capitolo 3

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Jackson

La macchina della polizia si ferma davanti ad una casa con delle cancellate verdi e capisco che non è il mio compleanno perché non sto tornando a casa, sono solo venuto a vivere in una prigione diversa.
Appena scendo dalla mia macchina il mio avvocato, detto lo "strunz", mi viene incontro con un sorriso a trentadue pollici come se fosse fiero di me e di quello che sono diventato.
- ciao jacks- si avete capito bene lui mi chiamava con un soprannome tutto suo... Jacks ma chi chiamerebbe mai un ragazzo che è stato in prigione, che a quanto pare é violento, un reietto della società, Jacks?
Questa è una cosa che può fare solo lo "strunz".
- dove mi trovo?- chiedo senza salutarlo - perché non sono in prigione? -
- mio caro ragazzo, sei così rispettoso delle regole che sconterai il tuo ultimo anno in questa casa -
- è un eufemismo dire "rispettoso delle regole " ad uno che è stato scortato da due poliziotti belli grossi-
- oh ma cosa te ne frega?- mi chiede sempre più felice - non starai in quella pessima stanzetta lurida e non dovrai prenderti gioco di Martin la guardia-
Lo "strunz" sapeva tutto del penitenziario giovanile, sapeva anche come trattare con i poliziotti; dopotutto aveva passato più di sette anni rinchiuso li dentro a studiare tutta la legge in modo da poterla evadere correttamente senza il rischio di farsi qualche altro anno al fresco. I poliziotti più vecchi lo conoscevano e forse ora ho il forte sospetto che sia stato lui l"iniziatore del "sfotti Marty figo sarai", un motto stupido che solo uno come lo "strunz" riuscirebbe a inventare.
- Paulo - urlò una donna davanti alla porta di quella grande struttura - il cancello é aperto entrate -
Segui Paulo lo "strunz " con la testa bassa e la speranza di non essere stato fregato da questo imbecille.
- tu devi essere Jackson, vero? - chiese la donna porgendomi la sua mano in modo da potersi presentare - io sono Lucille, una vostra educatrice - le strinsi la mano solo perché mi infondeva tantissima fiducia.
- allora lo posso lasciare in buone mani! -
- certo Paulo ci vediamo, spero non al più presto - lo "strunz" le sorrise fugacemente prima di scappare via come nei cartoni animati di tom e Gerry quando il povero gatto si bruciava sempre il culo.
- vieni ti mostro la tua stanza- seguire Lucille era molto meglio che seguire quel cretino del mio avvocato che camminava come se avesse una mazza conficcata nel di dietro; Lucille sembrava perfetta o almeno sapeva camminare, su dei trampoli enormi, in linea dritta.
- ci sono altri cinque ragazzi qui, sei stato fortunato che il precedente ragazzo aveva finito di scontare i suoi due anni proprio due giorni fa - parlava con tranquillità come se quella parte l'avesse recitata così tante volte che le parole le uscivano dalla bocca senza nemmeno connettere il cervello.
- starai in stanza con Luke, lui è qui da un anno e mezzo... è molto particolare ma imparerai a volergli bene - sorrido a Lucille perché lei mi sta sorridendo come se fosse mia madre e non vorrei darle dispiaceri prima ancor prima di essere entrato in confidenza con ognuno di loro.
Il ragazzo con cui sono in stanza ha una barba lunga, degli occhi neri così tristi che il suo sguardo mi mette in soggezione, mi fa sentire un novellino stupido, e poi ha una cicatrice sulla fronte.... chi sa perché sarà qui.
- non mi fai la domanda di rito? - lascio perdere i miei vestiti e mi siedo sul letto di fronte a lui.
- domanda di rito? -
- si vorrai sapere cosa ho combinato per essere rinchiuso qui... -
- ehm a dir la verità... -
- scordatelo non ci faremo le trecce la notte raccontandoci i nostri segreti più intimi, mi frega poco di farmi degli amici! per di più problematici se non meno di me, più di me - piano piano il suo tono stava diventando più alto e più duro, era un avvertimento come quelli che i Big davano in carcere; questo dopotutto era comunque un carcere mascherato. - quindi se mai vorrò, di mia spontanea volontà, raccontarti qualcosa sarà solo quando lo deciderò io -
- bene perché non me ne frega molto, ognuno ha i suoi segreti no? - mi guarda come se tutto il suo discorso fosse stato un test per capire se mi ero fatto "le ossa " in prigione, se il mio essere silenzioso era un essere riflessivo e studiare la situazione. Io sono istintivo, faccio le cose come capitano e poco mi interessa degli altri come me, dei loro errori; io ho pagato tanto per tutto ciò che ho combinato e forse ora sono stanco di lottare accanto a persone , che di ciò che prova il povero Jackson, si curano solo di loro stessi.

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