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SAM'S POV (PARTE 2)

Tutti ci stavano fissando, ma non mi importava, ero riuscito a far sciogliere la regina di ghiaccio e volevo godermi questa situazione.
Le sue labbra erano fredde, ma si scaldavano via via che il nostro bacio diventava più appassionato.
Notai una lacrima che scendeva sulla sua guancia.
Oddio, baciavo così male da farla piangere?
Mi staccai da lei e la guardai preoccupato.
Lei teneva lo sguardo basso, e quando lo sollevò nella mia direzione tirai un respiro di sollievo quando mi rivolse uno splendido sorriso.
Restammo tutta la sera abbracciati, e la mattina dopo ci svegliammo all'alba per prepararci a tornare in città.
Sul pullman ci sedemmo vicini, e ci rivolgemmo la parola soltanto per scambiarci i nostri numeri di cellulare.
Scese un silenzio imbarazzato tra di noi.
La sera precedente avevo reagito d'impulso, l'avevo baciata e finché ci trovavamo da soli immersi nel verde era sembrata una favola, ma era arrivato il momento di tornare alla realtà.
Non sapevo se fossi riuscito ad affrontare le malelingue che c'erano in classe con noi.
Ero davvero uno stronzo codardo.
Ero stato molto bene insieme a Fiamma, e mi mancava.
Nei giorni seguenti al ritorno dalla vacanza mi ritrovai a scriverle per poi cancellare tutto quanto.
Feci così tantissime volte, finché con le mani che mi tremavano riuscii ad inviarlo.
"Ciao bellissima, vorrei parlarti, incontriamoci davanti al bar del teatro stasera alle 9. Sam"
Guardai soddisfatto lo schermo del cellulare.
Aspettai la sua risposta ma non arrivò.
Iniziavo ad innervosirmi. Perché non mi rispondeva? Non voleva più vedermi?
Me lo sarei davvero meritato dopo tutto il male che le avevo fatto.
Per ingannare il tempo decisi di iniziare a prepararmi.
Feci una doccia veloce e indossai la mia camicia preferita, quella verde e un paio di pantaloncini di jeans chiari.
Le mie adorate Converse verdi ai piedi ed ero pronto.
Avevo una vera fissazione per quelle scarpe, ne possedevo un paio da abbinare al colore della camicia o della maglietta che decidevo di indossare.
Potrebbe apparire folle da parte di un ragazzo, ma mi sentivo a mio agio soltanto in questo modo.
Il mio cellulare squillò, finalmente Fiamma si era decisa a rispondermi, ma quando sullo schermo vidi che non si trattava di lei ma di James rimasi molto deluso.
"Ehy amico, stasera partitina?"
"No, sono impegnato"
"Mi nascondi qualcosa? ;-) "
"No"
"E allora vieni?"
"No"
"Vaffanculo Sam"
"Vaffanculo a te James"
Rimisi il cellulare in tasca sbuffando.
Io e James avevamo questo modo di salutarci. Avrebbe potuto apparire poco cortese, ma per noi era la normalità.
Erano quasi le nove e Fiamma non mi aveva ancora risposto.
Decisi di andare comunque davanti al bar del teatro.
Quando arrivai e non la vidi diventai ancora più nervoso. Passarono più o meno venti minuti e io continuavo a torturarmi le mani mentre camminavo avanti e indietro in continuazione.
I passanti iniziavano a guardarmi male e io iniziavo a preoccuparmi che le fosse successo qualcosa.
Venti minuti di ritardo erano parecchi.
Presi il cellulare dalla tasca dei jeans e composi il suo numero.
Uno squillo, due squilli. Al terzo finalmente rispose.
"Pronto"
La sua voce era distratta.
"Fiamma, mi sono preoccupato perché non sei venuta all'appuntamento. Va tutto bene?"
Riuscii a parlare velocemente.
"Vaffanculo Sam, a te, ai tuoi amici e ai vostri scherzi idioti!".
Riattaccò senza lasciarmi il tempo di risponderle.
La sua voce era fredda e si sentiva che era irritata.
Rimasi a bocca aperta davanti al cellulare, ero un tipo determinato, ottenevo sempre quello che desideravo e non potevo sopportare un rifiuto.
In meno di dieci minuti arrivai a casa sua.
Era una bella villa con un giardino ben curato.
Mi ritrovai davanti alla porta laccata di bianco e presi un respiro profondo, speravo di non dover incontrare i suoi genitori, non ero ancora pronto per questo passo.
Suonai il campanello mentre la mia attenzione cadde su una targhetta placcata in oro con scritto sopra i nomi di Fiamma e dei suoi genitori, Robert e Mary.
Quando la porta si aprì, mi trovai davanti ad una donna alta e robusta, con i capelli biondi raccolti in una crocchia e gli occhiali sulla punta del naso.
Mi ricordava una di quelle governanti tedesche in stile signorina Rottenmeier di Heidi. Non poteva essere la madre di Fiamma.
Mi scrutò per un momento con aria severa, iniziava a mancarmi l'aria e vedendo che ero in difficoltà, la donna ruppe il ghiaccio.
"Salve, io sono Diana, la domestica di casa Four. Come posso esserle utile?"
Fece un sorriso.
"Ehm... mi chi-chiamo.. Sam. Sono un amico di Fiamma"
Oddio. Da quando balbettavo? La situazione era più tragica del dovuto e iniziavo anche a sudare.
Ero davvero messo male.
Stavo quasi per voltarmi per andarmene quando Diana mi rivolse un altro sorriso carico di comprensione e mi disse con un tono pacato: "Oh caro vieni, accomodati pure, vado a chiamare Fiamma"
La seguii nell' ingresso pieno di quadri eleganti della villa.
Diana non aveva ancora finito di pronunciare quelle parole che una figura esile fece la sua comparsa sulla scala che portava al piano superiore.
Fiamma rimase a fissarmi e io feci lo stesso con lei.
Indossava una canottiera con un paio di pantaloncini e un paio di infradito di gomma rosa.
Stranamente i suoi bellissimi capelli biondi non erano intrecciati, ma erano raccolti con un mollettone.
Erano ancora bagnati, probabilmente era appena uscita dalla doccia.
Dalla sua espressione sorpresa, non si aspettava la mia visita, anzi conoscendola avrebbe passato la serata chiusa in camera sua a leggere un saggio di psicologia o qualcosa del genere.
Lei non era un tipo da romanzi rosa strappalacrime, le piaceva leggere libri concreti. Più erano pesanti e complicati, più facevano per lei.
Lei si guardò e avvampò, si sentiva impresentabile, ma sinceramente quello era il mio ultimo problema al momento.
Ero abbastanza imbarazzato per fare del suo abbigliamento un dramma.
Mi fece cenno di seguirla in salotto senza dire una parola e si sedette sul divano in pelle color crema.
Si vedeva che era arrabbiata e che si tratteneva per non dire qualcosa di cui poi si sarebbe pentita.
Diana rientrò con un due bicchieri di the freddo.
Avevo proprio bisogno di bere, avevo la gola secca, e le parole che avevo in mente non volevano uscire dalla mia bocca.
Lei si fissava le gambe.
Le sue belle gambe, mi facevano impazzire insieme al resto del suo fisico, che purtroppo si ostinava a coprire con abiti di alcune taglie più grandi.
Ecco quale era l'effetto che gli anni di bullismo avevano fatto su di una ragazza che di sbagliato non aveva assolutamente niente.
Iniziavo a pentirmi di aver preso parte a tutto ciò.
Dovevo, anzi volevo rimediare.
Presi un bel respiro.
"Lo so che ti senti a disagio per quello che è successo in campeggio, e lo so che io e i miei amici ti abbiamo fatto scherzi di ogni genere e ti abbiamo umiliata tanto, per cui ti chiedo scusa, però stasera mi sono davvero preoccupato non vedendoti arrivare e quando ti ho chiamata e mi hai risposto insultandomi mi sono sentito molto triste. So che hai tutto il diritto di arrabbiarti con me e di rifiutarmi, ma..."
Non so dove trovai il coraggio di mettermi in ginocchio davanti a lei e di prenderle la mano.
Lei fece per ritrarla ma io strinsi più forte.
"Vorrei tanto che tu mi perdonassi e che diventassi la mia ragazza".
Sentivo gli occhi lucidi, le lacrime spingevano per uscire, ma dovevo riuscire a rimandarle da dove erano arrivate.
Ci guardammo negli occhi per un istante.
Anche i suoi erano lucidi, facendo diventare quel bellissimo grigio un po' più scuro.
Sapevo che era una ragazza che seguiva sempre la ragione e non i sentimenti, ma speravo che per questa volta il cuore avesse la meglio sulla logica.
Quando lei annuì con un sorriso timido stampato sul volto non riuscii più a resistere, le circondai la schiena con un braccio tirandola ancora più vicina a me e la baciai.
Fu un bacio dolce che poi diventò sempre più passionale.
Era la conferma dei nostri sentimenti.

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