A metà Aprile ci fu la gita in Inghilterra che iniziò proprio male. Alloggiavamo a Brighton, dopo una giornata in giro per la città e la visita al "Royal Pavilion", eravamo tutte in camera nostra a "farci belle" per andare in discoteca.
Mia sorella mi aveva prestato qualche vestitino elegante e Paola pensò a truccarmi. Tutte piene di brillantini, paillettes e tacchi alti, ci ritrovammo, noi e i ragazzi di altre quattro classi, nella hall.
Il nostro accompagnatore era il professore Lombardi, ma Coco era tra gli accompagnatori di un'altra classe e quando scesi era già lì che faceva l'appello. Poteva essere tranquillamente scambiato per qualche alunno ripetente.
«Stasera mi voglio fare un ballo appiccicata a Coco» sussurrò Silvia provocando alcuni risolini.
Il professore Lombardi fece l'appello e quando fummo tutti uscimmo dall'hotel facendo caciara.
Non so cosa ci fosse di così interessante nell'andare in discoteca. Cosa poteva offrire un locale inglese rispetto ad uno italiano?
Una cosa la scoprii: non potevo entrare.
«Ma faccio diciotto anni tra meno di un mese!» esclamai arrabbiata a Paola.
Non ero abbastanza concentrata da poter parlare in inglese con quel pignolo di buttafuori e mi allontanai un poco perché avevo voglia di piangere e prendere a pugni quell'ammasso di muscoli.
Il professore Lombardi mi si avvicinò.
«Che succede?» mi chiese.
«Non ho diciotto anni e non posso entrare. Paola sta provando a spiegare che in meno di un mese divento maggiorenne, ma a quanto vedo non sembra molto convincente».
Il prof parve preoccupato. «Mi spiace...io non so parlare l'inglese, potete spiegargli che me ne assumo la responsabilità».
Il professore Coco si avvicinò al buttafuori. Vidi che parlò con Paola e poi con l'uomo, subito dopo venne verso di me.
«Alice, vuol dire che ci faremo una passeggiata, mi spiace».
«Come?»
«Non ne vuole sapere di farti entrare, dice che rischia il lavoro perché per legge tu non puoi bere alcolici e non puoi entrare in un locale dove li servono»
«Ma. Sono. Tre. Settimane» dissi quasi sillabando.
Lui fece spallucce. «Avresti dovuto procurarti una carta di identità falsa» sorrise «Dai, su con il morale, è un ballo in discoteca...ci facciamo una passeggiata io, te e vedi chi vuol venire. Non più di dieci per cortesia». Rimasi attonita. L'idea della discoteca all'inizio non mi allettava più di tanto, ma adesso che mi era stata proibita l'entrata, mi dispiaceva molto non poterci andare.
Andai verso Paola.
«Grazie per tutto. Mi faccio una passeggiata» le dissi abbracciandola «Vengo con te» mi disse.
«Non c'è bisogno, divertiti, ci sarà qualche altro sfigato che non ha compiuto diciotto anni tra tutti questi alunni no?»
No. E fu un bene perché rimanemmo io e il professore.
Soli.
«Ti va di andare in spiaggia?»
Annuii e ci dirigemmo verso la suddetta.
Levai le scarpe per camminare meglio. Il mio equilibrio era piuttosto instabile sui tacchi e i sassolini sulla spiaggia rendevano impossibile camminare con essi.
«Chi doveva dire che la primina mi dovesse recare più svantaggi che vantaggi?» dissi sbuffando.
«Quale sarebbe lo svantaggio? Andare in discoteca qualche mese dopo? Naaa...io non sono per niente pentito di aver fatto la primina, mi ha fatto recuperare un anno» mi disse.
Lo guardai stupita. «Ha fatto la primina pure lei?»
«Già. E come vedi mi ritrovo ad essere tra i professori più giovani. Certo non dipende solo da questo, però ho un anno in meno di quanto avrei dovuto averne».
«Fatto sta che per qualche settimana io non sono potuta andare a ballare».
«Sarà che sei un po' troppo vestita per i loro gusti» lo disse scherzando accennando alla mia gonna che era quattro centimetri più alta del ginocchio e non due centimetri più bassa dal fondoschiena come quelle delle mie compagne.
Mi sentii imbarazzata.
«Vedi che è un complimento. Sei vestita in maniera perfetta. Non troppo scoperta da non lasciare spazio all'immaginazione, non troppo coperta da dover immaginare troppo e quindi lasciar perdere».
Lo guardai innalzando un sopracciglio.
«Che c'è? Sono un uomo anch'io, che ti aspettassi che mi passassero davanti le ragazze mezze nude e non le guardassi? L'unica cosa che non posso fare e toccarle, ma per il resto...» si strinse nelle spalle e io sorrisi «Ma sei silenziosa! Ehi io non sono andato in discoteca e mi devo fare una passeggiata a parlare da solo? Così non va!» mi diede un colpetto sulla spalla.
«Mi scusi se non è potuto andare a ballare» dissi alla fine.
«Ma vedi che stavo scherzando, sono più che contento di non essere finito lì dentro. Ci sono certe tue compagne che mi fanno paura, secondo me in questo momento stanno pomiciando spudoratamente e mi sarebbe toccato di fare il babysitter. Meglio una passeggiata tranquilla».
«Non capisco come i diciassettenni inglesi non abbiano fatto una rivolta. Che età sfigata. Gli sconti "giovane" sono fino ai sedici anni e puoi entrare nei locali solo se hai almeno diciotto anni. E i diciassettenni? Sfigati».
«Suddai...» teneva le mani in tasca, quasi fosse imbarazzato.
Io guardavo verso il mare quando qualcosa mi punse l'alluce, poi sentii dolore.
«Ahi!» dissi sollevando il piede e appoggiandomi automaticamente alla sua spalla.
«Che succede?» mi chiese preoccupato.
«Qualcosa mi ha punto nell'alluce».
«Sediamoci...aspetta» levò la giacca e la mise per terra «Siediti qua, hai un vestito bellino evitiamo di sporcarlo».
Sorrisi e mormorai un "grazie" mentre mi sedevo sulla sua giacca.
Lui si sedette accanto a me, tirò fuori dalla tasca il cellulare e fece luce sul mio piede con il flash. I collant erano strappati e da un minuscolo taglio nell'alluce uscivano alcune gocce di sangue.
«La ferita non è un granché, bisognerebbe vedere se è rimasta dentro la carne la causa del taglio...che ne so una conchiglia» mi guardai il piede con i collant. Per poterlo fare dovevo levarli e mi sentivo profondamente imbarazzata.
«Dovresti levare le calze. Mi giro» affermò dandomi immediatamente le spalle.
Mi sollevai un poco da terra per far scorrere i collant e li sfilai velocemente. Un soffio di vento mi fece rabbrividire. O era la sensazione di essere seminuda accanto a lui che mi aveva provocato i brividi lungo la schiena?
«Fatto» dissi quasi in un sussurro.
Il prof si girò e puntò nuovamente il flash verso il mio piede. Prima però notai che si soffermò un attimo a guardarmi le gambe con un leggero sorriso. Ripensai che mi aveva detto che anche lui era un uomo e il mio cuore perse un battito.
Mi prese il piede tra le mani e scrutò l'alluce mentre io tiravo fuori dalla borsa i fazzoletti e i cerotti (dovevo ricordarmi di ringraziare Paola che mi aveva convinto a portarli per eventuali bolle dovute ai tacchi).
«No, non hai alcunché».
L'imbarazzo mi stava sciogliendo. Aprii un fazzoletto e mi pulii l'alluce, il tutto cercando di aprire il meno possibile le gambe.
«Grazie» dissi mentre scartavo il cerotto.
«Vuoi una mano?»
«No, grazie, faccio da sola».
«Ok» si distese sulla schiena a guardare il cielo e io finii la medicazione. Poi, incerta, mi distesi sulla schiena pure io, accanto a lui. Aveva aperto nel cellulare un'applicazione per guardare le stelle.
«Quello è il Grande Carro» mi indicò la costellazione.
«Sì, siamo tutti fighi con il cellulare che ce lo dice!» esclamai.
Si girò verso di me con aria divertita. «Ehi! Io stavo cercando qualcosa da fare per non farti camminare. Anche se poi dobbiamo arrivare in hotel, mi toccherà portarti in braccio?» Rise.
Per un attimo pensai che mi dispiaceva che non mi fossi ferita di più e potevo camminare da sola, poi mi resi conto del pensiero stupido.
«E quella è la costellazione della Vergine. Io sono Vergine».
«Io Toro».
Mi sentii in una scena Io Tarzan tu Jane e scoppiai a ridere. Mi avvicinai a lui, per poter guardare meglio lo schermo del suo cellulare.
«Sirio» dissi prima guardando il cielo e poi verso lo schermo. «Ho indovinato. Geografia astronomica è servita a qualcosa. Ha qualche altra app?»
Mi guardò un po' deluso. «Non ti piace? Mi sembrava appropriata per questa serata. Io, te e le stelle».
Forse era per questo che non mi piaceva, forse era un po' troppo romantica come cosa. Toccai a caso lo schermo del cellulare e vidi qualche altra applicazione.
«Applicazione per fare i grafici di funzioni, tabelle di conversione, che cellulare divertente che ha!» dissi ridendo.
«Ne ho di applicazioni carine, ma è meglio che tu non le veda. Non vorrei rovinarmi la reputazione. Sono pur sempre il tuo professore».
La frase mi stuzzicò a tal punto che premetti nuovamente a caso lo schermo e si aprì una foto. Era un bambino sui sei anni, imbronciato.
«Ma è lei!» esclamai meravigliata.
«Sì. E qui finisce la visita nel mio cellulare» impostò il salvaschermo e mise il cellulare in tasca.
Non capii se fosse seccato o meno.
«Mi scusi» dissi.
«E di che?» Mi sorrise.
Chissà se sapeva che quel suo sorriso bastava a farmi accelerare il battito cardiaco. Mi strofinai un occhio con la mano e qualche secondo dopo mi accorsi di avere le dita sporche di trucco.
«Uffa. Ecco perché non mi trucco mai, poi lo dimentico e mi sporco. Sembro un panda vero?»
Il prof rise.
«Più un procione a dire il vero...ehi stavo scherzando» aggiunse quando vide che mi imbarazzai.
«Perché ti sei truccata? Secondo me sei bellissima pure senza trucco...per esempio questo rossore improvviso ti dona molto».
Mi venne spontaneo dargli una pacca sul braccio, sapeva che mi metteva in imbarazzo, perché faceva così? Aspetta un attimo... mi aveva detto che mi trovava bellissima?
Tornò a guardare le stelle.
«All'università sono stato fidanzato per tre anni con una ragazza che si truccava sempre. Se ti dico sempre, intendo sempre. Anche quando dormivamo assieme, si coricava truccata. Un trucco leggero ma comunque sempre gli occhi contornati dalla matita e quella roba per coprire le imperfezioni» neppure io sul momento ricordavo che si chiamasse correttore.
Mi stava raccontando qualcosa di personale e mi faceva sentire importante. Mi misi del tutto girata verso di lui con la spalla che mi urlava dal dolore a causa delle pietre. Ma volevo stare a guardarlo.
«Glielo dicevo che non c'era bisogno che si truccasse con me. Io stavo con lei perché mi piaceva non solo fisicamente. Ma niente. Sempre a truccarsi».
Sospirò sempre rivolto verso le stelle. «Sai quando fu la prima volta che la vidi senza trucco? Quando la trovai a letto con un mio collega».
Rimasi sorpresa.
«Mi-mi dispiace» balbettai.
«Ma la cosa più strana è che non pensai sul momento che era a letto con un altro, ma che fosse senza trucco. Che era la prima volta che la vedevo senza trucco. Ma soprattutto che con quello stronzo con cui era a letto si mostrava com'era naturalmente mentre con me mai».
Non sapevo che dire, si era appena sfogato e io che dovevo fare? Come si voleva poter tradire una persona così gentile, simpatica e sexy? Si girò verso di me prima che pensassi qualcosa di appropriato da dire.
«Su! Leviamo questo trucco di troppo altrimenti le persone penseranno o che ti abbia fatto piangere o che ti abbia fatto un occhio nero. Poi torniamo in hotel».
Si avvicinò lentamente e, senza malizia, poggiò il pollice sotto il mio occhio e lo strofinò. Era come se tantissime formichine mi ballassero lungo il corpo. Rimasi senza fiato. Fu veramente difficile resistere alla tentazione di avvicinarmi e baciarlo.
«Ecco fatto» disse ritirando la mano, poi si alzò si pulì i pantaloni con le mani e me ne porse una per aiutarmi ad alzare.
«Grazie per la compagnia, grazie per la giacca, grazie per l'aiuto, grazie per il trucco».
«Grazie a te per la chiacchierata. Mi piace parlare con te, sei una delle poche persone che posso considerare amiche».
Ebbi come la sensazione di ricevere un pugno allo stomaco. Amiche. Be'? Che mi dovevo aspettare che mi considerasse altro? Era sempre meglio che essere considerata una semplice alunna no?
Poi, appoggiata al suo braccio -dovevo approfittarne della situazione alluce ferito e del fatto che le scarpe senza collant fossero scomode no?-tornammo in hotel.
Note dell'autrice
Volevo ringraziare tutti quelli che mi hanno votata J
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
PS la frase "Sono un uomo e anche io guardo le donne" l'ho sentita realmente dire ad un professore.
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Limiti matematici e d'amore
Romansa«Ti piace il tuo professore di matematica» sentenziò mentre mi andavo vestendo. «No!» esclamai forse con troppa enfasi senza neppure guardarla in faccia. «Tu non me la dai a bere ragazzina. E poi come darti torto? Non è messo per niente male». Le...