Capitolo 11.
Nella penombra della sua tenda, illuminati solo dal chiarore di un paio di lanterne, il principe Tabal parlava con uno dei suoi generali.
"Dimmi un po' Trido, chi era quella bellissima fanciulla che abbiamo visto al palazzo di Sparta?"
"E' la principessa Giada, mio signore. Nipote di Agamennone, figlia di Menelao"
Un sorriso malefico si fece strada sul volto sbarazzino di Tabal.
Sì, quella principessina gli sarebbe stata molto utile...***
A Giada, rinchiusa quasi sempre nel gineceo* del palazzo o nella sua camera controllata dalle ancelle, sembrava di essere in una prigione.
Le mancava parlare con Patroclo e Telemaco ma soprattutto le mancava Achille, non era riuscita a vederlo dal giorno delle celebrazioni funebri di sua zia.
La ragazza sospirò, osservando il cielo tingersi di rosso a causa del tramonto.
Aveva sentito, dai mormorii di qualche ancella, che quella sera i Greci avrebbero attaccato a sorpresa il covo degli Ittiti.
Si chiedeva se Achille avesse combattuto oppure se preferisse puntare la lama contro suo zio, senza avere nemmeno tutti i torti.
Giada sperava di avere almeno la compagnia di Afrodite, ma la dea non si era più fatta vedere.
"Ah, sembra che tutti si siano dimenticati di me!" sbottò ad alta voce, pestando i piedi.
"Un comportamento così infantile non si addice ad una principessa, mia cara, lasciatelo dire"
Giada sobbalzò.
Sul balcone era appena comparsa una donna molto alta, con dei lunghi capelli neri come la pece e un vestito azzurro che sembrava brillare di luce propria.
La pelle, pallidissima, era evanescente.
"Tu... tu chi sei? Una ninfa?" balbettò la ragazza, perplessa e piuttosto preoccupata dal ricevere un'altra visita "divina" in camera propria.
La donna scoppiò a ridere in modo un po' sprezzante.
"E chi pensavi che fossi, Atena forse? Sono Teti, principessa, ninfa del mare"
Se fosse stato anatomicamente possibile, la mascella di Giada avrebbe raggiunto il pavimento nel giro di pochi istanti.
Teti. Quella Teti. La madre di Achille. Accidenti.
"Oh perdonami Teti, io non pensavo..."
"Mio figlio ti descrive bene, sei proprio la figlia di Elena. Ma non hai poteri soprannaturali. Mi sorprende, pensavo che solo un sortilegio potesse far innamorare mio figlio di una comune donna mortale"
La ragazza non disse nulla, non poteva di certo aspettarsi di meglio da una ninfa che odiava gli esseri umani.*
"Sono qui per conto di mio figlio"
"Davvero, ti ha mandato Achille?"
Nel pronunciare il nome dell'uomo che amava, la voce di Giada divenne più limpida.
Teti annuì.
"Stanno partendo per la battaglia. Sei sciocca se temi per la sua vita, principessa. Mio figlio è il migliore"
"Capita di essere sciocchi, quando si è innamorati" si sentì in dovere di specificare Giada, suscitando uno sbuffo da parte della regina di Ftia.
"Parli proprio come tua madre. Passare del tempo con lei è stancante. Non fa altro che parlare di te, dell'amore e di tutte quelle futili cose di cui voi mortali vi riempite la bocca. Le onde mi richiamano, principessa. Ci rivedremo presto"
Giada non ebbe il tempo di aggiungere altro, che la donna era già sparita.
Nemmeno un'informazione su sua madre o su Achille.
Non era di certo stata la conversazione più impegnativa della sua vita...
Il cielo ormai si era scurito e la sconfortante solitudine cadde nuovamente tra quelle quattro mura.
Le truppe greche erano andate vie da un'ora ormai e la ragazza era persa in uno dei suoi avvincenti rotoli di papiro, quando la porta della stanza si spalancò facendola sobbalzare.
Due guardie, le cui armature non ricordavano affatto quelle dell'esercito di suo zio, si fecero avanti armati di lancia.
Giada fece automaticamente un passo indietro, spaventata.
"Chi siete?! Come siete entrati qui!?"
Sentì una risata provenire dall'esterno della camera, dopodiché vide un ragazzo della sua età, dagli occhi blu come il mare in tempesta e i capelli corvini, farsi avanti.
"Ah principessa, è l'ultima cosa che devi temere in questo momento. Lascia che mi presenti, sono il principe Tabal, diretto discendente al trono del regno ittita. E tu sei Giada, più bella di quanto raccontano"
Si avvicinò addirittura per farle un baciamano ma la ragazza si tritasse istintivamente.
Ora lo riconosceva, lo aveva visto combattere la notte in cui era morta sua zia.
Tabal sorrise alla sfrontatezza della ragazza.
"Guardie, prendetela!"
Giada si dimenò dalla forte presa dei due soldati ittiti ma ricevette un forte colpo sulla tempia che le fece perdere i sensi.***
Agamennone e gli altri generali, con i loro eserciti, tornarono a Sparta in piena notte.
Avevano sterminato più della metà degli Ittiti rimasti ed era stato principalmente Achille ad infliggere loro i colpi mortali, ma non seppero spiegarsi l'assenza di Tabal.
Con l'intenzione di scovarlo al più presto ed annientare anche lui, i Greci ritornarono a Sparta per seppellire i propri morti e rifocillarsi dopo lo scontro.
Agamennone stava per salire le scalinate del palazzo ma un'ancella corse verso di lui, inginocchiandosi ai suoi piedi.
"Mio re, mio re!" urlò piangendo, attirando l'attenzione anche di Ulisse, Achille e di tutti gli altri.
"Parla, umile serva, perché ti lagni tanto?" chiese in modo scorbutico il sovrano di Sparta, allontanandosi dal viso piangente della fanciulla.
"Il principe Ittita è venuto qui! Ha razziato alcune camere del castello..." singhiozzò, con evidenti difficoltà a parlare.
Il volto dei generali si fece cupo, ecco dov'era finito Tabal, aveva usato la battaglia come diversivo.
"Quel principino dei miei stivali non la passerà liscia" mormorò a denti stretti Agamennone, che ancora una volta si stava lasciando la serva alle spalle per salire verso il portone principale.
"Mio re aspetti! C'è altro!"
Con esasperazione l'Atreo si rivoltò indietro.
"Lui ha... lui... ha preso la principessa e l'ha portata via!"
Dopodiché scoppiò nuovamente in un pianto disperato.
La faccia di Agamennone era tutta un programma, Patroclo e Telemaco sembravano due statue di sale mentre lo sguardo di Ulisse si posò immediatamente su Achille.
Aiace avvicinò la mano all'elsa della spada, aveva un brutto presentimento.
Come a voler dar voce ai suoi timori, il Pelide afferrò la propria arma con una velocità innaturale e la puntò contro Agamennone, che istintivamente chiuse gli occhi, paralizzato da una paura inaspettata.
Quando li riaprì era convinto di essere sulla riva dello Stige ad attendere Caronte con un obolo sotto la lingua, invece no, non erano le profondità del Tartaro che lo attendevano.
Era esattamente dove si trovava due secondi prima, con l'unica differenza che la lama della spada di Achille era a pochi millimetri dalla sua gola.
Dietro al biondo anche Aiace e Idomeneo avevano afferrato le armi anche se non sapevano esattamente contro chi utilizzarle.
Telemaco e Patroclo erano ancora immobili, Teucro ed Eurialo avevano tutta l'aria di non capire cosa diamine stesse succedendo mentre Nestore ed Ulisse, a braccia conserte, restarono in silenzio.
"Spero che tu sappia che la colpa di quanto è successo è solo tua" sibilò Achille, con un tono spaventoso.
Agamennone non rispose, un solo piccolo movimento e si sarebbe ritrovato con una spada conficcata nella trachea.
"Tu prega ogni singolo Nume che non le accada nulla, perché altrimenti nessuno potrà salvarti dalla furia della mia spada"
Dopo alcuni istanti di massima tensione, Achille ripose la lama nel fodero e si girò verso l'ancella ancora seduta sulle scale.
"Ha detto qualcosa, il principe, prima di andarsene?"
Lei inghiottì a vuoto e con lo sguardo basso disse: "La città in cambio della principessa"NOTE:
– Nel mondo greco il gineceo era l'area riservata alle donne.
– L'odio di Teti verso i mortali è giustificato dal fatto che, nel mito del concepimento di Achille, lei fu violentata da Peleo per volere degli Dei e fu costretta a sposarlo contro la propria volontà.
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La principessa di Sparta [IN REVISIONE]
Historical FictionSiamo a Sparta, cinque anni dopo la guerra di Troia. Agamennone non è morto e continua ad essere lo scorbutico sovrano della Grecia, prendendo il posto del fratello deceduto a Sparta, occupandosi anche di sua nipote, la splendida Giada, figlia propr...