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Margo

I due giorni successivi al mio arrivo passai il tempo a disfare le valigie sistemando le mie cose nell'armadio e cercai di recuperare ore di sonno e le forze per l'inizio delle lezioni.

Ero un po' agitata ma anche impaziente di vedere come sarebbe stato seguire i corsi in una nuova università, mi sentivo di nuovo una matricola del primo anno: era tutto nuovo per me.

Scoprii che vivere con due persone non era poi così difficile, poiché realizzai che io, Steph e Liz, seppur caratterialmente un po' diverse, andavamo molto d'accordo e la convivenza con loro era serena e piacevole.

Mi portarono in centro a visitare i luoghi più importanti e famosi di Manhattan e facemmo un po' di shopping in qualche piccolo negozio, non mi capacitavo ancora della grandezza di quella città e della quantità di persone che ci vivevano. Mentre passeggiavamo per Central Park non potei fare a meno di pensare che se vi fossi andata da sola mi sarei sicuramente persa dopo un minuto, ma loro - come presumibile, dal momento che conoscevano molto bene New York - si muovevano ovunque con una tranquillità e noncuranza incredibile. Mi sentivo come una bambina che viene portata per la prima volta alle giostre: era tutto mozzafiato.

Durante il pomeriggio della domenica contattai i miei genitori e Adam su Skype. Mamma e papà vollero tutti i dettagli del luogo in cui vivevo e di come fosse la città, tanto che dovetti presentare loro anche le mie nuove coinquiline, che si mostrarono molto gentili e simpatiche anche con loro. Adam invece lo contattai mentre le ragazze erano fuori a prendere una boccata d'aria - o almeno così mi dissero, anche se poteva essere una scusa per lasciarmi un po' di intimità sapendo che avrei sentito il mio ragazzo -. Gli avevo scritto quella mattina e mi aveva detto di chiamarlo alle 4 e mezza del pomeriggio. Parlammo per una mezzora, mi chiese come fosse il Campus e le persone che avevo incontrato durante quei primi due giorni, così gli raccontai di Steph e Liz e della serata al pub del venerdì, non cadendo eccessivamente nei dettagli, anche se in ogni caso l'idea di un Adam potenzialmente geloso per il fatto che potessi avere amici maschi non mi toccò neanche per un secondo: non lo era mai stato in due anni e mezzo di relazione, perché avrebbe dovuto diventarlo adesso?

Quando poi anche lui ebbe finito di raccontarmi ciò che succedeva a Gainesville - non che fosse cambiato qualcosa dal momento che ero partita solo tre giorni prima - mi resi conto che non sapevo più di cosa parlare con lui, così, un po' confusa e inaspettatamente un po' a disagio - probabilmente anche per il nostro saluto di qualche giorno prima - inventai una scusa e lo salutai. Quando spensi il computer mi fermai per qualche secondo a fissare la parete di fronte a me. Non mi piaceva quella sensazione, odiavo il fatto di provare quel desiderio di sfuggirgli il prima possibile, ma più di tutto odiavo la mia codardia e la mia completa incapacità di dire le cose come stavano. La verità era che sin da piccola ero sempre stata così: avevo la tendenza a tenere dentro qualsiasi sentimento che potesse in qualche modo ferire un'altra persona, quando mi irritava qualche atteggiamento facevo finta di nulla, ma avevo sempre odiato questa parte di me e con il passare degli anni avevo cercato di migliorare sotto questo aspetto, anche se comunque ancora mi era difficile riuscirci fino in fondo, e questo era un palese esempio: non avevo ancora trovato il coraggio di parlare ad Adam di quello che provassi, probabilmente perché io per prima non lo capivo. Era come se di punto in bianco, dopo quel bacio alla stazione, si fosse alzato un muro tra di noi e io non fossi più così attratta da lui. Scossi la testa e giunsi alla conclusione che mi fossi messa in testa tutto io: come sempre creavo problemi dove non sembravano essercene.

Presi le chiavi che avevo appoggiato sul comodino ed uscii dalla stanza, decisa a raggiungere le altre, ovunque fossero. Idiota com'ero, dal momento che da quando ero arrivata non avevo passato neanche un secondo senza le ragazze, mi ero pure dimenticata di chiedere loro il numero di cellulare, così non potei scrivere loro un messaggio per chiedere dove fossero. Il corridoio era pressoché deserto e sperai si fossero limitate ad andare nel giardino del Campus, se non le avessi trovate là sarei rientrata in camera e avrei continuato il mio libro.

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