CAPITOLO 3

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La porta si apre lentamente ed entra Ricky. Ha la faccia triste.
<<Piccolino! Qualcosa non va?>> gli dico, facendolo sedere sulle mie ginocchia.
<<Erika, ti piacciono i cavalli?>> domanda, guardando i numerosi poster di stalloni appesi in giro nella mia stanza.
<<Si, perché?>>.
<<Anche a me...ma allora perché non sei mai andata a cavallo?>>.
<<Perché mamma ha paura che possano farmi male. Ma perché tutte queste domande?>>.
<<Io...voglio... imparare...>>risponde timido.
<<Ricky, sei ancora troppo piccolo. Quando crescerai un altro po' vedremo di convincere la mamma. Anche io avrei sempre voluto imparare a montare, ma purtroppo non sono mai stata coraggiosa per chiederlo ai nostri genitori. Ti prometto che non appena avrai compiuto sarai cresciuto un po', lo chiederemo insieme. D'accordo?>>. Ricky annuisce con il capo, un po' più sereno, poi sguscia via dalla mia camera, richiudendo la porta dietro di sé. Forse lui è ancora troppo piccolo per capire davvero quello che vuole, ma io ho capito che ho sbagliato. Si ho sbagliato tutto sin dall'inizio! Avrei dovuto convincere i miei genitori a lasciarmi fare equitazione molto prima...ma purtroppo non sono così coraggiosa come sembra...ho sempre avuto paura della loro reazione e quindi ho lasciato perdere. Ultimamente però qualcosa è cambiato. Non può essere una coincidenza quel sogno, o il disegno che ho fatto oggi. Devo capire cosa mi sta accadendo!
Faccio in fretta le equazioni per domani e ripeto per la verifica. Per fortuna è un capitolo che so molto bene, quindi mi basta una rilettura veloce. Apro l'armadio e prendo un paio di pantaloncini da corsa neri, abbinati a una canotta gialla fluo, poi indosso le scarpe da ginnastica e lego i capelli in una coda alta. Mi precipito giù dalle scale ed esco senza neanche salutare mamma.
Correre aiuta. Mi schiarisco le idee. Corro. Corro senza fermarmi. Corro per più di due ore. La mia mente si svuota, ma non del tutto. No. I cavalli infatti sono sempre lì, non si muovono, anzi. Immagino che invece di star correndo con le mie di gambe, sono in groppa al cavallo del mio sogno, e corriamo insieme sulla spiaggia...
La spiaggia! È lì che devo andare, forse troverò delle risposte. Mi incammino verso il mare e solo allora mi fermo. La sera è già calata, e il cielo è illuminato da miliardi di piccoli punti luminosi. Niente luna stasera. Peccato, mi sarebbe piaciuto ammirarla, seduta sulla sabbia...
Resto lì, accoccolata vicino a un piccolo scoglio, non so di preciso per quanto.
I fari di una macchina alle mie spalle mi obbligano a distogliere lo sguardo dalla vista meravigliosa che ho di fronte. È mio padre. Si avvicina e mi avvolge le spalle con la sua giacca, poi si accomoda accanto a me.
<<Erika, tesoro, ci hai fatto preoccupare! Dove sei stata? Tua madre è quasi morta per lo spavento!!! Lo sai che è tardissimo?>>.
<<Scusami papà, mi dispiace...ho lasciato il cellulare a casa e non mi sono accorta dell'orario. Avevo bisogno di stare un po' da sola...come hai fatto a trovarmi?>>.
<<Quando eri più piccola venivamo sempre qui nei pomeriggi più caldi, e ogni volta che mamma non ti faceva entrare in acqua perché avevi appena finito di pranzare, ti rifugiavi vicino a questo scoglio! Poi , dopo un po', ti avvicinavi a me e mi chiedevi di giocare con le racchette, per ingannare il tempo...>> risponde papà, con lo sguardo malinconico <<Sei cresciuta così in fretta piccola mia...credo sia venuto il momento di farmene una ragione...su andiamo, o tua mamma tra un po' chiamerà la polizia>> dice infine, ridacchiando. Poi si alza e torna in macchina. Io lo seguo, ma prima di salire, mi volto di nuovo verso il mare, sperando che un giorno il mio sogno diventi realtà...

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