Capitolo V

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Senza tregua

Era intontito. Non sentiva nulla. Solo uno strano odore... ma non lo riconosceva. Le pupille vennero invase da una luce bianca, potente, inebriante. Il tutto mentre quell'odore, ormai classificato dal suo subconscio come piacevole e dunque un profumo, si faceva sempre più intenso. Sentì qualche passo al suo fianco. Finalmente riconobbe il profumo.
《Sono in paradiso? E San Pietro mi accoglie con una tazza di caffè americano?》mormorò sarcastico Andrew.
Udì un sospiro di sorpresa e soddisfazione.
《Sì sta riprendendo signore?》
Andrew, tenendo gli occhi a riposo, ancora abbagliato, voltò la testa verso il suo interlocutore misterioso.
《Mi dica, San Pietro, sono stato un peccatore?》proseguì il tedesco.
《Le pare che San Pietro parlasse in inglese con i nuovi arrivati?》domandò sarcastica la voce.
《Oh, beh, ha ragione. In effetti dovrebbe parlar tedesco, la mia lingua madre. Dunque, non sono morto?》continuò imperterrito Andrew.
L'altro si fece sfuggire una risatina divertita.
《No amico. Ti hanno beccato all'ultimo momento. Eri allo stremo, il tetano sa essere letale se non curato in fretta.》

Ricordò tutto come in un lampo.
Il rombo degli aerei, uno sforzo immane per trascinarsi fuori dal bunker mentre era in preda ad alcuni violenti spasmi, il lancio del razzo e poi... nulla. Il buio più totale. Era quindi vivo? Incredibile! Non avrebbe mai pensato di potersela cavare. Era sfuggito alla morte, dalle sue grinfie, dal suo freddo abbraccio, dalla sua coltre oscura.

《Dove sono? E chi è lei?》domandò subito dopo Andrew.
《USS Ronald Reagan amico. Parli con l'ufficiale Charles Preston. I medici dicono che te la caverai, ti lasceremo a terra fra un paio di settimane quando attraccheremo in Etiopia per far rifornimento di viveri e carburante.》
《Quindi sono salvo?》continuò Andrew.
《Certo fratello. Benvenuto sul suolo americano.》
《Ma non eravamo vicino alla costa africana?》lo interrogò il ricoverato.
《Certo. E lo siamo ancora. Conosce le legislazioni marittime internazionali?》ribattè quasi indignato Charlie.
《Mi cogli impreparato su un argomento... posso chiamarti Charlie?》
L'altro annuì.
《Ehilà? Ci sei?》lo chiamò Andrew cercandolo con una mano.
L'ufficiale si trovò in imbarazzo con sé stesso, il giovane non aveva ancora aperto gli occhi.
《Sì, mi chiamano tutti così, fai pure.》rispose amichevole il marinaio.
《Bene. Allora Charlie... spiegami, ti ascolto.》

Asia centrale, Kazakistan,
Astana. 18:40.

Vrata!》gridò un energumeno poco prima di coprirsi le orecchie e accovacciarsi a terra.
Seguì una potente esplosione, frastornante, rindondante. Volarono schegge di legno, frammenti di ferro, chili di polvere.
Ajimo! Unutra!》gridò un'altro.
I visi erano coperti dai passamontagna, erano avvolti nel nero di alcuni vestiti e giubbotti antiproiettile e imbracciavano piccoli fucili d'assalto. Erano una dozzina. Entrarono velocemente, l'uni dopo l'altro, l'uno più attento del suo successore.
La polvere limitava la loro vista, erano agitati, erano pronti a combattere. Dopo qualche secondo parlarono fra di loro.
Ništa?》chiese quello che doveva essere il capo.
Niet.》dissero gli altri, più di una volta. Il capo sollevò la maschera nera dal viso, inalando l'odore di polvere bruciacchiata. La stanza era a soqquadro, probabilmente a causa dell'esplosione della carica usata per fare irruzione. Osservò quella spartana stanza d'albergo. Secondo le loro informazioni l'attentatore di qualche giorno prima era annidato li. Ma non avevano trovato altro che un cumulo di polvere sottile, un letto sfatto, un armadio rovesciato a terra e un tavolo scostato leggermente dal muro giallastro.
Vi dva. Nacontrollìrate ovamo.》
《Da capetan.》risposero i due interpellati. Il gruppo uscì dalla stanza, tornando nel corridoio.
I due prescelti per la perquisizione della stanza, o quello che ne restava, inziarono a rovistare fra il ciarpame della stanza. Ma non sapevano di essere osservati.

Dalla minuscola fessura fra le due ante dell'armadio, lo sguardo attento del ricercato li osservava.
"Sokolovi" pensò "sono proprio nei guai."
Uno dei due perquisitori si voltò verso l'armadio.
"No. Voltati." gli ordinò mentalmente l'uomo.
L'altro fece un passo verso il suo nascondiglio.
"Maledizione." pensò mettendo mano alla pistola che aveva agganciata alla cintura.
Il soldato allungò una mano verso l'armadio.
"Te la sei cercata." Puntò la pistola verso la porta del mobile. Esplose tre colpi attraverso il legno chiaro dell'oggetto d'arredamento.

Sfondò la porta, uscendo allo scoperto. L'altro, colto alla sprovvista, venne crivellato da una raffica di colpi. Delle urla insorsero furiose dal corridoio. Non poteva certo uscire dalla porta. Si guardò attorno. Il suo tempo scorreva. Un soldato irruppe nella stanza sparando alcuni colpi. Clamorosamente, la sua mira fece cilecca, permettendo al fuggitivo di rispondere e avere cara la pelle. Altri passi arrivavano, sempre più vicini, sempre più minacciosi.
Prese il tavolo e lo rovesciò a terra. Era consapevole che non lo avrebbe salvato a lungo, doveva trovare una soluzione. Una raffica di proiettile trapassò il tavolo. Sporse la pistola poco oltre il bordo di legno e rispose al fuoco nemico. Aveva solo un'idea in mente, ma non gli piaceva, non gli piaceva affatto. Ma era la sua unica via d'uscita.

Afferrò il tavolo per una gamba e lo appoggiò a terra per il lato corto. Si ritirò lentamente verso la parete usando il banco come scudo mentre seguitava a minacciare gli aggressori con i dardi esplosi dalla pistola.
Si trovò con la spalle al muro. La finestra era dietro a lui. La sfondò con due gomitate decise. Appoggiò le gambe del tavolo alla parete così da avere le mani libere mentre nell'aria continuavano a sibilare proiettili letali.
Scavalcò il davanzale. La fresca aria di quella giornata gli scompigliò i capelli. Si guardò sotto.
《Ma che fortuna...》disse fra se e se.
Si lasciò cadere.

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