Capitolo7: Debolezza

19 3 2
                                    



Valentine si rimboccò le maniche cercando qualcosa da fare in quella cupa oscurità notturna.
Scarabocchiò qualche teschio su un foglio.
O almeno, l'intenzione era di tracciare solo un teschio, poi lo rivestì dei muscoli.
E coprì i muscoli con la pelle allungando il collo creando un inclinazione del corpo della figura come se fosse stato sospinto in avanti.
I capelli erano al vento ed erano linee nette, decise conosceva perfettamente il suo soggetto.
Era solo nella stanza.
Perfettamente solo.
Tremendamente solo.
La rabbia e il timore s'insinuarono nei suoi occhi.

"Mi ha forse dimenticato?"
Prese l'accendino che aveva in tasca e bruciò il foglio.
La ragazza entrò nella stanza.
I singhiozzi rimpiazzarono ben presto il silenzio.
Valentine abbandonò la scrivania.
Le passò una mano tra i capelli.
Era stesa.
Rannicchiata a letto in posizione fetale.
Sembrava così piccola, così indifesa anche un soffio di vento pareva in grado di romperla.
"Ne vuoi parlare?"
La ragazza nascose il volto segnato dalle lacrime tra i capelli.
Si era ripromessa di non affidarsi più a lui.
Non era mai stata brava a mantenere le promesse.
"Non voglio stare qui..."
la voce raggiunse flebilmente le orecchie del castano insinuandosi rotta tra i singhiozzi.
"E dove vorresti stare?"
"Ovunque ma non qui, sono stufa... non ce la faccio più"
Si strinse nelle spalle cercando le coperte con la mano.
Come se esse fossero una sorta di scudo contro il mondo esterno.
"L'hai detto anche l'estate scorsa"
Strinse la coperta soffocando le urla nel cuscino.
"Sempre loro?"
"Sì..."
Il ragazzo le si stese affianco
"Capiranno..."
"Non hanno mai capito, non capiscono e non cercano di capire"
Conosceva quel pianto.
Quel pianto era stato sempre il preludio di una caduta.
E non ne voleva vedere una quarta.
Non un'altra.
Non voleva un'altra data da ricordare.
Non voleva vedere altre cicatrici sulla pelle di porcellana di lei.
Non voleva diventasse il suo stesso carnefice.
Ricordava la facilità con cui ci aveva quasi preso l'abitudine, come fosse diventata velocemente la valvola di sfogo più comune e di come ogni volta peggiorasse.
Ricordava come ogni volta aumentavano.
Più superficie.
Più profondità.
Apatia.
C'era solo apatia nell'istante successivo, come se quel gesto le annullasse ogni sensazione.
E poi panico.
Il panico di chi non ha il coraggio di andare fino in fondo.
Il panico di chi non vuole essere scoperto.
"Sono fatta male vero?"
Quelle parole interruppero il flusso dei pensieri di Valentine.
"Non sei fatta male"
Le accarezzò i capelli.
Si era calmata un poco.
"Hai paura lo rifaccia vero?"
"Sì"
Era la prima volta che ammetteva una sua paura, ma avrebbe sempre potuto mascherarlo come un sentimento di autoconservazione: se lei fosse morta lui sarebbe scomparso.
La ragazza rimase interdetta.
"Devo ammettere che ci ho pensato... prima di venire qui" strinse le ginocchia al petto "Volevo davvero..." le lacrime tornarono a bussarle alle palpebre.
"Lo so... quando imparerai che sono una parte di te?"
"Ma non sai tutto Valentine"
"So cosa ti rende felice"
La ragazza tacque.
"Non voglio essergli di peso"
"Non credo tu lo sia, ficcatelo in quella testa"
Le gocce saline iniziarono a rigarle il volto.
"Non l'hai fatto per ... vero?"
"Sì..."
"E' un passo avanti...ascolta ... qualsiasi cosa ti riduca così... non devi scappare qui nella tua testa, nemmeno in bagno dal ferro e dai cerotti... devi affrontarlo. Devi usare quella bocca che ti ritrovi per spiegare cos'hai... non puoi tenerti tutto dentro..."
Era tornata in un mare di lacrime.
Si lasciò abbracciare dal castano.
Si fidava di nuovo.
"Non voglio più vederti così.."

Parlando da solaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora