* Un altro capitolo bello e pronto per tutti voi! Godetevi la lettura e se vi va, lasciate qualche commentino o una stella! Vi voglio troppo bene sapete? Adoro tutto quello che scrivete su questa storia! kiss *
-Diamo inizio ai giochi, piccolo - disse Mike, sbottonando la giacca di Harry.
- Mike, davvero, non mi sembra il caso di fare una cosa del genere - sbottò il riccio, ma il suo ragazzo gli sfilò la giacca e continuò a baciargli il collo, sbottonandogli la camicia.
- Non capisco quale sia il tuo problema, Harry -
- Il problema è che non voglio farmi vedere mentre faccio sesso con te. Sei il mio ragazzo e questo deve essere un momento intimo tra me e te, non ci dovrebbe vedere nessuno -
- Andiamo, fai finta che attorno a te non ci sia nessuno -
- Ma io ci sono! Questa è un'assurdità! Lasciatemi andare! - urlai. Le braccia mi si erano infuocate, stanche di restare in aria, legate a delle corde.
-Ti conviene tacere, Tomlinson, se non vuoi che chiami King - sgranai gli occhi e mi ammutolii. No, un altro stupro no. Sospirai, muovendo un po' le braccia e cercando un sollievo che non ricevetti.
- Andiamo Mike, dobbiamo per forza fare questa cosa davanti a lui? - tentò di nuovo il riccio. Il suo ragazzo sbuffò scocciato - Ti preoccupi per lui? - gli chiese e Harry scosse tranquillamente il capo - No, certo che no -
Abbassai lo sguardo verso il suolo, sentendo un dolore nel petto diramarsi. Ovvio che non gli importasse nulla di me.
- Bene, allora smettila di pensarci su - Mike continuò a spogliare il suo ragazzo e li fissai, quando proprio non riuscivo a farne a meno, finchè non li vidi entrambi nudi. Sapevo che guardare mi avrebbe causato più male che altro ma... era inevitabile. Hai presente quando non vuoi fare qualcosa perchè sai che ti ferirebbe però la fai lo stesso perchè non hai la forza per tirarti indietro? Ci provavo a non guardare quella scena, ma ogni volta che sentivo Harry gemere, i miei occhi volavano sul suo copro magro e perfetto e non si staccavano più da quella scena.
Faceva male, vederlo mentre si faceva toccare da un altro o addirittura era lui a prendere l'iniziativa, ma sembrava davvero che io non ci fossi in quella stanza.
- Tomlinson, vediamo se adesso capisci a chi appartiene Harry - sbottò Mike, penetrando con una spinta il suo ragazzo, che gemette, arcuando la schiena verso l'alto.
Strizzai gli occhi e voltai leggermente il capo. Basta! Basta! Basta! Continuavo a urlare, ma nessuno sembrava sentirmi. Il fastidio si tramutò in rabbia. La rabbia mi si infuocò nel corpo. Diedi una forte scrollata alle corde, sentendo una fitta di bruciore espandersi sulla pelle. Se non volevo farmi male, avrei dovuto stare fermo. Ma più forte di me, invece, continuavo a scuotere le braccia che mi formicolavano. Non riuscivo più a tenerle sospese in aria, mentre quei due si amavano sul letto e mi dimostravano che Harry non apparteneva a me. Faceva male. Più di lame ghiacciate che mi trafiggevano la pelle.
Restai con gli occhi chiusi e il respiro accelerato fino a che Mike ed Harry vennero gemendo rumorosamente. Deglutii, per quanto la gola asciutta me lo permettesse e poi mi decisi finalmente ad aprire gli occhi. All'impatto ci vidi sfocato, anche perchè le lacrime mi offuscavano la vista. Le guance erano completamente bagnate, segno che, nonostante gli occhi fossero serrati, le lacrime sgorgavano ugualmente.
Scrollai debolmente le braccia e i polsi bruciarono ancora di più. Era stanco. Volevo che mi liberassero. Che mi portassero nella mia cella e non mi cercassero più.
I due amanti, se ne stavano ancora aggrovigliati, nudi, sul letto. Un piccolo lamento divenne udibile non appena il bruciore ai polsi si fece più intenso. Troppo tardi mi accorsi che cercando di affievolire il dolore che portavo dentro, avevo fatto forza sulle braccia, creando una ferita là dove i polsi venivano circondati dalla corda.
Lo sguardo della guardia volò subito su di me, concentrandosi sul mio viso contratto in una smorfia di disgusto, orrore, terrore, dolore. Poi alzò lo sguardo e si concentrò sulle mie mani.
- Andiamo Mike, adesso lascialo stare. E' da mezz'ora che sta appeso lì - borbottò, alzandosi dal letto e rivestendosi. Il suo ragazzo lo imitò, ma con uno schifoso ghigno sul viso.
- Non ho ancora terminato - dopo essersi vestito, mi si avvicinò, afferrandomi la mascella con la mano. Mi guardò e mi disse - Hai capito a chi appartiene il mio ragazzo, vero? -
Annuii debolmente, cercando di voltare il capo, ma Mike strinsi la presa.
- Bene. Adesso vedrò di farti capire che non devi mai più provare a scappare - portò un braccio indietro e caricò un pugno, scaricandomelo dritto allo stomaco. Annaspai alla ricerca di un po' di ossigeno ma subito me ne arrivò un altro. E un altro ancora. E un altro ancora ma sul viso. E lì, con gli occhi debolmente socchiusi per il dolore, notai Harry seduto sul letto, con gli occhi sgranati. Il mio corpo non percepiva dolore nei punti esatti che venivano colpiti. Piuttosto ogni parte gridava di avere un po' di sollievo.
- Mike, basta! Stai esagerando! Smettila, così lo uccidi! - urlò Harry, alzandosi dal letto e fermando il suo ragazzo.
- E' uno schifoso assassino Harry. Persone come lui hanno ucciso tua madre. Merita di morire -
Gli occhi del riccio si indurirono e lasciarono la presa sul suo ragazzo. Respirai faticosamente mentre la paura si faceva spazio tra le membra. Se Harry non avesse fermato il suo ragazzo, lui avrebbe continuato a picchiarmi e forse quella sarebbe stata la volta buona che ci lasciavo le penne. Mike fece per caricare un altro pugno, ma fu bloccato in aria dalla guardia.
- Credimi, anche io vorrei che le persone come lui soffrissero, ma se lo uccidi finiremo entrambi nei guai. Quindi, puoi lasciarlo andare adesso. Non ha nemmeno la forza di reggersi in piede, amore - chiarì Harry. Mike lo fissò per qualche istante, poi annuì e baciò il suo ragazzo. Un rantolo sofferente si liberò nell'aria mentre cercavo un po' di sollievo per accovacciarmi su me stesso e cercare di affievolire il dolore.
- Riportalo in cella. Per oggi può bastare - ordinò l'uomo. Harry annuì e iniziò a sciogliere i nodi ai miei polsi. Il mio corpo cadde fiaccamente verso il suolo. Le gambe non reggevano più il mio peso, tant'è che la guardia dovette prendermi in braccio.
- Guarda che ti sei fatto... - borbottò, osservando i miei polsi. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare tra le sue braccia, mentre dalle labbra uscivano fuori respiri tremolanti, fiacchi, deboli. Tremai un po', quando un brivido di freddo mi fece venir voglia di accocolarmi di più alla guardia. Sapevo che avrei dovuto tenermi a debita distanza da lui, che non avrei mai potuto averlo, ma il mio cuore non era d'accordo con quello che sosteneva la mia testa.
Tant'è che mentre il mio cervello diede alle labbra l'impulso di dirgli - Dovrei starti lontano - il cuore diede alle braccia il fievole impulso di circondargli il collo e stringermi più possibile a lui.
E quando la sua stretta si fece più forte attorno al mio corpo, trovai il coraggio di dirgli - Ma non puoi privare a un arcobaleno di non spuntare dopo la pioggia - facendogli capire che seppur la scelta giusta fosse quella di stargli lontano, avevo bisogno di lui, anche se mi faceva del male, anche se mi respingeva, perchè sarei spuntato comunque nella sua vita e lui nella mia, così come l'arcobaleno spunta dopo la pioggia, colorando il cielo di sette colori sfumati.
Harry mi portò in infermeria. Lo capii subito dall'odore della stanza e dal tono di voce di Lauren.
- Cristo santo, ancora tu? Volete smetterla di trattarlo in questo modo? Per quanto ancora vi sembra possa resistere? Eh? - urlò la dottoressa, aiutandomi a stare composto sul lettino. Mi accoccolai in posizione fetale, stringendo le ginocchia al petto per cercare di alleviare il dolore allo stomaco, ma non ce la facevo più. Non potevo più resistere all'impulso di scoppiare a piangere. La rabbia trattenuta doveva in qualche modo fuoriuscire. Così piansi, ancora, di fronte alla dottoressa e alla guardia. La prima mi confortò con dolci carezza. La seconda persona, invece, abbassò lo sguardo e uscì via, lasciandomi con il cuore che debolmente tremava perchè era fin troppo debole per pompare forte dentro al petto.
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La cella zero. L.S.
أدب الهواةLa cella zero è un luogo di tortura, presente in alcune prigioni. Si narra, di guardie penitenziari che picchiavano, stupravano o torturavano alcuni detenuti. Da queste vicende, accadute realmente in alcuni carceri, parte questa storia. La guardia H...