Capitolo V

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 * In questo capitolo saranno presenti atti di violenza non adatti ai deboli. Se non volete, non siete costretti a leggere. Se invece volete, buona lettura! :D E per favore, lasciate un voto o un commento così che possa sapere se la storia vi piace oppure no... e grazie a chi lo ha già fatto! Kiss.*



Continuai a muovermi, nonostante le cinghie cercassero di bloccare il mio corpo, ma le spalle erano libere e non potevo stare lì a non fare nulla.

- E' insopportabile! Styles, vieni a darmi una mano invece di restare lì impalato. Sai che tanto non può entrare nessuno - sentii dei passi pesanti strascicare verso di me. Quell'omone aveva strappato la parte superiore della tuta e iniziavo a sentire freddo. Brividi pesanti e dolorosi su ogni parte del corpo.

- Tienigli le spalle... King, dovevi davvero strappare la tuta? - alzai gli occhi al cielo, volendo scomparire, ma accidentalmente il mio sguardo si incontrò con quello di Harry. Lo distolsi subito. Non riuscivo a guardarlo a lungo negli occhi, mi aveva tradito. Poteva non dire che ero scappato... così mi sarei risparmiato un abuso. Ma in fondo lui, mi aveva avvertito. Ero io il testardo che voleva correre contro l'impossibile.

- Lasciami divertire, Mike - quello era Mike? Lo stesso uomo che aveva fatto male ad Harry? Quello con i capelli neri? E voleva fare male pure a me... bene, benissimo!

- Fai una cosa veloce, non voglio restare due ore qui! - disse Mike. Strinsi i denti, non appena la cintura alla caviglie fu slacciata, così da potermi sfilare la tuta. Piansi. Non potevo credere di star per essere violentato. Cercai di liberare le gambe, dando anche un calcio all'omore, ma servì a poco. In due era davvero facile riuscire a bloccarmi le gambe.

- Lento o una botta secca? -

- Botta secca. E' un assassino... merita tutto il dolore di questo mondo - rispose Mike, sostenendo il mio sguardo. Chiusi gli occhi, sentendo anche i boxer scivolare via. Le gambe vennero spalancate e l'omone si mise in ginocchio, tra di esse.

Aprii gli occhi, lucidi e colmi di lacrime e incontrai di nuovo gli occhi verdi di Harry. Non aveva smesso di guardarmi nemmeno per un secondo, tenendo le mani fisse sulle mie spalle e impedendomi qualsiasi movimento. Poi sentii un dolore lancinante, proprio nel mio sedere. Spalancai gli occhi, respirando velocemente e imprecando a causa del dolore. L'omone entrava in me con una lentezza disarmante, poi si spinse dentro tutto in una volta e allora non potei fare a meno di lasciarmi scappare un singhiozzo. Distolsi lo sguardo da quello del ragazzo riccio, chiusi gli occhi e annegai nel mio dolore, sentendo le spinte veloci, ruvide, insistenti e dannatamente dolorose. Singhiozzai ancora, quando un pungente dolore iniziò a trasformarsi come in una morsa attanagliante. Mi sentivo aperto, esposto... spezzato. Le forze che avevo conservato per provare a ribellarmi, si affievolirono lentamente, consumandosi e venendo bruciate dal dolore.

Le spinte continuarono per parecchi minuti. Tutto intorno a me iniziava ad essere sfocato quando aprivo gli occhi e mi guardavo attorno, così mi dissi di tenerli chiusi, di sopportare il dolore, di piangere perchè non potevo trattenere le lacrime. Gli occhi avrebbero luccicato e gettato via acqua con o senza il mio consenso, perchè il bruciore era troppo ed era insostenibile.

Non sono un assassino.

Mi dissi per la seconda volta, prima di cadere in uno stato di dormiveglia. Non sentivo tutto quello che dicevano intorno a me, ma distinguevo qualche risata. Uno strano e viscido liquido mi scendeva tra le gambe. Potevo sentirlo. Ma non percepivo le mani di Harry sulle mie spalle, non c'era più nessuno a spingersi tra le mie gambe, eppure il dolore era rimasto, pungente e vivo. Non c'era più la luce biancastra della stanza, ma rimaneva comunque l'odore acro del sangue e i distinti singhiozzi della gente che subiva ciò che avevo subito io.

Poi tutto scomparve. I singhiozzi, l'odore, le risate. Scomparve ogni cosa tranne il dolore che si era radicato sul fondo schiena e diramato in tutte le parti del mio corpo. Sentii un materassino sottile sotto il mio corpo e lo tastai, notando di avere le braccia e il busto libero. Sgranai gli occhi, sperando di aver fatto solo un incubo. Ma ero in boxer, le gambe macchiate da piccole tracce di sangue e il dolore ancora nello stesso punto. Le lacrime asciutte sulle guance, davano l'effetto di un lifting. Il viso tirato e appiccicoso. Provai a tirarmi su, mettendomi seduto, ma cedetti e strinsi gli occhi. Il dolore era insopportabile.

Portai le mani sulla bocca, singhiozzando e scuotendo il capo. Non potevo crederci, mi avevano violentato. Mi avevano tolto la dignità, mi avevano tolto la verginità e mi avevano tolto l'autostima. Infangato nell'orgoglio e nella speranza, aspettai un po' prima di calmarmi. Non potevo piangermi addosso per sempre. Papà mi diceva che per ogni caduta, ci stava una rialzata. E se il mio edificio era stato buttato giù, col tempo ne avrei innalzato un altro. Avevo solo bisogno di stare un po' in pace con me stesso. Di stare lontano dai pericoli e da ciò che mi avrebbe portato a ficcarmici.

Portai lo sguardo umido sul pavimento. Di fronte alla porta, ci stava una tuta arancione e un tubetto di quella che sembrava essere crema. Volevo alzarmi e indossare quei vestiti, solo per sentirmi più al caldo, ma faceva troppo male per camminare.

Non so dire per certo se passarono ore o minuti, ma finalmente provai ad alzarmi, stringendo i denti e zoppicando. Con difficoltà indossai la tuta, poi afferrai il tubetto che era affiancato da un pezzo di carta.

Se la metti lì', passerà un po' il bruciore...

Appallottolai la carta e la gettai a terra. Certo, prima mi faceva stuprare e poi mi dava i consigli salutari. Ritornai a letto, con la crema stretta in un pugno. Non volevo metterla solo per non dargli quella soddisfazione. Chi mi assicurava che Harry non ci avesse messo dentro qualche sostanza velenosa?

Saltai la cena, o per lo meno pensai si trattasse di quella. Avevo perso la cognizione del tempo e sapevo che avrei anche dovuto pranzare, ma non mi importava molto. Volevo solo stare sotto le coperte, a cercare del calore e sperando di svegliarmi senza tutto quel bruciore, ma ovviamente le cose non andarono perfettamente così. Si, restai a letto, sotto le coperte, ma il bruciore non accennava a diminuire, così, approfittando di quella crema, decisi di metterne un po' in quella zona, ansimando per il contatto freddo e per il bruciore.

Avrei tanto voluto fare una doccia, per togliere ogni residuo di sangue e il suo odore ferroso.

Dato che la guardia continuava a non cercarmi, ne' per pranzare, nè per portarmi in bagno, probabilmente immaginando che non ne avessi le forze, mi addormentai, cullato dalla piacevole sensazione di fresco che si espandeva nel mio sedere.

Il giorno dopo, però, malgrado non fossi nel pieno delle mie capacità, fui costretto a partecipare alla colazione, con il resto dei detenuti. Zoppicando e affiancato da un Harry Styles con la solita divisa scura, raggiunsi la mensa. Erano parecchi gli sguardi fissi sulla mia figura o sulla mia strana andatura, ma ignorai chiunque mi fissava con un cipiglio sul volto e raggiunsi il bancone. Feci la solita fila per prendere il mio vassoio e mi incamminai verso lo stesso tavolo del giorno precedente. A metà tragitto, Zayn si alzò dal suo posto per raggiungermi. Sbuffai leggermente, avrei dovuto cambiare strada.

- Se vuoi la mia colazione, puoi prenderla senza troppi giri di parole - dissi, non permettendogli di parlare. Mi faceva paura la sua figura e soprattutto stavo più lontano possibile da lui e dal suo probabile tocco.

- Zayn! Ti ho preso la colazione - urlò il suo amico, sbracciandosi e dirigendosi verso di lui.

- Ti è andata bene, moccioso - Zayn si avvicinò ancora, alzando le mani e avvicinandole al mio colletto, ma indietreggiai, con la paura stampata sul viso e le gambe pronte a cedere.

- T-ti prego, n-non ho fatto nulla - balbettai, lottando per non scoppiare a piangere nuovamente. Ero già piuttosto sicuro di avere gli occhi gonfi e rossi.

- Zayn... l'hanno fatto anche a lui... - mormorò il suo amico, guardandomi con pietà. Lo fissai, con gli occhi lucidi e il cuore a mille. Poi il moro tornò al suo posto e l'altro ragazzo lo affiancò. Corsi, o meglio dire, zoppicai fino al mio tavolo e mi sedetti lasciandomi scappare un gemito, mettendo da parte la colazione e immergendo la testa nelle braccia. Poi piansi e...

Scusa papà, so che non dovrei piangere davanti agli altri, ma fa così tanto male...

La cella zero. L.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora