Capitolo 2

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Milton Keynes, 28 novembre 2013
-Appiedata?- ripetei incredula, forse per la terza o quarta volta in meno di cinque minuti. Non riuscivo a dire altro da quando l'uomo davanti a me, colui che si era opposto con tutte le sue forze al mio arrivo in Red Bull, aveva iniziato a parlare.

-Il termine esatto è declassata- Helmut Marko sorrise, soddisfatto -Declassata a terzo pilota e collaudatore, per l'esattezza-.

-E potrei sapere il motivo, di grazia?- ringhiai in risposta. Non sarei riuscita a rimanere seduta calma e tranquilla ancora per molto.

-Il motivo è semplice- Marko posò sulla scrivania un plico di fogli, che riconobbi all'istante: erano tutti i dati raccolti durante i gran premi, tutti i risultati miei e di Sebastian messi a confronto -I risultati parlano chiaro. È stato Sebastian a vincere gli ultimi tre titoli-.

Scattai in piedi -Ce lo siamo giocato sempre fino alle ultime gare!- gridai -E non credo proprio che con un solo pilota ora avreste quattro titoli Costruttori!-.

Marko liquidò le mie parole con un cenno seccato della mano, come se non le ritenesse degne della sua attenzione.

-Le cose stanno così: contribuirai allo sviluppo della macchina e potrai guidare nei test e in qualche sessione di prove libere, sempre che i piloti siano d'accordo- la soddisfazione con cui sottolineò la parola 'piloti' mi diede il voltastomaco; sentivo che se fossi rimasta un minuto di più in quella stanza non sarei stata in grado di rispondere delle mie azioni, così mi voltai e uscii, resistendo alla tentazione di sbattermi la porta di vetro alle spalle.

Christian, che aveva assistito a tutta la scena senza dire una parola, mi seguii chiamando a gran voce il mio nome, ma lo ignorai. Attraversai i corridoi quasi di corsa, scesi i gradini a due a due e ignorai le occhiate curiose di tutto il personale -non mi sarei stupita se avessero sentito le mie grida sin dalla hall- mentre uscivo dalle grandi porte a vetro.

Avevo quasi raggiunto la mia macchina quando mi sentii afferrare per un braccio. Mi voltai e mi trovai faccia a faccia con Christian.

-Voglio che tu sappia- ansimò, senza lasciarmi andare -Che ho fatto tutto il possibile per evitarlo-.

Nonostante inizialmente fossi arrabbiata anche con lui -colui che mi aveva voluto in squadra, l'unico a darmi un po' di fiducia dopo Minardi-, non riuscii a vomitargli addosso tutta la rabbia che provavo. Sapevo bene che quando Marko si metteva in testa una cosa del genere neanche lui aveva potere di cambiare le cose.

-Lo so- mormorai, abbassando lo sguardo sulle mie Converse inzuppate dalla neve.

-Farò il possibile per farti tornare a gareggiare- mi disse, e dal tono capii che stava cercando di motivare anche se stesso.

Annuii, laconica. Improvvisamente la rabbia si era dissolta, lasciando spazio a un'orrenda sensazione di vuoto. Ero stata privata della mia ragione di vita, di ciò che mi spingeva ad alzarmi al mattino. Nel giro di neanche un'ora mi era stata strappata la parte migliore di me, l'unica cosa buona che avessi, e l'unico errore che avevo fatto era essere nata donna.

Una lacrima sfuggì al mio controllo, e poi un'altra, e un'altra ancora. Christian mi lasciò andare, come se le mie lacrime lo avessero scottato. Non mi aveva mai visto piangere, a parte il giorno in cui vinsi il titolo, ma quello era un pianto di gioia. Quel giorno non stavo andando in pezzi.

-Me ne vado- annunciai, cercando in tasca le chiavi della macchina.

Christian sospirò, fece un passo verso di me e mi strinse in un abbraccio imbarazzato -Vedi di non sparire- disse.

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