Qualcuno busso alla porta, svegliandomi. Non aprì gli occhi immediatamente ma lentamente, con fatica, non volevo vedere la verità. Forse dovrei dire che ero confusa, che non sapevo sul momento dove ero e che mi sarei ricordata dopo. Come in molte storie d'amore. Ma non fu così. Sapevo benissimo dove ero, per questo motivo aprì gli occhi lentamente. Volevo rallentare, se fosse possibile, il tempo. Ma non era possibile. E a rinforzare l'idea fu un altro busso alla porta. "Che cosa vuoi?" chiesi scocciata, volevo sembrare il più scortese possibile e finire nel guinness dei primati con il titolo della donna col matrimonio più corto della storia. "Signora - era il maggiordomo, sì, mio marito aveva un maggiordomo - una lettera da suo marito" "Mandamela da sotto la porta Alfred" "Mi chiamo Xavier signora - non aveva il tono di chi si era offeso, sembrava calmo, anzi, quasi divertito dalla mia pessima memoria. Oppure fingeva bene - come desidera" e vidi un biglietto scivolare da sotto la porta e l'ombra di Alfredo (o Xavier come preferite) passare dalla porta per allontanarsi. Meno male che era una lettera. Allungai il collo per leggere cosa c'era scritto sul bigliettino , grazie al cielo non ero miope! "Ti aspetto per cena alle otto, Con affetto tuo marito". Aw che tenero, mi viene quasi voglia di farglielo ingoiare il bigliettino. Quanto manca per le otto? Guardai l'orologio: due ore e mezza. Avevo tempo.
Tempo
Il tempo non è sempre lo stesso, cambia, si trasforma in ciò che più vogliamo. O che più temiamo. Ciò che ci presta lo richiede in dietro (spesso anche con gli interessi). Ci dona la giovinezza, il tempo di viverla, di fare nuove esperienze ma poi ci richiede in dietro quel tempo e ci fa invecchiare, ci porta fino all'inesorabile vecchiaia. Fino alle morte. Già era inutile sperare di riuscire a cavarsela.
Vivere significa morire.
Mi alzai oziosamente dal letto queen size nonostante le coperte avessero un proprio campo magnetico che mi attirava verso di loro. La camera era pensata per ospitare i giganti, tutto era più grande di quello che ad un normale essere umano servirebbe. Le pareti erano color crema con appesi dei quadri del quale sappiamo il costo astrale data la loro bruttezza, il letto era ricoperto di cuscini di velluto e le coperte erano di colore brasco, e cosa dire dell'armadio! Ospitava la più vasta collezione di abbigliamento e calzature di marca che io abbia mai visto.
Guardai ogni abito, li scrutai, cercavo un abito che soddisfasse il mio scopo: Intimidire. Volevo fargli vedere che ero potente, fargli capire chi aveva sposato. Cerca donna, fiuta la tua preda. E lo trovai, il vestito perfetto. Lo indossai e mi raccolsi i capelli in una pettinatura che ricordava le donne dell'antica Roma. Il trucco era sfumato nero, smoky credo si chiami, un lucida labbra chiaro sulle mie labbra carnose e alle orecchie degli orecchini con una pietra nera e circondati da piccoli cristalli. Tutto era pensato per combinare con il meraviglioso vestito, era verde smeraldo con scollo a cuore, che lasciava abbastanza spazio alla fantasia ma senza essere volgare, ed era ricoperto di pizzo nero che continuava anche sul decolté e sul collo e terminava un po' prima delle spalle. Indossai delle scarpe nere dal tacco vertiginoso e mi avviai, cercando del coraggio e l'equilibrio sui tacchi, verso la sala da pranzo.
La casa era buia, non nel senso che mancava luce, ma buia come maledetta, sentivo l'aria pesante, sentivo qualcosa di oscuro tra le pareti. Non credo fosse la mia immaginazione. Conoscevo bene la famiglia De La Cruz e le storie che la circondavano: Si diceva che nelle loro mani scorreva più sangue che in campo di battaglia, che i complotti erano all'ordine del giorno e che tra le loro vene scorresse sangue di demonio. Forse l'ultima era poco credibile ma non dubito di certo che tra quelle mura fossero avvenuti svariati omicidi. Fui scossa da un brivido di paura e quando mi trovai davanti alla porta della sala da pranzo la aprì senza nemmeno bussare, dovevo passare l'idea di femme fatale.
"Buona sera Cassandra" mi salutò lui, con il suo sorrisetto da chi possiede tutto sul palmo della mano, la mia vita compresa. Avrei voluto dargli un pugno sul naso. "Lo era fino al momento in cui dovetti uscire dalla mia stanza per cenare in tua compagnia". Avevo sempre avuto una lingua tagliente e ora lui aveva il piacere di comprovarlo. Beccati questo stronzo! Io e lui ci sedemmo in contemporanea, come due animali che non staccano lo sguardo dagli occhi dell'avversario. Lo disprezzavo, non era neanche degno del mio odio, ma solo del mio disprezzo. Sapevo benissimo ci era, lo avevo capito dal suo modo di parlare, comportarsi, respirare. Era di quelle persone che si credono superiori agli altri, probabilmente avrebbe ucciso sua madre per avere ciò che voleva, sempre che non l' abbia già fatto. A lui non importava niente sui miei sentimenti, o se soffrivo. Niente.
Le pietanze furono servire, volevo dire i peccati di gola. Ogni porzione sembrava essere stata preparata per la regina d'Inghilterra. Erano squisite. Dovetti appellare a tutto il mio autocontrollo per non abbuffarmi. Tra antipasti, primo, secondo e dessert il mio palato sospirava di piacere. Invece di andare a letto con mio marito ci sarei andata con questa deliziosa torta al cioccolato ricoperta di tutto quello che è proibito. La compagnia di certo sarebbe stata migliore.
"Parlami di te Cassandra" mi intimò lui. No caro qui a comandare sono io "Credo che non ci sia nulla di interessante nella mia via per uno come te" gli dissi " Per uno come me? - chiese lui ironico - e cosa vorrebbe dire?" "Uno sconosciuto" gli risposi io. Mi aspettavo delle reazioni diverse, molto diverse, da quella che invece ottenni. "Capisco. Sto come vi sentite e so anche che adesso sono probabilmente nella tua lista nera. Ma non temere, non forzerò la situazione. Aspetterò che tu ti abitui alla tua nuova vita, ti darò il tuo spazio e ti rispetterò. Spero che tu un giorno mi reputi degno della tua fiducia" aprii la bocca ma da essa non ne uscii niente. Ero stupita. Farfugliando una scusa qualsiasi mi alzai, sconcertata dalle sue parole che mi colpirono a fondo.
Lui non era come me lo aspettavo, era diverso. Mai giudicare un libro dalla sua copertina. Ero stata sciocca e ottusa. Mi ero chiusa nella mia autocommiserazione, senza guardare per davvero ciò che mi era successo. Se la vita di da limoni fanne una limonata. E così entrati nella mia stanza e solo dopo essermi tolta le scarpe, il vestito e il trucco mi sentii più leggera. Mi voleva dare spazio, non voleva aggravare la situazione. Voleva la mia fiducia. No. Voleva essere degno della mia fiducia. Ed io ero degna della sua? Mio padre mi aveva sempre detto che la fiducia va conquistata. Mia madre la pensava diversamente: Lei mi diceva che a volte le persone hanno solo bisogno di una minima parte della nostra fiducia per dimostrarsi degni di essa, che a volte a rischiare dobbiamo essere anche noi. Lui aveva rischiato, ora toccava a me. Le sue parole non erano di una persona a cui non importava nulla degli altri. No le sue parole, e il suoi occhi, erano di chi capiva. Di cui rispettava gli altri. Forse l'avevo giudicato male.
Mi distesi sul letto, qui era uno dei pochi posti nel quale non mi venivano i brividi, dove non avevo paura. Forse un po' di compagnia mi avrebbe aiutata. D'altronde non erano sempre gli psicologi a dire che la mancanza di compagnia porta alla pazzia? Ebbene sì la solitudine, insieme alla noia, mi stavano facendo impazzire. Forse ero sciocca a pensare questo, ma la verità è che mi mancava la mia migliore amica, mio cugino, la mia famiglia. Mi mancavano persino i battibecchi con Priscilla.....ero messa davvero male. E forse, dico FORSE, Juan meritava la mia fiducia, d'altronde era mio marito.
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Il Volto Del Crimine
RandomCassandra Degli Arcangeli è, in apparenza, una ragazza come le altre: dalla risata luminosa e innocente, grandi occhi che guardano il mondo con prospettive ogni giorno diverse, voce che spesso usa per contraddire le persone che la circondano o solam...