Capitolo 8

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SHERYL'S POV

<<Waaaamn... mhm che ore sono?>> dissi a Catherine stiracchiandomi lungo tutta la lunghezza del letto.
Alzai la testa dal cuscino per cercarla con lo sguardo, ma non la vidi. Mi misi a sedere, scoprendo a malincuore, di avere la testa che girava. Appoggiai una mano al comodino per riuscire ad alzarmi con maggiore facilità e vidi che c'era un bigliettino:

Sheryl, appena ti svegli, prendi immediatamente un'aspirina o non starai in piedi a lavoro. E sta tranquilla se sei in ritardo, dirò tutto io a Charlie.

da mamma Cathie

"Non posso fare altro" pensai tra me e me mentre immergevo l'aspirina nel bicchiere d'acqua che mi aveva lasciato lì accanto. "Dopotutto era sempre Mamma Catherine". Mi aveva lasciato anche un cookie che però, stranamente, non avevo voglia di mangiare. Infilai i piedi nelle ciabatte e mi alzai, dirigendomi verso la cucina, alla disperata ricerca di un cucchiaino per mescolare l'aspirina. Mi incantai nel guardare le bollicine salire in superficie nel bicchiere e non mi accorsi del gradino che separava il corridoio dalla cucina; ma fortunatamente non inciampai e non ruppi il bicchiere, che tra l'altro era il preferito di Catherine: non avevo mai capito bene il motivo per cui lo amasse tanto... c'era soltanto disegnato un gatto nero che rincorreva il suo gomitolo rosa chiaro, saltando da una nuvola all'altra.
Trovateci il senso, voi...
Arrivata in cucina, guardai l'orologio posato su di una mensola. Assomigliava tanto a quelli dipinti da Salvador Dalì. Difatti dava proprio l'idea di sciogliersi, essendo collocato dove batte sempre il sole. Erano le 9 passate. Presi un cucchiaino dalla cassettiera e soltanto dopo aver mescolato a lungo il tutto, ingoiai a forza l'aspirina. Avevo avuto questo problema sin da bambina: non riuscivo mai a prendere le medicine senza mostrare un minimo di disgusto e quindi avere una smorfia sul viso. In passato, facevo anche di peggio! Iniziavo a correre per casa e mia mamma doveva inseguirmi e costringermi con la forza a prendere le medicine.
Che testarda.

Poco più tardi, la testa aveva quasi smesso di girare ed iniziavo a sentirmi meglio. Perciò andai in camera, mi cambiai in fretta senza preoccuparmi troppo dell'abbinamento dei vestiti e senza rifare il letto. Ci buttai le lenzuola sopra senza rimboccarle. Me ne sarei pentita soltanto più tardi, sentendomi incredibilmente in colpa. Forse Cathie era davvero una mamma per me, dato che mi diceva sempre cosa dovevo e cosa non dovevo fare.
Mi lavai i denti velocemente, dedicandomi per lo più al trucco e ai capelli... erano talmente scompigliati che, un nido di corvi, sarebbe stato più facile da sistemare. Avevo i capelli leggermente mossi, il che aggravava ulteriormente la situazione dato che non capivo mai come sarebbero stati. Ogni giorno, era una nuova scoperta: potevano essere molto mossi e quindi quasi ricci, oppure lisci; dipendeva da come li asciugavo la sera prima...
La sera prima? Giusto! Che era successo?
"Oh! Non ricordo più un cazzo! Συμφορά* a me e al fatto che non riesco a reggere l'alcool!"
Feci uno chignon alla bell'e meglio e decisi, alla fine, di non truccarmi, per arrivare prima al bar. Anche perché non ero sicura di riuscire a trovare una corriera a quell'ora.

<<Ehi? Siamo arrivati... Ehi! Ragazzina!>>
<<Mh-mh? Dove diavolo mi trovo?! E tu chi sei?>> dissi quasi urlando e non accorgendomi delle persone che mi stavano attorno. Tutti e dico tutti si voltarono verso di noi.
<<Sono Samuel, non ci conosciamo. Sei sull'autobus e questa è la tua fermata.>> disse il ragazzo sottovoce scandendo bene la parola 'tua'.
<<E tu come caspita fai a saperlo?>> lo guardai torva e interrogativa.
"Possibile che in una notte fosse successo il finimondo? Chi diamine era costui?"
<<Scendi e basta, mi hai già stufato. Non si può neanche essere cordiali che si viene ripagati così.>>
Mi alzai, ancora dormiente, dal sedile del bus e mi diressi verso l'uscita centrale, dato che era la più vicina. Mi rigirai un'ultima volta verso il riccio di prima che, sorprendentemente, mi stava ancora guardando.
Gli rivolsi un'ultima occhiata con la quale volevo fargli intendere che mi dispiaceva per come lo avevo aggredito a parole e che volevo ringraziarlo per aver chiamato la fermata al posto mio. Ma non era colpa mia se, alla mattina, il mio umore era pari a quello di una vecchia bisbetica che non ritrova la sua dentiera!
Insomma, avrei voluto dirgli troppe cose: uno sguardo non sarebbe bastato. Così scesi, evitando di far ritardare l'arrivo del bus alle altre fermate e quindi per permettere all'autista di proseguire la tratta.
Mi accorsi soltanto dopo di avere ancora le cuffie alle orecchie, ma la musica non si sentiva più: avevo abbassato il volume per parlare con Samuel, che tra l'altro, era anche molto bello. Lo rialzai per sentire cosa stavo ascoltando: Car radio dei Twenty Øne Piløts. Quanto potevo adorare quella canzone? Anche se mi metteva un sacco di tristezza... era forse una pistola di Cechov*?

<<Oh buongiorno Sheryl.>> mi disse Charlie freddamente appena mi vide entrare. Appoggiai la borsa su di un tavolino libero: quanta gente c'era a fare colazione? Avranno di sicuro sentito il profumo delle paste del capo: Charlie, nonostante fosse un uomo, cucinava assai meglio di qualunque altra donna avessi mai conosciuto, persino meglio di mia nonna! E non sto esagerando.

Riposi le cuffie nella borsetta e appesi la felpa all'appendiabiti.
<<Scusami è che...>> appena cercai di spiegarmi, Charlie mi interruppe, come era solito fare.
<<Tranquilla, so già tutto, era solo per farti spaventare un po'.>> Mi strinse una spalla e mi fece un occhiolino.
<<Ehi Sheryl, tutto a posto?>> mi chiese Miles avvicinandosi.
<<Insomma... mi sa che ieri notte ho esagerato; non ricordo più nulla.>>
<<Potresti chiedere al ragazzo di Taylor... avete passato tutta la notte assieme...>> disse Charlie noncurante, soffermandosi sulla parola 'assieme'.
"Possibile che tutti dovessero soffermarsi su di una qualche dannata parola pur di farmi arrossire?"
Divenni immediatamente paonazza e cercai con lo sguardo Taylor. Evidentemente Miles capì cosa stessi cercando, perché mi disse:
<<Sta' tranquilla, è ancora a letto anche lei.>> per rassicurarmi. Anche se, dal suo sguardo intenso, non riuscii ad intendere ciò che stesse realmente pensando.
Tirai un mezzo sospiro di sollievo, volevo e anzi, dovevo, parlare con Cathie.
<<Dov'è Catherine?>>
<<È in bagno>> disse Miles prima di tornare a servire ai tavoli. Erano tutti stranamente silenziosi, come se stessero aspettando qualcosa... Non c'era più l'allegria della sera prima.

<<Cathie, che cazzo è successo ieri sera?!>> gridai entrando in bagno e avvicinandomi a lei che, nel frattempo, si stava lavando le mani.
<<Ma che diamine...? Innanzitutto ti dai una calmata, e poi rifletti: io non c'ero alla festa.>>
<<Si ma, a che ora sono tornata e come?>> le dissi alzando gli occhi al cielo.
Mi aveva attaccato questa sua abitudine...
Catherine improvvisò uno sguardo pensieroso con tanto di mano sotto al mento, e quasi mi venne da ridere; eppure mi trattenni per il pessimo tempismo della mia euforia.
<<Allora... sei rientrata che erano le 2 passate ed eri con un ragazzo niente male. Ti ha portata su in braccio fino al nostro piano e... direi che non abbia nemmeno usato l'ascensore dato che non ne ho sentito il rumore!>>
<<Oh... beh, hai visto chi era...?>> le chiesi incerta.
"Fa che non sia Alexander."
<<No... è rimasto fuori, non è voluto entrare e se n'è andato subito. Era anche abbastanza scocciato, chissà cosa gli avrai fatto...>> disse guardandomi con uno sguardo dalla luce perversa, ma la smentii subito.
<<Oh Catherine, smettila! Sono venuta qui per ricostruire i vari momenti della serata dato che non mi ricordo assolutamente niente, e tu inizi pure a scherzare? Giusto per farti capire, Charlie mi ha detto che ho passato gran parte della serata con il ragazzo di Taylor e in più, quando ero sull'autobus, uno sconosciuto mi ha svegliato e mi ha detto che eravamo arrivati alla mia fermata.>> le gridai contro mentre uscivo dalla porta, sbattendola. Trattenni a stento le lacrime: ero sempre stata una ragazza per bene, ed ora avevo rovinato tutta la mia reputazione in una sola serata! Inoltre avevo gridato contro la mia migliore amica che non aveva colpe... beh, ora non poteva fregarmene, avevo altro a cui pensare. Mi diressi verso Miles che stava intanto servendo un gruppo di anziani in un angolo del bar, laddove, al posto delle tristi sedie in legno, erano posti divanetti dal tessuto rosso scuro, borchiato nei contorni.
<<Ehi Miles ma...>>
Non feci in tempo a pronunciare il suo nome che questo si fiondò alla porta d'ingresso del locale senza ascoltare le ordinazioni dei clienti nè tantomeno la mia richiesta, che non riuscì nemmemo ad uscirmi in tempo dalla bocca. Udii dei singhiozzi, poi sentii Miles dire:
<<Che è successo?!>> con un tono di voce talmente grave che mi spaventai. Ma da quell'angolo non riuscivo a vedere cosa stesse succedendo. Mi avvicinai cauta e vidi che anche Catherine era corsa là. Appena aggirai l'ultimo tavolo che mi separava dal bancone, riuscii a vedere con chiarezza cosa stesse accadendo: Taylor era seduta su di uno sgabello circondata dagli altri. E si, erano suoi i singhiozzi: le lacrime le solcavano le guance rese meste e pallide dalle palesi occhiaie che quasi le arrivavano alla punta del naso.

*Συμφορά= "disgrazia" in greco antico.

When the sun goes down |Alex Turner|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora