* Mi scuso perchè non aggiorno da troppo, ma non ho avuto assolutamente tempo di scrivere il capitolo. Spero che possiate perdonarmi! Vi voglio bene*
-Tomlinson, ho una notizia perte - annunciò la guardia, sedendosi accanto alla mia sedia, inlibreria. Alzai lo sguardo dal libro e mi concentrai sul suo volto. Erapassata una settimana da quella "cena" e subito dopo era tornato freddoe distante. Ma una buona notizia è che non sono ritornato allacella zero. Mike era stato fuori per una settimana di vacanza e la miaguardia si era presa quattro giorni di vacanza, molto probabilmente perpassarli con lui. Mi era stato affidato Stan, un ragazzo moro, alto emagro, piuttosto indifferente al suo lavoro. Alle volte mi trattavacome un amico, altre non mi considerava. Ma mi stava bene. Sam avevaparecchio approfittato dell'assenza della mia guardia per avvicinarsi ame, ma non so come sia possibile, ogni volta che lui mi adocchiava, Niallcompariva al suo fianco, lo minacciava e lo faceva subito calmare.Qualcuno mi aveva detto che era stato trattato malissimo alla cellazero, ma non volevo sapere quale trattamento gli fosse stato riservato.
Così, mi trovavo in biblioteca, a leggere un libro, e dopoquattro giorni rivedevo la guardia. Sembrava riposato. Gli occhi verdi,più brillanti del solito. Il sorriso smagliante e coinvolgente.Mi veniva quasi da sorridere. Quasi.
- Dal Lunedì al Sabato svolgerai del lavoro, qui dentro. Il tuoavvocato, che tua madre ti ha trovato, sta cercando di farti scontareuna pena minore e di farti uscire prima per buona condotta. Incompenso, lavorerai ogni pomeriggio. Un giorno aiuterai in cucina,quello dopo in lavanderia, quello dopo lavorerai all'aperto ecosì via. Se ti comporterai bene, la pena verrà ridotta asei anni. Sennò rimarrà fissa a nove - sussultai. Nonsapevo nemmeno che dovevo passare nove anni lì dentro. Credevodi più sinceramente. Ma ogni volta che qualcuno provava afarmelo sapere, io smettevo di ascoltare perchè non mi andava disapere quanto tempo ancora avrei dovuto passare lì. In altricasi mi sarei imbestialito, perchè non volevo che mia madrespendesse soldi per un fottuto avvocato piuttosto che spenderli per lemie sorelle, ma l'idea di lasciare 3 anni prima quel posto di merda,certamente mi piaceva.
- Okay - borbottai, ritornando alla lettura.
- Inizi domani. E' Lunedì - rialzai lo sguardo e annuii. Avevoperso il conto di quale giorno dell'anno fosse... ma tanto a cosaserviva? Avrei passato sei anni, se tutto andava bene, lìdentro.
- Andiamo. E' ora di ritornare in cella -
Sospirai. Chiusi il libro e lo rimisi al suo posto. Poi mi voltai e notai la guardia che mi stava dietro.
- Possiamo fermarci in bagno, cinque minuti? - chiesi tranquillamente.Styles mi fissava in modo strano. Non mi vedeva da qualche giorno eforse si era stupito che non mi fossi cacciato in qualche guaio. Laverità è che evitavo tutti come la peste. Me ne stavosempre chiuso in cella, oppure in biblioteca, in qualche angolonascosto. Alle volte saltavo i pasti, per non vedere quelli che se nestavano in mensa e così mi isolavo e mi tenevo lontano dachiunque avrebbe potuto ferirmi. La tuta mi stava un po' piùlarga. Niall una volta mi aveva addirittura portato qualcosa in celladicendo che mi vedeva terribilmente sciupato e pallido. Così perfarlo felice avevo mangiato qualcosa, ma non avevo così tantafame. Preferivo dormire. Dormivo così tanto in quel periodo,giusto per far passare il tempo.
- D'accordo - mi accompagnò fino in bagno e poi di nuovo in cella. Mi sdraiai e chiusi gli occhi, addormentandomi.
Mi svegliai, come ormai spesso accadeva, in seguito a un terribileincubo che vedeva come protagonisti me e King. Tamponai la frontesudata e poi mi tirai su a sedere, appoggiando la schiena alla pareteruvida. Sentivo le solite voci provenire dal corridoio. Qualche guardiache urlava, qualche carcerato che cercava di farsi rispettare, discappare o di averla vinta, inutilmente.
Stetti per un po' a fissare il vuoto, poi i soliti tre colpi alla portami risvegliarono dai pensieri. Mi tirai a sedere e aspettai che Stylesentrasse.
- E' ora di cena -
Stavo per ribattere, dire che non avevo fame e restarmene in cella, mapoi pensai che la guardia si sarebbe arrabbiata e proprio non avevovoglia di scatenare la sua ira. Mi alzai e lo seguii. Presi il solitovassoio. La cuoca mi fece un sorriso che non ricambiai e poi andai asedermi a un tavolo vuoto. Liam mi fece un cenno della mano e notai lasua espressione cambiare non appena mi voltai dall'altra parte,ignorandolo. Era da una settimana che ignoravo tutti e mentre Zaynormai sembrava averlo capito e mi fissava alle volte e basta, Liamtentava sempre di farsi salutare. Ma io non ne avevo voglia. Non avevopiù voglia di nulla.
- Louis, mangia qualcosa - voltai la testa e fissai Niall, che con unsorriso incerto mi avvicinava il vassoio. Afferrai un pezzo di pane,giusto perchè non mi andava di ribattere. Poi allontanai ilvassoio e appoggiai la testa sulle braccia incrociate, masticando.Niall continava a fissarmi, stavolta senza sorriso e con l'aria tristee afflitta.
- Sai che se hai bisogno... - iniziò, ma subito lo fermai. - Loso - e mi girai dall'altra parte, deciso a ignorare pure lui.
- Louis questo non è il modo migliore per affrontare questi anniqui... potresti cadere in depressione e... - si bloccò,aspettando una mia risposta. Dissi un semplice "okay" e poi continuai afissare il muro accanto a me. La guardia sospirò e siallontanò. Mi voltai giusto per vedere che si stesse dirigendoda Styles. Gli disse qualcosa, poi indicò me e a quel puntosmisi di guardare. La mia vita lì faceva schifo e non avevasenso che mi ambientassi, mi facessi degli amici, cercassi di andared'accordo con gli altri, mangiassi, ridessi. Nulla aveva senso. Avevoperso tutto e nessuno mi avrebbe più ridato la fiducia, ladignità, la forza di andare avanti a testa alta. Quindi chesenso aveva salutare Liam? Sorridere alla cuoca? Far felice Niall?Farmi amico Zayn? Dialogare con gli altri?
Che senso aveva cercare di migliorare lo schifo che mi circondava,quando non facevo altro che gettarmi altro schifo addosso? Non potevofidarmi di nessuno. Potevo e dovevo fidarmi solo di me stesso.
Finita la cena, ritornai in cella. Seguii di nuovo la solita routinefatta da incubi, colazione e pranzo. Poi verso le tre del pomeriggio,la guardia mi portò in cucina, dove avrei lavato tutto quelloche era stato sporcato per cucinare.
Notai altri tre ragazzi con me. Uno, purtroppo arrivò quando già la guardia se n'era andata. Era Manuel.
- Pasticcino, anche tu qui? - mi disse. Lo ignorai e afferrai dei piattiper lavarli. Aprii l'acqua e afferrai la spugna e il sapone.
- Dovresti proprio considerarmi, sai? Mi irrito facilmente - continuaia ignorarlo e mi girai di scatto quando lo sentii dietro di me e mistrinse una natica. Sentii le lacrime salire agli occhi.
- Stammi lontano Manuel o chiamo le guardie -
- Oh... ma che paura... - mormorò in modo drammatico. Unaguardia entrò, probabilmente accertandosi di come stessero lecose e così Manuel fu costretto ad allontanarsi da me per andarea pulire delle pentole. Mi concentrai sul mio lavoro e in poco tempoavevo già lavato la maggior parte dei piatti sporchi.
- Tomlinson... tutto a posto? - sentii chiedere dalla porta aperta. Mivoltai e fissai la mia guardia. Stavo per dirgli di Manuel, leggermentenascosto da un mobile in ferro, ma non appena lo vidi mincciarmi,annuii alla mia guardia e dissi "Si, tutto bene" anche se niente lo eraaffatto. Styles mi fissò in modo strano e poi si guardòattorno ma non sembrò accorgersi di Manuel, per l'appuntonascosto bene. Poi uscì dalla cucina e io tornai a lavare lecose.
- Sei stato davvero bravo - sentii in un sussurro al mio orecchio, dopoqualche minuto di silenzio. Mi tremarono le ginocchia e il piatto quasimi scivolò dalle mani. Manuel mi stava dietro, toccandomi ilbacino con le sue orribili mani.
- A-allonanati subito o urlo - lo minacciai, voltandomi nella sua presae trovandomi la sua faccia vicina alla mia. Cercai di togliermelo didosso, ma la sua stretta era forte, molto di più al contrariodella mia.
- Non può succedere, non può succedere, non puòsuccedere - mormorai continuamente, impanicato dalla situazione.
- E invece si tesoro, può succedere. Ma posso essere buono con te, se mi fai un pompino -
- No, no! - Manuel mi afferrò più forte e mi spinsecontro il lavello. Il piatto mi cadde definitavamente dalle mani,sbriciolandosi al suolo. L'uomo poi mi fece inginocchiare e nel farlopersi l'equilibrio. Una mano si schiantò contro qualcheframmento e sentii un terribile bruciore. Singhiozzai, cercando ancoradi liberarmi dalla sua presa. Si slacciò la tuta e miavvicinò il membro alla bocca. Mi allontanai disgustato e feciper urlare, ma mi si mozzò la voce in gola. Mi diede un schiaffocosì forte che fece più rumore del piatto che sifrantumava. Pelle contro pelle. Sgranai gli occhi, sentendo il sanguecolare giù dal labbro spaccato. Mi aveva colpito con il retrodella mano e avevo sbattuto la testa contro il mobile affianco a me.Ero scivolato a terra, con un capogiro che mi aveva fatto perdere lacognizione del tempo e la forza che sembrava avermi totalmenteabbandonato. Ero così confuso che non sapevo nemmeno qualiparole urlare per chiedere aiuto. La stanza sembrava vuota, i ragazziche lavavano i piatti non c'erano più. Eravamo rimasti io e unodei miei incubi. Tremai nell'incoscienza e con gli occhi fissi nelnulla intravidi del sangue sulla mia mano.Tossii e fissai Manuel, chenonostante tutto cercava ancora di farsi fare quel pompino. Migirò sulla schiena e intravidi il soffitto con macchie gialle everdi. Poi sentii qualcuno che mi apriva la bocca, ma quando vidi ilsuo membro così vicino a me, presi fiato e urlai. Cercai dirimettermi su, nonostante ancora la percezione del tempo fosseastratta. Mi sentii di nuovo gettare a terra, tappare la bocca espingere sui cocci. Strinsi gli occhi e rimasi lì, fermo. Fissaiun pezzo di piatto. Lo fissai così intensamente che avrei potutoattrarlo vicino, come spinto da una forza magnetica. Lo afferrai e loimpugnai con la mano già ferita. Strinsi la presa tanto da farmimale. Manuel era stato beccato da alcune guardie che lo tenevano fermo.Io potevo concludere la mia vita. Potevo liberare la mia anima,sentirmi libero e privo di peccati. Potevo pure finire all'inferno, nelgirone più basso e caldo. Potevo mandare tutto al diavolo.Allora lo feci. Alzai il braccio, puntai il pezzo di ceramica dritto alcuore e presi un respiro.
Tanto, non avevo più nulla da perdere.
Chiusi gli occhi.
E feci cedere il braccio verso il petto, giù... giù... giù in picchiata.
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La cella zero. L.S.
Hayran KurguLa cella zero è un luogo di tortura, presente in alcune prigioni. Si narra, di guardie penitenziari che picchiavano, stupravano o torturavano alcuni detenuti. Da queste vicende, accadute realmente in alcuni carceri, parte questa storia. La guardia H...