«Ti odio.»
L'ultima frase che mi disse prima di venire, con un respiro affannoso, inumidendosi le labbra carnose. Mi mancavano, eppure erano passate solamente poche ore. Per la prima volta, non sentivo di fare sesso con una bellissima donna, ma avevo conosciuto quel qualcosa in più, che cercavo da un paio di tempo.
«Ti amo.», sorrise, posizionandosi a cavalcioni sopra di me e baciandomi il contorno delle labbra.
«Dai, Victoria...», risposi, sorprendentemente seccato. Non l'avevo mai rifiutata, fino a quella sera era sempre stato un momento di gioia e di passione. L'unico momento per riuscire a rafforzare il nostro rapporto. Se passava in secondo piano anche quello, era la fine.
«Che hai? Sei stanco, amore?», chiese dolcemente, occupandomi l'intero viso delle sue labbra.
«Sì, tanto.», spiegai con lo sguardo perso. Avevo solo voglia di chiudere gli occhi e dormire, dormire a lungo e mettere in stand-by i mille pensieri che mi tartassavano.
«Oh, il maritino mio. Ti faccio rilassare io, non mi piace vederti così. Il lavoro ti sta uccidendo.», commentò, lasciandomi ripetuti baci sulle labbra. Chiusi gli occhi per un istante, mi scappò un lieve sorriso, mi sentivo in paradiso. Li aprii nuovamente. Non erano le sue.
La lasciai fare, sperando si stancasse prima o poi. Si spostò sul mio collo, poggiando le mani sulle mie spalle, riempiendomi di teneri e leggeri baci.
«Victoria.», ripetei bruscamente, cercando di evitarla in qualsiasi modo, senza concreti risultati. Poi si fermò, così, improvvisamente. Notai che il suo sguardo era fisso ad una parte precisa del mio collo. Pian piano capii. Quel silenzio mi agitava particolarmente, tant'è che la tolsi immediatamente da quella posizione, alzandomi da quel letto con una velocità impressionante.
«Ho bisogno di una camomilla.», mormorai con un filo di voce, dirigendomi verso la porta.
«Cos'è quel succhiotto che hai sul collo?», mi domandò fredda, prima di aprire quella porta. Rimasi immobile, facendo un grande respiro e voltandomi verso di lei. Si sedette sul letto, aspettando. Le tremava la gamba, mi guardava attentamente cercando la risposta nei miei occhi.
«Giustificati in qualche modo, cazzo! Dì qualcosa!», quasi mi implorava di mentirle, come ogni benedetta volta. La ascoltai, e mi inchinai di fronte a lei, stringendole le mani.
«Perdonami!», affermai con un'aria triste, scoraggiata e abbattuta.
«Alzati, sei ridicolo.». Aveva ragione. Mi sedetti sulla poltrona davanti a lei, abbassando lo sguardo per pochi secondi, che ritornò successivamente al suo.
«E' inutile dirti una bugia.», dissi, fissando i suoi occhi cupi. «Sono andato a letto con una donna. E' stato per l'addio al celibato. Ma non fu l'unica volta, perché l'ho vista anche oggi pomeriggio, mentre eri fuori casa.», conclusi. Nonostante tutto, mi sentivo libero. Mi levai un gigantesco peso di dosso, che stava per uccidermi.
«Chi è?», mi domandò rude.
«Una prostituta.», le risposi senza pensarci due volte.
«Bravo.», batté le mani, come per applaudirmi. «Sei andato a puttane 3 giorni prima di sposarmi. Davvero i miei complimenti.», continuò, mantenendo la calma.
Mi avvicinai a lei alzandomi dalla poltrona, afferrandole il viso dalle guance.
«Non toccarmi! Non toccarmi!», ribadì con un'aria nervosa, che non avevo mai visto prima. Lo ripeté fino a quando non mi allontanai lentamente, cercando di tranquillizzarla in qualche modo.
«Non voglio più sentirti, mi hai fatto troppo male.», confessò, lanciandomi contro il cuscino. «Per stanotte dormi sul divano. Domani mattina voglio che sparisci da questa casa.», spiegò con tono deciso, accompagnato ad una lacrima, che tolse subito dal viso. Mi strinsi il cuscino, dirigendomi verso il salotto, incontrando lungo il corridoio Dolores. Mi sorrise soddisfatta, per poi tornare nuovamente nella sua camera. Non le diedi nemmeno molta importanza. Era felice, come biasimarla. Mi sdraiai sul divano. Mi aspettava una lunga e difficile notte insonne.
***
Nina's pov.
Stringevo forte il cuscino, come se fosse lui. Mi convinsi davvero, tanto che avevo paura di farci l'amore. Che stupida. Mi ero promessa di non cadere in tentazione, ma era più forte di me. Mi sentivo così bene, così desiderata da una persona, così Abby per Travis, che pensavo fosse soltanto una mia immaginazione. Non sarebbe durata per molto.
Quella notte feci un incubo, che bastò per cancellare tutti i pensieri positivi. Quel posto desertico e nero, quei sospiri affannosi, quei segni indelebili su tutto il corpo, quelle urla di una ragazzina innocente. Perché ero una bambina, e non lo meritavo. Per un attimo, ritornai ad essere quella bambina, ingenua e sola che doveva difendersi con le proprie unghie, e con i propri denti. Mio padre mi sgridava di continuo perché vivevo come un eremita. Mi faceva paura la società, il rapportarmi con altre persone, lo stare per troppo tempo in un luogo che non fosse casa mia. Solo lì dentro, in quella mia piccola cameretta, trovavo la serenità e la pace. Sognavo, sognavo tanto. Quando mio padre, quasi obbligandomi, mi fece vestire e mi accompagnò ad una festa di compleanno, terminò tutto. Se mio padre non fosse stato cocciuto, se non avesse deciso che quella sera dovevo andare in quella maledetta festa...beh, a quel punto, quell'uomo non mi avrebbe perseguitato per tutti questi anni. Era un dolore che non andava via facilmente, ancora adesso mi sentivo addosso i lividi e le ferite che subivo ripetutamente, pur essendo scomparse. Quel figlio di puttana non era nessuno per decidere il mio destino.
Mi scese una lacrima, molto simile a tutte quelle che ho versato a causa di un essere talmente inutile, che non avrebbe meritato nemmeno di vivere. Non riuscii a prendere sonno, infatti andai verso la cucina, mi sarei preparata un buon tè. Percorsi il bagno, la camera da letto, la camera di Dolores. Non accesi le luci per paura di svegliare qualcuno, ma quella casa era talmente grande e silenziosa, che mi impauriva parecchio. Giunta al salotto, sentii una mano stringermi il braccio, attraendomi bruscamente sul divano. Gridavo a squarcia gola, pensavo fosse ancora un incubo. Mi bloccò entrambi i polsi, mentre io continuavo a chiedere aiuto, disperatamente. A malapena sentivo la sua voce, che mi ordinava di stare zitta. D'un tratto, delle morbide labbra si poggiarono sulle mie, riuscendo a zittirmi. Mi erano familiari.
«Adesso ti puoi calmare un attimo?», sussurrò a pochi cm dalle mie labbra. Gli diedi una ginocchiata nelle parti basse, sentendolo lamentarsi poco dopo, lasciando i miei polsi.
«Ma sei pazzo? Non potevi solamente accendere quella cazzo di lampadina, senza comportarti come un ladro?», lo richiamai, con un leggero sorriso stampato sulle mie labbra, guardando compiaciuta il dolore che provava.
«Ma tu sei troppo violenta, datti una calmata, eh!», rispose tenendosi le parti intime. Cercò di fermarsi e di sopportare il dolore, sedendosi a fianco a me. «Ha visto il succhiotto sul collo e le ho detto tutta la verità.», aggiunse tutto d'un fiato.
«Cos...». Non mi fece finire di parlare, interrompendomi prontamente.
«Non ho fatto il tuo nome, stai tranquilla.», mi rassicurò.
Mi sistemai a gambe incrociate, girando il viso verso di lui, che continuava a fissare il pavimento.
«Come stai?», gli domandai con un tono delicato, nonostante conoscessi la risposta.
«Non lo so. Non so cosa pensare. Se pensare che ho fatto bene a dirle tutto, se pensare che la mia vita non avrà più un senso da oggi in poi.», rispose, allungando il braccio per afferrare un libro, che chiuse con rabbia. Il mio occhio cadde sulla copertina, l'avrei riconosciuto tra mille libri.
«E questo?», chiesi indicandolo con un dito.
«E' un libro, non vedi?», rispose abbastanza scontroso. «Fanculo a tutte le stronzate che scrivono.», continuò.
«Sai perché pensi questo?». Mi guardò, alzando un sopracciglio. «Non capirai mai il significato di ogni parola di quel libro, finchè non ti innamorerai davvero. Quando arriverà il momento, e te ne accorgerai sul serio, ricomincia a leggerlo e fammi sapere se hai cambiato idea.», conclusi, stampandogli un dolce bacio sulla guancia, e ritornando in camera.
***
Riuscii, poco a poco, a dormire per un paio di ore. Non sapevo il motivo però, dal momento in cui Miguel mi disse che era finita la storia tra lui e Victoria, mi sentivo diversa. Come se fosse arrivato un briciolo di speranza nella mia vita, la stessa che avevo lasciato per strada tempo fa. Non dovevo farmelo scappare.
«Buongiorno, Victoria.», la salutai. Faceva colazione, o meglio, sorseggiava a malapena quel bicchiere di latte.
«Ciao.», ricambiò il saluto, con un'aria afflitta. «E' andato via. Ha fatto le valigie, e mi ha lasciato sola.», disse scoppiando a piangere a dirotto.
«Come...come se n'è andato? Non può essere!», balbettai irrequieta, guardandola dirigersi verso il bagno. Non volevo crederci. Solo dopo quelle parole, capii davvero quanto ci tenessi a non perderlo. Era troppo tardi, ormai.
Raggiunsi Victoria, nascondendo le lacrime. Vomitava in continuazione.
«Tutto ok?», chiesi gentilmente.
«Capisci perché non doveva farmi una cosa del genere? Proprio adesso, no!», si sgolava. Mi avvicinai a lei, cercando di aiutarla in qualche modo.
«Non capisco, dimmi cos'è successo, forza.», la calmai per pochi secondi, senza ottenere nulla.
«Sono incinta, cazzo! Aspetto un bambino da Miguel!».
Non esitate a passare a leggere il libro Tears - After the rain di , rimarrete a bocca aperta per questo splendido capolavoro!
Alla prossima!
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Come acqua per il fuoco
RomanceMiguel, uomo a cui non manca nulla: una villa, una bellissima donna affianco, e molta fortuna, fin troppa. In alcuni momenti freddo e rude, in altri romantico e profondo. Nina, 25enne semplice e comune. Completamente sola, cerca di andare avanti fac...