Capitolo 13

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<<Allora avete finito di sghignazzare?>> ci chiese Alex incrociando le braccia al petto, mentre noi eravamo piegati in due dalle risate.
<<Sisi, tranquillo!>> biascicai poco convinta prima di scoppiare nuovamente a ridere, seguita da Samuel.
<<E poi mi volete spiegare perché io ce l'ho sul fianco e voi sul bra...>> non fece in tempo a finire la frase che riprendemmo con le risate: quanto potevamo essere crudeli?
Io e il riccio eravamo usciti poco dopo che la tatuatrice aveva iniziato ad incidere la scritta sul fianco di Al. E per fortuna Samuel mi aveva trascinata fuori prima che svenissi: avevo da sempre avuto un problema con il sangue, in particolare con gli aghi; e se si trattava di entrambi messi assieme, era ancora peggio! Sbiancavo tutte le volte alla loro vista, e pian piano le mie forze se ne andavano, lasciandomi distesa sul pavimento a sudare freddo, pallida come un cadavere. Era lo stesso effetto che mi provocava una visita all'ospedale e non ero mai riuscita nè a spiegarmi il perché reagissi in quel modo nè avevo mai superato questa mia paura. Difatti, mentre la ragazza mi stava tatuando, Alex e Samuel mi avevano dovuto tenere le mani per tutto il tempo, affinché non collassassi sul lettino, distraendomi nei modi più assurdi e ridicoli.

<<Ehi Sheryl! Guarda c'è una scimmia artica!>>
<<Una cosa? Ma dove!?>>
<<Proprio qui di fianco a me!>>
<<Ma quello di fianco a te è Alexander!>>
<<Infatti!>>
<<Ma taci coglione!>>

Forse però volevo uscire da lì anche perché la vista di Al senza maglia, come poco prima in spiaggia, non aiutava nell'ambito svenimento, benché le sensazioni fossero completamente differenti: la prima era un misto di terrore, panico ed ansia; la seconda era piacere, curiosità e... soddisfazione? Ma per cosa poi? Mica lo avevo messo al mondo io quell'uomo!
In ogni caso, io e Samuel eravamo rimasti lì sul marciapiede a ridere fino a quando Alex non aveva fatto la sua comparsa.
<<Sheryl, tutto okay?>> mi chiese il riccio notando che mi ero incantata.
<<Eh?>> scossi la testa spostando lo sguardo sui suoi occhi: mi stava guardando come se volesse capire a cosa stavo pensando.
<<Ma la volete smettere con questa mania di cercare di capire a cosa penso!?>> <<Aaaaa dio mio, chi me lo ha fatto fare di venire qui con voi!>> gli risposi in modo teatrale, con un tono a dir poco drammatico, voltandomi e iniziando a camminare verso il camioncino, tenendo una mano sulla fronte come se stessi per sentirmi male.
<<Ma tu sei completamente matta!>> mi gridarono in coro i due ragazzi. Sussultai, soltanto Edward me lo diceva, e di certo questa non era la prima volta che me lo sentivo dire da loro... lo conoscevano forse? Eppure non mi sembrava di riconoscerli... io ricordavo tutti i suoi amici!
"Sarà stata solo una coincidenza Sheryl, calmati" mi dissi, senza però calmarmi. Era da quando mi ero trasferita qui che non avevo più parlato con il mio migliore amico. Non aveva mai accettato che io partissi, ma laggiù io avevo troppi ricordi e dovevo dimenticarmene per riuscire a vivere in un presente migliore e per costruirmi un futuro ricco di ambizioni e spensieratezze, contornato da nuove sfumature di felicità.

<<Datti una mossa! Dobbiamo sempre aspettarti!>> mi gridò Samuel da fuori.
Si ripeteva la scena di quel pomeriggio: io ero dentro al camioncino a fare la contorsionista per infilarmi vestiti di Catherine, trovati come il costume, nel retro, mentre loro mi aspettavano già pronti, fuori.
Ma che diavolo ci faceva qua dentro tutta questa roba di Catherine?!
No aspetta, questa domanda l'avevo già fatta ed era meglio non avere risposta.
<<Si un attimo! Mi avete costretta voi a cambiarmi, altrimenti mi sarei vestita come prima!>>
<<Non potevi venire in un locale in tuta!>> mi rispose di rimando Alex, ed effettivamente non aveva tutti i torti...
<<Eccomi>>
Aprii lentamente la portiera, feci uscire prima una gamba e poi l'altra con eleganza, sfoggiando i nuovi tacchi alti a spillo neri, con un plateux rosa shock; poi, con fare disinvolto, mi voltai in direzione del vento, facendo così svolazzare la mia chioma ondulata rossa. Infine appoggiai definitivamente i piedi per terra, mi alzai e mi voltai verso il camincino senza degnare i ragazzi di uno sguardo. Avevo un top nero con una scollatura costituita da più lacci intrecciati fra loro, due dei quali mi cingevano dolcemente il collo; e una gonna nera svasata a metà coscia fasciava i miei fianchi. Se non mi fossi vista nel riflesso del veicolo, non avrei mai creduto che mi potessero stare così bene.

When the sun goes down |Alex Turner|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora