Apnea

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Londra, una delle città più grandi del mondo. Ricca di attrazioni turistiche, negozi, musei. Quel giorno c'erano circa centoventi italiani più interessati a girare i negozi che andare al British Museum. Ma si sa, la gita è gita e ci ritrovammo tutti al museo.

«Che noia, non me ne frega nulla della Stele di Rosetta» sbuffò Silvia guardando verso la suddetta.

«Siamo a Londra e non facciamo shopping, che assurdità» aggiunse Veronica, come se si andasse a Londra solo per i negozi.

Io guardavo annoiata le "pietre" esposte, l'unica che sembrava interessata era Paola.

«Dall'una alle quattro siamo libere, secondo voi fanno orario continuato qui i negozi?» chiese Silvia.

«Certo che fanno orario continuato, mica siamo al paese!» sbottò Paola. «Perfetto, allora ho scaricato una lista di negozi dove poter andare» Silvia batté le mani facendo girare verso di noi alcune persone.

Scoppiammo a ridere. Avanzammo tra i sarcofagi e i vasi guardando l'orologio. Ancora due ore all'una.

«Ho trovato qualcosa di ancora più inutile e noioso della matematica. I musei archeologici...perché quello al Victoria&Albert sui vestiti potrebbe essere interessante. O il museo delle cere! Dobbiamo andarci, dobbiamo farci assolutamente una foto con le cere di Johnny Depp...» cominciò ad elencare nomi «Ho sentito qualcosa sulla matematica, posso sapere di cosa stavate parlando o sono troppo indiscreto?» ci interruppe una voce. Il prof con il suo sorriso magnifico.

Silvia si girò verso di lui. «Dicevo che le ore di matematica non sembrano così noiose adesso, almeno avevamo qualcosa di interessante da guardare».

Mi scappò un risolino pensando che la cosa interessante era lui e lei glielo diceva sfacciatamente.

«Ci fa da guida e ci spiega qualcosa? Almeno rendiamo un po' più interessante anche questa visita» domandò Paola.

«A dire il vero non ne capisco un granché. Non sono un fan di archeologia, avevano proposto di girare il museo per tutta la giornata e io ho insistito che fosse solo la mattina, immaginatevi quanto mi importi».

Veronica corse verso di lui e lo abbracciò. «Professore le voglio bene, penso che un'intera giornata qui mi avrebbe ucciso». Il professore aveva sollevato d'istinto le braccia ed era rimasto dall'abbraccio.

Molto imbarazzato, diede una piccola pacca sulla spalla sempre di Veronica. «Mi...fa...piacere essere stato d'aiuto».

Veronica lo liberò dall'abbraccio e io mi accorsi che la stavo invidiando, non tanto per il fatto di essere stata a stretto contatto con il corpo di lui, ma per la naturalezza con cui compiva i suoi gesti nei confronti dei ragazzi.

Io ero sempre così goffa.

«Ma possiamo uscire a prendere una boccata d'aria?» chiese Silvia.

«Vengo pure io» disse il prof e ci incamminammo tutti verso l'uscita.

«Foto, foto, foto» disse Silvia non appena uscimmo dal museo. Tirammo fuori dalla borsa le macchine fotografiche.

«Facciamole con la mia che è migliore, poi vi taggo su Facebook, sennò ogni volta dovremmo fare quattro foto. Ci vuole un passante pieno di pazienza» disse Veronica prendendo la reflex.

Il professore tese le mani per prendere la reflex e Veronica non gliela diede.

«Lei deve farsi le foto con noi. Chiederemo a qualche turista di scattarla». Con le spalle rivolte verso l'edificio del British Museum ci abbracciammo tutti quanti. Veronica e Silvia erano quelle accanto al prof e io mi dovetti accontentare di una sua mano appoggiata sulla spalle.

Limiti matematici e d'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora