quel motivo era Giada.
Non faceva altro che pensare a lei, in ogni istante, e associava a lei anche la più futile delle cose.
Quando fissava il cielo, pensava alle sue iridi.
Quando guardava le minuscole dune di sabbia sulla spiaggia, pensava alle sue dolci forme.
Quando vedeva il vento smuovere le foglie degli ulivi, immaginava il suo abito che si muoveva insieme a lei in un ballo.
Era dunque quello l'amore di cui i cantori si riempivano la bocca?
Per Achille era strano provare simili sentimenti, aveva sempre pensato di non essere tagliato per una cosa del genere, non credeva che si sarebbe mai innamorato.
Invece stava succedendo.
Faticava ancora a crederci, eppure ogni giorno che passava si rendeva conto sempre di più di quanto Giada stesse diventando indispensabile per lui.
La cosa, in minima parte, lo spaventava.
Non aveva mai dipeso da nessuno, in nessun senso.
Il fatto che la sua felicità fosse ora legata tutta ad una sola persona, e non al nemico ucciso in battaglia, lo sconvolgeva non poco.
Per la prima volta non gli importava di essere ricordato per sempre come il più grande eroe greco.
Pensava di poter essere contento anche solo tornando a casa e trovando Giada ad accoglierlo col suo luminoso sorriso.
A quel pensiero si fermò di colpo a metà della rampa di scale, come se un fulmine di Zeus lo avesse attraversato da capo a piedi.
Lo aveva davvero pensato? Sul serio?
Si passò una mano sul viso, con un sorriso un po' disperato.
Per tutti gli Dei, Giada. Cosa mi stai facendo?
"Cugino ti sbrighi? Aspettiamo solo te!" esclamò Patroclo, già con l'armatura addosso e il tono animato dalla voglia di combattere.
Achille annuì con decisione, l'elmo sotto braccio.
Agamennone sulla biga guidava l'esercito, accanto a lui Nestore ed Ulisse.
Dopo un po' raggiunsero l'ampio spiano sabbioso a metà strada tra Sparta e Mantinea, dove l'esercito ittita li attendeva già schierato.
Tra le loro schiere si fece avanti un uomo dell'età di Achille, anche lui dagli occhi azzurri che riflettevano uno sguardo spavaldo e magnetico, parzialmente coperti da un ciuffo di capelli corvini che gli scendeva disordinatamente sul viso.
"Tu devi essere Agamennone, nobile re della Grecia. Io sono Tabal*, principe degli Ittiti. Hai ancora la possibilità di salvare la tua gente, Agamennone. Consegnami Sparta e farò salvi i tuoi cittadini"
La sonora risata del sovrano spartano risuonò per il campo di battaglia.
"Sei tanto giovane quanto illuso, mio caro principe. Credi forse che il tuo affatto glorioso esercito possa conquistare le mie terre? Pensi di diventare il capo indiscusso di tutti gli altri sovrani greci?"
Il tono di voce di Agamennone appariva sinceramente divertito.
Anche il ragazzo sorrise, tutt'altro che intimorito.
"Come preferisci. Ora scoprirai quanto glorioso sarà il mio esercito, dopo avervi sconfitto! Ittiti, attaccare!"
L'urlo feroce dei soldati ittiti si mischiò a quello dei greci e le prime linee cominciarono a scontrarsi.
Achille puntò la spada al petto di Eudoro, già pronto ad avanzare.
"Fermi, Mirmidoni! Non è ancora il momento"
La battaglia imperversava e contrariamente alle proprie aspettative, Agamennone vedeva i propri soldati sconfitti sotto i colpi delle lance ittite.
"Ci sopraffanno!" urlò Ulisse, avvicinandosi al re acheo.
"Dov'è Achille?! Perché i Mirmidoni sono nelle retrovie?!" sbraitò Agamennone, rosso in viso.
Achille si fece avanti, imperturbabile.
"Non mando a morire i miei soldati per le brame di un re, Agamennone"
"I tuoi soldati moriranno per mano mia se non combattono subito!" esclamò inviperito l'altro, scambiando uno sguardo gelido con il biondo.
Patroclo fissò perplesso il cugino.
"Achille, allora? Siamo qui per combattere o no?"
Il mirmidone estrasse la spada.
"Sappi che non è per te che mi batto, Agamennone. Mirmidoni, attaccare!"
Sotto la furia sanguinosa dei soldati di Achille, gli Ittiti furono costretti a ripiegare, ma prima il bel Tabal si ritrovò faccia a faccia con il biondo.
"Tu sei dunque Achille, colui che ha ucciso Ettore di Troia. Pare che nessuno sia sopravvissuto alla furia della tua spada" disse, per niente spaventato.
"Mi dispiace deluderti, principe, ma non so invece chi tu sia. Probabilmente le tue eroiche imprese, come ami definirle, sono sconosciute a molti"
Tabal sorrise, accogliendo la provocazione di Achille.
"Ci rincontreremo presto, figlio di Peleo, molto presto. Ittiti, arretrare!"
Il biondo osservò l'esercito ittita che si ritirava, umiliato solo dai propri uomini.
Si girò poi verso Agamennone, mentre intorno a loro i soldati non osavano proferire parola.
"Immagina un re che combatte le sue battaglie. Sarebbe un evento raro!"*
Agamennone stava per ribattere ma Achille e i Mirmidoni avevano già fatto dietro-front verso Sparta.
Ulisse, con un sorrisetto, si rivolse al Re dei re.
"Stai forse per dire che tra tutti i guerrieri favorito dagli Dei, lui è colui che odi di più?"*
"Non è un guerriero favorito dagli Dei... per la sua impudenza Zeus lo avrebbe già fulminato!" rispose Agamennone a denti stretti.NOTE:
– Non è mai esistito un principe Ittita chiamato così o che abbia tentato di conquistare direttamente Sparta, è tutto frutto della mia fantasia.
– Frase pronunciata da Achille nel film "Troy" del 2004.
– La frase di Ulisse e la risposta di Agamennone sono un riferimento ad un'altra battuta del film Troy.
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La principessa di Sparta [IN REVISIONE]
Historical FictionSiamo a Sparta, cinque anni dopo la guerra di Troia. Agamennone non è morto e continua ad essere lo scorbutico sovrano della Grecia, prendendo il posto del fratello deceduto a Sparta, occupandosi anche di sua nipote, la splendida Giada, figlia propr...