Io rimasi senza parole dinanzi tale frase. "Senti, io ti ringrazio ma devo tornare a casa" così, uscii e accesa la mia canna per rendermi meno tesa andai a casa.
La sera mi scrisse "Ei scendi, devo parlarti" io non volevo vederlo, volevo restare sola a riflettere su quella frase ma, a costo di fumare una sigaretta e prendere un po' d'aria avrei potuto sopportarlo.
Scesi velocemente indossando una maglia larga e con una copertina di pile sulle spalle. Avevo il trucco leggermente sbavato, il mascara che evidenziava i sotto occhi ed i capelli che sembravano una nuvola di nodi intricati. Presi il posacenere, il pacchetto di sigarette ed urlai in italiano a mio padre "We pà, esco a fumare una sigaretta con il figlio di Boris" urlò un "Va bene, prendi il coltellino svizzero per sicurezza, io adesso vado a dormire." "Notte, sistemo tutto io" risposi urlando nuovamente "come sempre.." sussurrai tra me e me aprendo la porta. Trovai Ethan, indossava dei pantaloni a tre quarti color militare spiadito e una felpa grigia "Ciao nonnetta" ripetei lo stesso simulando la sua voce, sorrise. "Ti ho portato una cosa, non volevo metterti in imbarazzo" così, sfoggiò un girasole, totalmente aperto, i petali erano di un giallo quasi fluerescente, immensamente affascinante, il marroncino centrale faceva intravedere i semi quasi, meraviglioso, non saprei come descriverlo diversamente. "Te l'ha detto mio padre, non ci sono altre spiegazioni" dissi togliendo dalle sue mani quel fiore. "Prego Sama"disse sorridendo. Tornai dentro lasciandolo solo, dovevo dar acqua a quella meraviglia, così lo misi in un vecchio vaso che trovai in casa e lo posizionai al centro della tavola con un piattino d'acciaio sottostante. Avendo precedentemente lasciato la porta aperta uscii e chiusi la porta alle mie spalle, accendendo una sigaretta e, girandomi non trovai più Ethan, quasi mi aveva rattristito quel suo gesto ma non m'importava più di troppo così, finita la sigaretta, tornai dentro casa chiudendo a chiave e, sistemando tutto salii in camera facendo svolazzare la copertina come se fosse il mantello di Superman e mi coricai.
Il giorno seguente mi svegliati presto, faceva molto caldo così misi una maglia a maniche corte larga e dei pantaloncini corti, il tutto coordinato a delle semplici vans nere e basse, andai in bagno e mi sciacquai la faccia, senza truccarmi. Scesi a fare colazione con un bicchiere di latte e qualche biscotto, tornai al piano superiore e lavai i denti, poi scesi tranquillamente ed uscii a fumare una sigaretta aspettando che mio papà fosse pronto.Arrivati a Chicago trovammo un negozio di cui mi innamorai, presi molte canotte maschili, pantaloni della tuta, cose non troppo femminili ma mi piaceva molto come mi stavano, così non mi feci problemi a comprare tutto. Era ora di cambiare, ero stufa di dover sempre essere il ritratto della femminilità, di dover essere come gli altri avrebbero voluto. Io fumavo erba e cazzo, volevo stare comoda sempre e dovunque. Ora, avevo un'aria da spacciatrice level 9000, ma poco importa.
Tornammo a casa in taxi, spendemmo una cifra ma, d'altronde uno strappo alla regola non fa mai male e, visto che avevamo bruciato soltanto gran parte della mattina mio padre mi iscrisse a scuola. Seguivo il corso di scrittura creativa, di arte oltre a quelli standard.Erano circa le 2:30 p.m quando presi dei pantaloni della tuta leggeri una felpa grigio scuro con il cappuccio ed uscii, da sola, senza Ethan, senza cellulare, solo con l'mp3 e con le sigarette e la canna già pronta dietro l'orecchio leggermente schiacciata tra la stanghetta degli occhiali e la testa, mio padre avrebbe fatto qualche colloquio di lavoro durante i giorni seguenti, passò il pomeriggio a cercare lavoretti, per poi cercare in seguito un lavoro stabile, con paga regolare, pulito. Uscendo accesi la canna, mio padre sapeva ma non voleva che esagerassi (per fortuna non era entrato in camera poiché avevo due piantine di marijuana sul davanzale).
Arrivai al parco, erano tutti a casa a pranzare, era deserto e ciò mi piaceva terribilmente, sarei potuta rimanere lì in eterno, tra il fruscio delle foglie spostate dal lieve venticello che si insidiava anche tra i miei capelli ed il cinguettio degli uccellini, lontano dal fracasso di clacson e automobilisti imbizzariti nell'ora di punta. Era tutto perfetto, compreso il mio outfit a cui mancava una scritta sulla mia fronte che citava testuali parole "io ho la droga" perché alla fine era così è sinceramente mi faceva sorridere ciò. Dopo qualche ora rimasta a far sfogo alla mente, senza parlare, senza spiccicar parola per nulla al mondo mi incamminai verso casa ascoltando "Do I wanna know?" Degli Arctic Monkeys. Ora, si i miei gusti sono parecchio commerciali si può dire, ma fanno parte di me, come la spiacevole coincidenza di incrociare sempre qualcuno di spiacevole mentre tornavo a casa, il che mi dispiaceva particolarmente visto che essere divisa dalla mia dimora mi viene particolarmente difficile già di mio, figuriamoci se mi confronta quando accade per mano altrui. "Tu sei l'amica di Cut" disse con le braccia dietro la testa, masticando una gomma e sorridendo leggermente. "Dipende chi vuole saperlo" dissi incrociando braccia e gambe, appoggiando la schiena ad un palo della luce. "Un amico del branco, così ci chiami giusto" non eravamo in Italia, perciò partire con il piede sbagliata non credo mi sarebbe convenuto molto. "A parer mio ognuno dovrebbe semplicemente pensare con il proprio cervello, altrimenti ci avrebbero fatto vuoti" risposi facendolo sorridere. Era proprio un bel ragazzo lo ammirai a lungo, aveva i capelli di un biondo cenere, tenuti su da un pizzico di gel, gli occhi sembravano quelli di un cerbiatto, una tonalità di marrone che non avevo mai visto, la sua pelle era chiara, e le sue guance sembrava divampassero sebbene tentava di far l'aria da duro, aveva un minimo di muscoli, il giusto per la sua altezza, avrà avuto forse 5 cm più di me.
"Chi vuole saperlo?" Ribattei "Logan Sullivan, tu invece? Svelati ragazza, ormai fai parte dell'Homan" era un tipico ragazzo di periferia, non aveva molto di speciale, come Ethan del resto. "Samantha e scusa tanto ma devo tornare a casa" così mi congedai e rientrai.
Quella sera andai a letto presto, la scuola mi avrebbe distrutto il giorno seguente.Infatti la mattina dopo fu devastante, mi svegliai terribilmente presto devastata dall'ansia, mi truccai cercando l'approvazione del mio subconscio, mi pettinai in modo che i miei capelli sembrassero presentabili anche da sciolti, misi dei jeans, insieme a delle scarpe basse, una maglia a maniche corte color celeste pastello e sopra una felpa pesante, contornando il tutto con una sciarpa che sembrava quasi un nido ed il mio solito zaino, mi incamminai con una cuffia sola e con una sigaretta fra le dita arrivai presto davanti scuola nella quale entrai circa 5 minuti prima del suono della campanella per riuscire a raggiungere l'ufficio della preside, che mi avrebbe fatto visitare la struttura. Arrivammo all'aula di scrittura creativa a metà della prima ora, la preside mi chiese gentilmente di prender parte alla lezione per circa una ventina di minuti giusto per farmi capire come funzionava, in Italia è molto diverso. Miss. Dolores era una donna sudamericanae deliziosa, bassa e leggermente in carne, degli occhi grandi, quasi neri ed i capelli mossi, sul riccio.
Non guardai la professoressa, mi vergognai troppo, la timidezza prese il sopravvento come il rossore, sulla mia faccia. Odiavo essere il centro di qualsiasi questione.
Mi fecero sedere accanto una ragazza davvero singolare, aveva i capelli color carota, erano davvero belli e gli occhi color nocciola, il suo naso e la zona appena sotto agli occhi era inondata da lentiggini "Moonlight Walker" mi scrisse sul banco "Tu come ti chiami?" Continuò a scrivere rivolgendomi in seguito un sorriso. "Samantha O' Connell :)" scrissi sul banco
A quel punto tornò la preside che mi accompagnò nell'aula d'arte dove trovai Ethan e dove, fortunatamente trovai due banchi vuoti dove mi sistemai io. Dopo poco mi arrivò un biglietto con scritto "Ethan xx" lo guardai, mentre lui faceva un segno di negazione con il capo spalacando gli occhi e sussurrando "non sono stato io credimi", aprii il biglietto. Ciò che era scritto in quelle poche righe mi sconvolse a vista, squadrai Ethan, uno sguardo bastò "professoressa potrei andare gentilmente al bagno?" E appena fece cenno con il capo mi recai in bagno, avevo bisogno di una sigaretta così aprii la finestra del bagno più lentamente possibile, cercando di non far troppo rumore e accesi la sigaretta, quel messaggio fu devastante.
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Pack Leader / / Ethan Cutkosky
FanfictionNon capirò mai quanto il genere maschile possa essere impulsivo in ogni gesto. Io sono una banale sedicenne Italo americana che dall'Italia torna in America in un sobborgo di Chicago e timida e troppo matura per la sua età. Lui invece è un ragazzo...