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Margo

La Grand Central era davvero bella, come mi immaginavo e avevo visto in tante immagini negli anni passati. Mi sembrava quasi di trovarmi in un film, di far parte di quelle serie tv che ogni tanto mi piaceva guardare. Mi guardai attorno a bocca aperta, notando la moltitudine di gente che camminava a passo svelto, facendosi strada tra i bagagli. No, non ero decisamente più a Gainesville. Quel pensiero mi fece sorridere, dal momento che di solito il luogo in cui vedevo più persone tutte insieme era la fiera nella piazzetta della mia cittadina, e la cosa era davvero imparagonabile a ciò che stavo vedendo in quel momento.

L'università distava una quarantina di minuti a piedi da lì, così decisi di avviarmi per prendere la metropolitana, pregando in tutte le lingue di non perdermi.

Una volta uscita dalla stazione fui presto vittima di una pioggia fitta e persistente. Chiaramente c'era un temporale e - cosa ancora meno sorprendente - non avevo un ombrello, l'avevo dimenticato a casa. Sentii la voce di mia madre risuonarmi nelle orecchie: "Ecco, vedi? Ti avevo detto di portare un ombrello!". Alzai gli occhi al cielo sbuffando, poi attraversai di corsa la strada, cercando inutilmente di coprirmi la testa con la borsa a tracolla.

Quando raggiunsi la fermata sotterranea analizzai la piantina dei tragitti per capire quale metro avrei dovuto prendere e, soprattutto, quante fermate avrei dovuto attendere prima di scendere. Fortunatamente non fu troppo complicato riuscire a salire sul treno giusto e scendere alla mia fermata. "Almeno qualcosa è andata per il verso giusto", pensai.

Risalii in superficie e, nel caos che nonostante la pioggia aveva invaso le vie newyorkesi, cercai con lo sguardo un edificio che potesse assomigliare ad un'università, realizzando poco dopo che in realtà non avevo idea di dove fossi.

Mi rassegnai all'idea che ormai fossi fradicia, quindi smisi di coprirmi con la borsa a tracolla. Tirai fuori il cellulare dalla tasca e provai a capire, grazie al GPS, da che parte dovessi andare. Mi incamminai lungo una via, ma dopo cinque minuti mi accorsi di essere andata dalla parte opposta, così in preda allo sconforto cambiai direzione, continuando a camminare il più velocemente possibile - per quanto i miei bagagli rendessero possibile la cosa -. Alla fine, dopo quasi un quarto d'ora mi trovai all'ingresso del Campus. "Finalmente", pensai tirando un sospiro di sollievo. Ero già consapevole del fatto che quasi sicuramente l'indomani sarei stata a letto con la febbre, per tutta la pioggia che avevo preso.

Una volta entrata mi guardai attorno. Non c'era nessuno nei paraggi, così mi diressi lungo l'unico corridoio che trovai, sperando di raggiungere l'ufficio di collocamento. Avevo i capelli fradici che aderivano con la pelle, lo stesso valeva per i vestiti e le scarpe. "Bel modo di presentarsi." pensai, mentre il mio corpo tremava per il freddo.

Raggiunsi fortunatamente l'ufficio che desideravo ed entrai, dopo aver bussato.

Una donna distinta stava seduta dietro ad una scrivania intenta a scrivere qualcosa al computer, con gli occhiali sulla punta del naso. Quando si accorse di me inizialmente mi osservò per qualche secondo, con uno sguardo a metà tra l'accigliato e l'incredulo. Seguii il suo sguardo su di me e mi resi effettivamente conto del pessimo stato in cui mi presentavo: sembravo una randagia capitata là per sbaglio. Se non fosse stato per la valigia e il borsone chiunque mi avrebbe sicuramente scambiata per una senza tetto.

«C'è un temporale e io, beh non avevo l'ombrello.», cercai pateticamente di giustificarmi.

La donna parve tornare in sé, come se fosse appena stata scoperta frugare nella borsa di qualcuno. Mi guardò e questa volta provò a mostrare un sorriso cordiale. «Non si preoccupi, signorina...?»

«Ward» la aiutai, «sono iscritta per frequentare da questo semestre, sono al secondo anno perché il primo l'ho completato ad Atlanta. Sono appena arrivata e, ecco, mi chiedevo se potesse aiutarmi.»

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