Capitolo 43||Fuochi d'artificio

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Una mano mi agita lentamente, dolcemente quasi timidamente mentre la voce gentile di James raggiunge il mio cervello.

"Sel, tesoro... siamo arrivati puoi aprire gli occhi" sussurra nel mio orecchio.

Sorrido travolta dal mio dolce risveglio. Apro lentamente gli occhi e sbatto le palpebre più volte fin quando l'immagine del viso a pochi centimetri dal mio non mi appare più sfocato.

"Bhè buongiorno" ride mentre io mi raddrizzo sul sediolino della macchina.

"Che giorno è?" Sbadiglio

"Non un'ora più tardi di quando siamo partiti" comunica passando la punta delle dita sul contorno del mio viso.

"Che ore sono.." Domando, ma il tono di voce non è minimamente simile a una richiesta.

"Le dieci" risponde spostandosi da me anche se di poco.

"Mh... bugiardo" dico muovendo una mano nell'aria ancora sotto l'effetto del sonno.

"Perché? Non ci credi? Guarda" dice mostrandomi il polso dove tiene l'orologio.

"Avevi detto che non era passata un'ora..." spiego "Siamo partiti alle otto!" sospiro ridendo

"C'era traffico!" Ridacchia uscendo dalla macchina

"Immagino.." sbuffo e apro la portiera trovandolo intento a farlo lui. Rido pensando al gesto galante che avrebbe compiuto se la mia fretta non avesse avuto la meglio.

Mi porge la mano che prendo nella mia ed esco ritrovandomi alla sua pari. Il vento che soffia dal mare mi muove alcune ciocche che finiscono davanti ai miei occhi, ma non è tanto più generoso col suo ciuffo, che scompiglia.

Il suo sorriso limpido mi smuove i sensi, come ogni volta, ma ogni volta in modo diverso, sempre più intensamente. Sorrido mentre nello stomaco qualcosa inizia a muoversi solleticandomi, ma no, non credo siano farfalle, sono molto più forti.

"Adoro il mare d'inverno" lo guardo "ma il vento lo eviterei volentieri" rido e mi sistemo i capelli, inutilmente però perché il vento continua a muoverli.

"Entriamo" fa cenno alla porta d'ingresso della grande villa davanti al quale ha parcheggiato. Lascia la mia mano e apre il cofano tuffandocisi dentro di testa.

Chiude il cofano e con i nostri borsoni tra le mani si incammina sulle scale. Lo seguo sorridendo e alzo gli occhi al cielo.

Dopo aver girato tre volte la chiave nella serratura apre la porta e mi fa passare.

"Prima le signore" dice imitando un inchino col capo.

"Grazie" dico muovendo qualche passo all'interno, giusto il minimo per permettergli di entrare.

Ferma al centro dell'ampio corridoio, con occhi attenti e curiosi, scruto ciò che mi circonda.

Vicino alle scale, davanti alla parete ricoperta in legno un piccolo ingresso con il classico vaso e lo specchio anni '60.

Ai lati del mobiletto uscito direttamente da un negozio di antiquariato due porte chiuse.

Sempre sulla sinistra appena dopo la porta d'ingresso la scala che porta al piano superiore.

Mentre sulla destra solo una grande porta-finestra dietro la quale una porta di ferro ostruisce la visuale.

"Le camere sono sopra, vieni" dice poggiandomi una mano sulla schiena. Lo guardo, gli sorrido e lo seguo sopra.

Anche qui è tutto chiuso e scuro. Ai lati del lungo corridoio, alla distanza di mezzo metro l'una dall'altra le porte che dovrebbero essere le rispettive camere.

You're not alone||James Maslow||Selena GomezDove le storie prendono vita. Scoprilo ora