Diventando una signorina

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Quando dissi a mia madre che probabilmente ci sarebbe stato il prof a Natale mi guardò perplessa, ma quando le spiegai che era rimasto solo mi disse che avevo fatto bene ad invitarlo.

«Settantotto, settantanove, ormai un posto in più non cambia».

Settantanove. Settantanove per quattro trecentosedici. Avevo almeno trecentosedici posate da lavare. Evviva! Dato che non davo una mano a cucinare (perché anche se ognuno portava una pietanza anche noi preparavamo qualcosa da mangiare) toccava a me lavare le stoviglie. Per piatti e bicchieri si utilizzavano quelli di plastica, ma per quanto riguarda le posate c'erano sempre lamentele sul coltello che non tagliava, la forchetta che non si infilzava, così mamma si era attrezzata e aveva comprato una quantità industriale di posate. Si poteva caricare una lavastoviglie solo di posate? No! E toccava a me lavarle.

Mi sistemai per bene i ricci. Fortunatamente grazie al loro taglio e alla schiuma non era difficile tenerli ordinati. Pescai nell'armadio il vestito che misi per il mio diciassettesimo compleanno, verde smeraldo con uno scollo a V non troppo profondo, le maniche larghe e la gonna che mi arrivava fino ai piedi. Cercai le scarpe, gli orecchini e la collana abbinata. Era quasi un anno che non indossavo il tutto. Mia sorella Elena entrò nella stanza e rimase a guardarmi stupita.

«È Natale no? Mi trucchi?» chiesi io prima che potesse dirmi qualcosa.

«Stai male?» venne verso di me sorridendo e poggiandomi una mano sulla fronte.

«È festa ho quasi diciotto anni, posso truccarmi no?»

«Avevi quasi diciotto anni anche tre settimane fa quando andasti alla festa dei diciotto anni di Vanessa eppure ho dovuto pregarti per farti mettere un po' di mascara».

Feci spallucce ed Elena andò a prendere la sua porchette con i trucchi.

«Devo fare in fretta però, fra poco viene Francesco» Il suo ragazzo.

Mi fece sedere e cominciò a stendermi il fondotinta sul viso.

«Questo serve per rendere uniforme il colore della pelle» mi spiegò in tono canzonatorio e continuò così per ogni cosmetico che usava.

Quando finì mi guardai allo specchio. L'ombretto grigio accentuava i miei occhi verdi e con un po' di matita aveva messo in risalto pure le labbra. Non mi sentivo molto a mio agio truccata, però, per qualche motivo, volevo essere perfetta quella sera.

«Mamma mi ha detto che viene il tuo professore di matematica?» mi chiese Elena mentre prendeva i suoi vestiti dall'armadio.

«Già, ma non è sicuro. Si è trasferito da poco ed era solo».

«Bah».

Diedi un bacio a mia sorella per ringraziarla e uscii dalla mia stanza per andare ad aiutare mia madre ad apparecchiare la tavola. In cucina trovai mia sorella maggiore Sara con mio nipote Giulio in braccio.

«Tsia Lice» mi gridò il piccoletto cercando di scendere dalle braccia di mia sorella.

Diedi un bacio a Sara e presi Giulio tra le braccia.

«Andiamo a giocare?» chiesi contenta di poter far altro che stare a sistemare la tavola.

Sono sempre stata più portata per i lavori fai-da-te che per le faccende domestiche.

La sala dove avremmo passato la notte di Natale una volta era una stalla. Era enorme. Una serie di tavoli erano messi uno dopo l'altro, grandi lampadari illuminavano l'ambiente e il tutto era riscaldato da due caminetti. Un'altra serie di tavoli era nella stanza adiacente. La seconda sarebbe stata la stanza dove si sarebbero seduti i giovani, più per questione di spazio che per privacy. Mio zio Saro, seduto attorno al camino insieme ad altri miei zii, diceva che anche lui si sarebbe seduto nel tavolo dei giovani, perché era "un giovane di sessantasette anni". I miei cugini più piccoli correvano lungo la stanza e alcune mie cugine più grandi erano sedute a spettegolare. Suonarono alla porta e mi precipitai ad aprire. Francesco.

Limiti matematici e d'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora