Capitolo 7

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Montreal, 8 giugno 2014

Stava succedendo tutto così in fretta che tutti noi nel box di Daniel sembravamo nel bel mezzo di un sogno; mancavano cinque giri al termine del Gran Premio del Canada, e Daniel si era appena preso la seconda posizione con un sorpasso magistrale su Perez. Ed era letteralmente incollato agli scarichi del leader Rosberg. Ciò significava che la vittoria era finalmente a portata di mano e sicuramente Daniel non sarebbe rimasto a guardare. Quella che era partita come l'ennesima gara con i primi due gradini del podio monopolizzati dal duo Mercedes aveva preso tutta un'altra piega quando una ventina di giri prima Hamilton si era ritirato per problemi tecnici, e poco dopo Rosberg aveva vistosamente rallentato per evitare la stessa sorte del compagno.

Ero sicura che se non mi fossi imposta di respirare regolarmente sarei rimasta in apnea fino alla fine della corsa. Dopo il ritiro di Hamilton mi ero tolta le cuffie, decisa a non ascoltare più le comunicazioni radio, e mi ero allontanata dai monitor dei tempi per togliermi la tentazione di controllarli ogni cinque minuti per controllare la progressione di Daniel. Volevo assistere a quella gara da 'esterna' per una volta, invece che da ex pilota come facevo da ormai due mesi e mezzo.

Il box sembrò esplodere quando al sessantottesimo giro, a due tornate dalla bandiera a scacchi, Daniel sverniciò la Mercedes di Nico. I meccanici si abbracciarono, gli ingegneri si lasciarono sfuggire un grido liberatorio e persino Christian dal muretto si concesse un gesto di trionfo.

Io rimasi immobile, mentre un sorriso gigantesco si faceva strada sul mio volto. Dalla sua postazione, Lex mi mostrò entrambi i pollici alzati.

Quei due giri finali sembrarono durare un'eternità, e quando finalmente Daniel tagliò il traguardo -mentre appena dietro di lui Massa e Perez si eliminavano a vicenda- i meccanici invasero la pitlane e si arrampicarono sulla rete che la divideva dal rettilineo di partenza, agitando i pugni e sventolando una bandiera australiana spuntata da chissà dove.

Mentre i piloti si accingevano a compiere il giro d'onore, tutta la squadra andò a radunarsi sotto al podio: il botto tra Massa e Perez aveva fatto guadagnare a Seb la terza posizione, perciò avevamo parecchio da festeggiare quel giorno.

Nonostante non vedessi l'ora di vedere Daniel, non mi andava per niente di gettarmi nella mischia che si sarebbe inevitabilmente creata sotto al podio, così sgusciai nel paddock attraverso l'ingresso sul retro del box. In quel momento, con la celebrazione del podio in atto, era quasi completamente deserto, perciò riuscii con mio grande piacere a raggiungere il nostro motorhome senza essere fermata da nessuno. Sarei rimasta lì ad aspettare Daniel, anche se avrei dovuto attendere che partecipasse alla conferenza stampa e che parlasse con i media, gli aspetti che più odiavo del vincere una gara ma che lui affrontava sempre con tanto entusiasmo.

Mi sedetti sul pavimento di fronte alla porta della sua stanza privata; dove prima c'era una mia gigantografia a figura intera ora c'era quella di Daniel, e il suo nome aveva sostituito il mio sulla porta. Sospirai. In quel piccolissimo spazio occupato in gran parte dal lettino per i massaggi e dallo scaffale con caschi e tute mi ero rifugiata tantissime volte, prima di una gara per riuscire a restare un po' da sola e concentrarmi, e dopo, per rimuginare su un brutto risultato o per rivivere i bei momenti dopo aver ottenuto un podio o una vittoria. E per nascondermi da Lex per evitare le interviste. Devo ammettere che sapeva essere molto magnanima, quando fingeva di non trovarmi e riferiva a un esasperato Christian che probabilmente avevo già lasciato il circuito.

Ero ancora immersa nei miei pensieri quando, preceduto da un rumore di passi ovattato dalla moquette, comparve Daniel, con la parte superiore della tuta legata in vita e il trofeo del vincitore in mano. Rimase un po' sorpreso di trovarmi lì, ma non appena gli sorrisi gli si illuminarono gli occhi.

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