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A volte, sopravvivere ad una guerra non è propriamente un bene.
Per esempio se ti chiami Bellatrix Lestrange, Mangiamorte.
Per esempio se quella guerra l'hai persa.

Niente lavoro. Oh, certo, tutti si sprecheranno in sospiri indulgenti, sono tutti di buon umore dopo la fine di un conflitto, specialmente quando inizia la così detta 'ricostruzione'. Ma dare lavoro ad una ex-Mangiamorte, per di più con la mia fama? Certo signora le faremo sapere, e si sforzano di continuare a sorriderti mentre il loro sguardo si raggela, scivola verso il basso come se si aspettassero una maledizione da un momento all'altro.
D'accordo, d'accordo un po' me la sono meritata. Ne ho fatte di cose brutte, e probabilmente hanno ragione quelli che dicono che sono pazza.
Niente lavoro e patrimonio di famiglia in fumo.

Quella era veramente l'unica cosa che potessi fare. Mi difendevo ancora bene sotto un certo punto di vista, tutto sommato. Per ciò quel pomeriggio di gennaio presi coraggio e varcai la porta del Velvet Rose con un passo che ricordava un po' la camminata che faceva tremare tutti, quando Voldemort era vivo.
Il Velvet Rose, Diagon Alley 20, è un edificio a due piani, il piano terra ha le pareti verde bottiglia, le luci mandano un chiarore soffuso, rossastro. Divanetti in pelle e poltroncine scompagnati sono disposti intorno a bassi tavolini di legno.
La gente passa davanti al Velvet Rose come se non lo vedesse, come se non esistesse nemmeno.
Ma qualcuno, di tanto in tanto, ne varca le porte con finta disinvoltura.
Al piano superiore ci sono le camere da letto e i bagni, i muri hanno una tappezzeria grigia a fiorami, i letti sono quasi tutti a baldacchino e nei bagni c'è sia doccia che vasca.

Il Velvet Rose è un bordello.

Mi dirigo al bancone in fondo al primo piano, un po' in ombra rispetto al resto. Guardo negli occhi quella che immagino essere la tenutaria, un donnone vestito di nero con i capelli grigi. Il lampo che le attraversa lo sguardo mi dice che mi ha riconosciuta.
Fisso una lampada sul tavolo che manda una luce bassa e rosata, mi concentro sul paralume di vetro mentre dico che vorrei lavorare lì.
Silenzio.
Per un attimo penso che mi rifiuteranno anche qui, e il pensiero ha un sapore che non mi piace, poi vedo che la donna ha allungato dei fogli sul bancone.
I moduli da compilare, e il necessario per l'ispezione medica. Mercoledì nel suo ufficio alle cinque e trenta, per la visita dell'Ufficiale. Ha una voce inespressiva, monocorde mentre mi dice tutto questo.
Prendo tutto e mi incammino senza sapere bene come sentirmi. Saluto educatamente, però.

Sono nuda. Vedo un certo stupore negli occhi dell'Ufficiale giudiziario e vedo anche i suoi occhi scivolare sul mio marchio, poi distogliersi dopo un attimo, intimoriti.
La visita di routine non è niente di speciale.
Quello studio sembra usato spesso per quello scopo, ha pareti di pietra e vari lettini.
Il tipo, una sessantina d'anni e grandi borse sotto gli occhi mi ausculta il petto.
Respiro a comando, mi fa voltare. Le sue mani seguono la curva della mia schiena. Poi mi lasciano. Mi viene detto di stendermi, lui intanto si sta infilando i guanti. Sono a cosce larghe, lui continua a guardarmi come se la testa stesse per esplodergli, mi ha riconosciuta, e un certo guizzo nel suo sguardo indica un divertimento che riesce a malapena a celare.
L'ispezione è breve ma completa. Dietro e davanti, poi una mano sul ventre, mi viene richiesto di tossire.

Vengo dichiarata idonea, a quanto pare sono in perfetta salute.


Prendo servizio - buffo termine- il sabato successivo.
mi viene assegnata una stanza dalla tappezzeria rossa, ampio letto a baldacchino pieno di cuscini, armadio rosso laccato, divano in una specie di separè attorniato da tende verdi e dorate.
Nell'armadio ci sono i vestiti, dice la tenutaria, una donna che non ha mai smesso di guardarmi sapendo esattamente chi sono. Poi mi squadra.
Ho con me una borsa che contiene pochi averi.
Mi dice di prepararmi, che tra mezz'ora arriva il primo cliente.
Mi mostra il funzionamento di un apparecchio che spunta dalla parete, munito di tasti. Vedo che sopra, in una piccola finestra in metallo, è stata messa una foto che mi è stata scattata a seno nudo, ora so perché me l'hanno voluta fare. Quando sei libera premi questo bottone qui, verde e di sotto lo sapremo. Poi la tenutaria esce.
La stanza odora di mirra e benzoino. Ci sono anche tendine rosse alle finestre che danno sulla via sottostante.
Colgo il mio riflesso nello specchio. Una donna con un volto olivastro, labbra carnose, palpebre pesanti sullo sguardo che brilla. Folti capelli scuri come una criniera.
Respiro.
Beh gente, cominciamo.
Apro l'armadio e trovo una specie di vestaglietta rosa, con mutandine e reggiseno in tinta, li estraggo e li fisso interdetta. Penso di aprire la mia borsa e mettermi uno dei miei abiti...ma poi, al diavolo, mi spoglio e mi infilo quella roba. Il reggiseno mi sta un po' stretto.
Mi guardo di nuovo allo specchio quando ho finito.
La vestaglietta è semi trasparente e mi arriva alle ginocchia, ha delle frange nere. Non è proprio male, una volta avevo una cosa del genere. il reggiseno mi fa straripare il seno, ma per lo meno non è fastidioso. Guardo i cosmetici sul tavolo da toeletta. Non so nemmeno più quand'è stata l'ultima volta che mi sono messa il rossetto o altro. Applico quello che trovo, di un colore rosso molto scuro e già usato, con segni di dita.
Poi, bussano alla porta.

Dico 'avanti' con una voce che quasi non riconosco come mia, e quando la porta si apre, beh gente da restarci secchi.


Il primo cliente è Lucius Malfoy.
Proprio lui.
Dopo la battaglia di Hogwarts è scappato come un coniglio, ed ora eccolo a richiudersi la mia porta alle spalle, silenziosamente.
Ha sempre avuto paura di me, ma dopo la guerra, lui come altri sopravvissuti non mi ha mai contattato, ne' aiutato, ne' chiesto come stavo, non ha voluto avere niente a che fare con me. Narcissa naturalmente mi ha passato un po' di denaro qualche volta, ma poi ha semsso anche di venirmi a fare visita.
Lucius, suo figlio e sua moglie se la sono cavata egregiamente, la loro camera blindata alla Gringott è rimasta piena d'oro. Non hanno avuto vittime di guerra da risarcire, almeno non quante ne ho avute io.
Lucius Malfoy mi spedisce un sorriso mellifluo, pieno di una lascivia che mi sento correre addosso come tanti insetti. La sua faccia pallida, allungata e un po' appuntita non è cambiata di una virgola, i suoi capelli, biondi e lisci gli ricadono ancora sulle spalle. Ha anche il suo bastone da passeggio ed è vestito di tutto punto. Merlino.
"Oh guarda...appena ho visto le 'novità' mi sono subito prenotato." C'è scherno nella sua voce, e sono sicura che se fossi ancora al suo fianco nelle riunioni dei Mangiamorte neppure si sognerebbe di guardarmi così.
Ma non siamo più alle riunioni dei Mangiamorte.
Si libera con un gesto secco di mantello e bastone e si avvicina.
Adesso lo vedo bene, alla luce dei due candelabri arrugginiti che fiancheggiano il letto.
Il suo sguardo gelido mi scruta...occhi freddi chiari, accesi da qualcosa.
"Come te la passi, Bellatrix?"
"Non c'è male..."
Rispondo fingendomi disinvolta.
Ricordo l'ultima volta che abbiamo combattuto fianco a fianco, ma respingo quel pensiero. Vorrei chiedergli se si trova bene a fare la parte del sopravvissuto, nella sua ampia villa con tutti i suoi elfi, ma taccio.

Poi la sua mano scatta verso di me, vedo le lunghe dita pallide che avrò visto un altro milione di volte in altri tempi, in altre vite afferrarmi un seno. Così, secco e diretto. Gli avrei fatto cadere tutto il braccio un tempo, ma resto ferma.

"Eri così arrogante, Bellatrix, specie con me..."

La sua voce, quel tono viscido, è venato di divertimento. Mi lascia andare il seno.

"Bel reggiseno, a proposito."
Stiro le labbra dipinte in un sorriso, penso di dover iniziare a lavorare, e mi chiedo per la prima volta come diavolo faccia la gente a fare questo lavoro, quando Lucius mi precede. Oh, è ovvio che non si trova qui per parlare dei vecchi tempi, lui.

"Sbottonami"
Mi fa, e intanto si protende con il bacino. Fisso il cavallo dei suoi pantaloni dal taglio squisito, cinquecento galeoni tondi tondi sicuro. Le mie mani si alzano, incontrano la stoffa. Cerco la chiusura, in quella vita alta.
Lui mi lascia fare.
Infine, la stoffa cede, e la sua erezione sbuca. Lo ha talmente duro che potrebbe piantarlo al muro come un chiodo, penso non sapendo bene da dove diavolo mi sia uscita quella, ma è vero.
Penso confusamente, con un po' di stupore che sto vedendo l'affare duro di Lucius. Se tre anni fa qualcuno mi avesse detto che lo avrei anche circondato con la mano, gli avrei riso in faccia, e poi lo avrei cruciato per due ore consecutive.
Sento Lucius emettere un buffo verso deliziato, poi mi ordina di lasciarlo.
"Va bene, adesso inginocchiati, e leccami la punta delle scarpe. Forza."
Ci vuole un po' perché capisca. In teoria ci sono delle norme, è il mio stupido primo pensiero, me lo ha detto la tenutaria prima di farmi vedere dove avrei alloggiato. Quelli violenti, quelli che fanno richieste insistenti cui tu non vuoi ottemperare, vanno segnalati così che si provveda a buttarli fuori.
Lucius mi guarda con un sopracciglio inarcato, un angolo delle sue labbra sottili è alzato, congelato in una fredda espressione di divertimento. I suoi capelli biondi luccicano quasi alla luce tenue, indulgo nell'idea di afferrarlo per quei capelli e trascinarlo...poi lui si muove.
"Va bene, segnalerò alla Tenutaria che la nuova arrivata non ha poi tanta voglia di lavorare..."
Questo mi fa contrarre lo stomaco.
"Aspetta."
Dico fredda e lui si volta, una fredda espressione di trionfo negli occhi.
Mi inginocchio ai piedi del suo abbigliamento ricercato. Eseguo quanto richiesto. La punta dei suoi stivali è già tirata a lucido. Non mi consente ci appoggiarci la lingua, comunque. Capisco che deve averlo fatto per mettermi alla prova, o qualcosa di simile, o perché si sta divertendo ad umiliarmi.
"Rialzati. Guardami."
Torno a sedermi, togliendo le ginocchia dal linoleum ruvido del pavimento.
"Adesso..." si è chinato contro di me, sento il suo alito sul viso -"Adesso dì 'sono al tuo servizio, Lord Malfoy, puoi fare di me ciò che desideri."
Mormorio roco, basso ed eccitato. Faccia pallida a punta pervasa dall'eccitazione. Lucius, vecchio mio, non fosse che vorrei evitarmi di finire di nuovo ad Azkaban, dalle mie labbra sarebbe già uscito un 'avada kedavra'.
Invece, ripeto per filo e per segno ciò che lui mi ha detto di dire.
Ride, soddisfatto, e si protende verso il mio viso con l'erezione in bella vista.
Ora il suo viso è molle, quasi affaticato, mi chiedo se per caso devo invitarlo a sedere, ma a quanto pare non occorre.
Mi da istruzioni precise, guardandomi dall'alto in basso.

Non ricordo neanche più quand'è stata l'ultima volta che ho fatto questo, ma i gesti mi escono fluidi e decisi. Gli abbasso ancora i pantaloni, scoprendogli i testicoli, la peluria chiara del pube, ed inizio ad accarezzarlo, una mano a coppa, l'altra sull'asta del pene, bollente adesso tra le mie labbra.
Faccio scorrere la lingua sul glande, colpi rapidi, precisi, poi scendo con tutta la bocca.
Cerco di non sentire i suoi gemiti, ne' i commenti che lascia cadere.
Finisce abbastanza in fretta: capisco che è eccitatissimo, che quasi non ci credeva quando ha visto la foto giù nell'atrio.
Sputo il suo seme in un fazzoletto che lascio appallottolato sul letto.
Mio malgrado, mi ritrovo a fissarlo in volto mentre si riabbottona con gesti lenti.
Le sue labbra sono inarcate in un freddo sorriso.
"La prossima volta, pagherò un sovra prezzo per vederti ingoiare. Che ne dici?"
Non mi pronuncio. Mi alzo, invece, e lo osservo recuperare il mantello, rimetterselo. Mi lancia ancora una lunga occhiata vicino alla porta, mi rivolta con lo sguardo. Poi con un guizzo, i suoi occhi tornano al mio viso. "Buona serata, signora Lestrange..." Scandisce con quella voce melliflua che ha usato quando è entrato, poi esce e richiude la porta dietro di se'.

Mi occorrono dieci minuti per calmarmi, sciacquarmi la bocca al lavandino del bagno, dominare l'istinto conosciuto che sta iniziando a salirmi cupo nel petto. Cerco di non pensare, ma ho ancora quella stupida faccia appuntita davanti agli occhi quando, infine, mi decido a schiacciare il bottone.

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