Quelle vacanze stavano diventando un vero inferno per Matt. Aveva in programma di rilassarsi, magari studiare un po' e divertirsi. Invece ogni giorno che passava era peggio di quello precedente. Passando al setaccio tutti gli eventi che si erano susseguiti da quando era arrivato Damian, non ne aveva trovato uno che fosse degno di essere etichettato come "felice". Non faceva neanche in tempo a sciogliere la tensione e a trovare un po' di pace, che subito qualcosa lo disturbava.
Prima la conoscenza di Cedric, poi la telefonata che lo informava dei piani del Cooper moro.
Prima l'appuntamento col rosso, poi quel bacio sul collo.
Prima un'uscita piacevole, poi la litigata per il messaggio equivoco.
Prima un pomeriggio passato in allegria, poi un altro bacio inaspettato.
Insomma era tutto un alternarsi fra alti e bassi, questo, almeno fino ad un paio di giorni prima. Ora l'alto non riusciva proprio più a vederlo. Si era definitivamente lasciato con Cedric, per di più, nel peggiore dei modi. Aveva finito per litigare di nuovo con Damian e, alla fine, anche con Steve.
Il biondo infatti, invece di consolarlo per come era andata a finire e invece di sollevarlo dai dubbi che lo attanagliavano, aveva finito per accusarlo di essere stato duro ed ingiusto nel dire al cugino quelle cose. Avevano urlato per più di due ore, insultandosi e offendendosi come peggio potevano, senza però risolvere o spiegare un minimo, il perché di quegli atteggiamenti.
«È inutile!» gli aveva detto il suo migliore amico prima di uscire dalla stanza, sbattendosi dietro la porta «Tu non riusciresti a capirlo nemmeno se ti venisse spiattellato in faccia. Anzi già è successo, ma l'hai ignorato. Quindi non so veramente come fare!»
Per l'ennesima volta dunque, Matt era rimasto in silenzio, da solo e senza l'appoggio di nessuno. Per l'ennesima volta si vedeva additato come quello che non riusciva a capire, come quello che sbagliava sempre, come quello che non riusciva a prendere la decisione giusta. Ma c'era qualcuno che si volesse per un attimo sforzare di capire quale era il suo stato d'animo? C'era qualcuno che fosse pronto a domandarsi il perché delle sue scelte? Evidentemente no. Tutti sapevano solo giudicare, tutti sapevano solo farlo sentire sempre peggio.
Fu essenzialmente questo il motivo per cui i primi di luglio, ovvero una settimana e mezza dopo tutto quel casino, stava facendo avanti e indietro nella sua stanza, e su e giù per la casa, nella speranza di ultimare la valigia entro il tempo utile. Era dell'idea che staccare la spina fosse ormai più che necessario, così, approfittando del fatto di avere delle abbondanti ferie e delle ore di permesso mai sfruttate, aveva salutato Patrick e gli altri impiegati del "King's Cross" apprestandosi a godersi tre settimane e mezzo di puro relax. Dopo aver chiamato Claire, sua madre, per avvertirla che si sarebbe trattenuto da lei per un po', aveva prenotato un volo last minute con destinazione Coral Springs, in Florida, dove la donna si era trasferita poco tempo prima.
Era felicissimo di andare a trovarla, aveva già in progetto una fuga veloce, ma non immaginava che il suo progetto potesse prendere vita molto prima del previsto. D'altronde quell'intera estate per lui si era rivelata una enorme sorpresa! Poco male, almeno avrebbe avuto l'occasione per abbronzarsi un po' e godersi il mare. Malgrado ciò, non riusciva proprio a non sentirsi in colpa, per cosa, poi? Non lo sapeva nemmeno lui.Steven non era stupido, aveva capito da un pezzo le intenzioni dell'amico, ma non si era deciso ad andare a parlargli fino a quel momento. Continuava a sperare in un ripensamento, in una presa di coscienza, ma poi aveva capito che, per arrivare a tanto, Matt doveva veramente essere arrivato al limite di sopportazione. E lui si sentiva parte fondamentale delle cause che lo avevano portato ad un crollo emotivo di tali dimensioni. Ormai il danno era fatto. Poteva solo sperare che parlargli adesso non fosse troppo tardi, che aiutarlo a fare chiarezza fosse abbastanza da indurlo a rimanere con lui, a non andare via.
«Matt...» iniziò incerto, stando sulla soglia, osservando l'amico voltato di spalle. Non sapeva nemmeno se l'altro avrebbe avuto voglia di salutarlo prima di uscire dalla porta di casa, figuriamoci di parlare mentre faceva le valigie! Con sua grande sorpresa però, il più piccolo smise di piegare vestiti e si girò a guardarlo in faccia. «Io... posso entrare?» chiese timoroso.
L'altro fece spallucce e annuì un paio di volte, mordendosi le labbra mentre cercava di capire se quello a cui aveva appena acconsentito potesse essere utile o meno.
«Così, parti domani.» mormorò vedendo l'altro annuire, per poi ritornare ad occuparsi degli abiti. «Volevo solo dirti che so di aver sbagliato. Mi dispiace per come mi sono comportato e per quello che ti ho detto. Invece di ascoltarti e capire, ho finito col farti la predica e non sai quanto mi faccia stare male tutto questo. Vorrei solo avere la speranza che quando tu te ne andrai, non lo farai odiandomi.»
Matt interruppe di nuovo quello che stava facendo, non potendo fare a meno di notare come Steven, con voce incrinata, gli avesse appena chiesto scusa. Era una cosa, quella, che sicuramente non sarebbe capitata di nuovo. Ad ogni modo non poteva lasciarsi fregare, non ora che aveva veramente un disperato bisogno di allontanarsi e capire. Per questo ingoiò il nodo che si era formato in gola e, sempre dandogli le spalle, rispose nell'unico modo che poteva.
«Lo apprezzo molto... insomma mi fa piacere che tu abbia finalmente provato a metterti nei miei panni. Resta il fatto che io ora non posso rimanere qui, non posso ignorare tutto e sentirmi soffocare di nuovo. Ho bisogno di riflettere con calma sugli ultimi avvenimenti e stando qui non posso farlo. Non ci riuscirei... Spero tu possa capirlo.» cercò di parlare col tono più fermo che riuscì ad usare, ignorando i sospiri affranti del biondo dietro di sé. «Ma non devi arrivare a pensare nemmeno un momento che io ti possa odiare. Non esiste, perciò... solo, levatelo dalla testa.»
«Non ho possibilità di convincerti a non partire, vero?» chiese lo stesso, sapendo già la risposta.
«No, ne ho bisogno. E poi ho già pagato i biglietti e non mi ridarebbero i soldi.»
«Tre settimane e mezzo... quasi un mese.» riflette l'altro, borbottando fra sé e sé «Ti serviranno un po' più di cinque magliette.» scherzò, seppur tristemente «Vuoi una mano?»
«Sì, grazie.» sorrise il più piccolo, prima di abbracciarlo.
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My Lovely Enemy
ChickLitMatthew Evans è al secondo anno di università e lavora come cameriere nel sempre affollato "King's Cross" pub. Vive in una modesta casetta assieme al suo migliore amico fin dai tempi del liceo, Steven Cooper più grande di un anno, che invece studia...