Miss superiorità e Mr.Non azzardarti a disturbare o So tutto io,c'è da scegliere

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ADÈLE

Non potevo crederci.
Non potevo credere che mi ero aggrappata a lui come un polipo.
Non mi ero sentita in imbarazzo per esserci finita addosso o per avergli stretto la t-shirt in una morsa quasi brutale.
No.
Avevo cominciato a sudare freddo quando avevo capito che volevo tenermi stretta a quel suo calore luminoso che aveva abbagliato per un attimo i miei occhi.
"Puoi aggrapparti", mi aveva detto con semplicità. Altre due parole innocue e sciocche.
Eppure, per un breve momento, finalmente mi ero sentita di nuovo protetta, considerata, amata...
I ricordi del "verme" ritornavano bruschi senza che me ne rendessi conto. E solo ripensando al senso di sicurezza che mi dava, sentivo che avevo perso qualcosa di importante quando lui era sparito dalla mia vita.
Nessuno si era interessato a me dopo Paul. Nessuno mi aveva fatto sentire rassicurata come era successo in quel momento con l'imbecille.
Suggestionata dall'episodio in Metro, avevo cercato di evitarlo per tutto il giorno.
Cosa abbastanza difficile, visto che dovevamo lavorare di fianco.
Doro e Didier erano "dietro le quinte" a dirigere il tutto, ma il vero compito — quello fondamentale — spettava a noi, che accoglievamo la clientela e gli fornivamo un buon motivo per restare.
Quasi tutti i clienti fissi della "La Bonne Vie", mi domandarono dove fosse mia madre e quando sarebbe tornata. La maggior parte conosceva la mia parentela con la famosa Julie Dubois — visto che avevo vissuto praticamente parte della mia infanzia lì in pasticceria — ma altri ignoravano completamente chi fossi, e di conseguenza, non si fidavano di me.
Avevo lasciato scappare tre clienti, e il quarto era in procinto di togliere definitivamente le tende, quando magicamente era apparso Victor e l'aveva convinto a restare.
L'avrei ringraziato se non fosse stato per la sua tecnica di convincimento che era stata piuttosto lasciva e sconsiderata.
La Signora La Blanche aveva cinquant'anni e tre matrimoni falliti alle spalle, con tipi sempre più giovani di lei. Lasciarle credere che il mio fratellastro fosse sul mercato, non era propriamente un modo professionale di non lasciarsi scappare un cliente.
« Io mi sono limitato ad ascoltare i suoi bisogni e le sue lamentele! » si era giustificato l'imbecille. Al che io l'avevo fissato malissimo, ed ero sparita in bagno ad imprecare in tutte le lingue che conoscevo.
E ne erano davvero tante.
A fine giornata, ero praticamente a pezzi.
« Come primo giorno, credo che ce la siamo cavati piuttosto bene. Non credete? » commentò Didier con un sorriso compiaciuto, mentre finivamo di sistemare il laboratorio con la voce Michael Bublé[1] che faceva da sottofondo.
L'imbecille si limitò a fare spallucce.
« Se continua di questo passo, chiudiamo tra una settimana » replicai invece, sbuffando nervosa.
« Dai Adèle, non é andata così male! » si intromise Dorothée.
Le lanciai uno sguardo assassino.
« Certo! » borbottai ironica « Se consideri che abbiamo perso tre clienti, che la macchinetta della glassa si è rotta, che l'imbecille ha sbagliato ordinazioni una decina di volte, e che si é fatto quasi fare una proposta di matrimonio dalla Signora Le Blanche...Certo. Se non consideriamo queste piccole cose » e marcai la parola con rabbia « oggi è da considerarsi davvero una giornata proficua! » conclusi sarcastica.
« Ehi! Guarda che Eveline é davvero una donna di gran classe! » esclamò Victor alzando lo sguardo dal suo strofinaccio bagnato.
« Zitto! Sottospecie di...» e mi bloccai.
Possibile che non riuscivo a trovargli un altro epiteto offensivo?
« Di? Di cosa? ».
L'imbecille ci provava gusto a farmi incazzare con quel suo sorrisetto irritante e "so tutto io".
« Può bastare, dolcezza! » la Capo Chef sorrise con gentilezza a Victor, e gli tolse il pezzo di stoffa umido dalle mani.
«Bene! Finalmente! » l'imbecille si strofinò i palmi umidi sul suo bermuda di jeans, e piantò i suoi occhi nei miei in cerca di approvazione.
« Sì, abbiamo finito » biascicai sbuffando e distogliendo lo sguardo in fretta.
« Chiudete voi? » mi rivolsi ai miei due colleghi con un tono forse un po' troppo impaziente.
« Certo cara! Andate tranquilli! » Didier annuì, indicando la porticina che portava alla sala attigua alla pasticceria, e quindi, all'uscita.
« A domani » salutai velocemente i due gemelli e me ne andai, senza aspettare nemmeno Victor.
Lo sentii però seguirmi, ma non mi voltai.
Il tintinnio del pendolo sopra la porta, annunciò il nostro arrivederci definitivo a Dorothée e Didier, che erano ancora dentro intenti a spegnere i frigoriferi e le luci.
« Quindi...ora immagino prenderemo di nuovo Metro?! » mormorò l'imbecille, affiancandomi a me. Camminava di pari passo, aveva le mani nelle tasche, il solito ciuffo ribelle davanti agli occhi, e un'espressione annoiata.
« Ti spiace per caso? » sbottai acida.
« Oh per niente » commentò normalmente « Soprattutto se ti avvinghi a me come stamattina » concluse poi con nonchalance.
Mi voltai di scatto verso di lui con le pupille spalancate.
« Cosa hai detto, scusa? ».
La risata del mio fratellastro, risuonò per la viuzza buia e silenziosa che stavamo percorrendo, come un tuono in un cielo sereno.
« Dai! Stavo scherzando! » esclamò Victor ridacchiando divertito.
« Se ti dava così fastidio, potevi benissimo dirmelo » cominciai paonazza « Invece di...»
« Ehi, ehi! Calma! Ti ho detto che scherzavo! » Victor mi superò sfiorandomi la spalla, e si fermò in mezzo la strada, piazzandosi proprio di fronte a me, bloccandomi così il passaggio. Era molto più alto di me e mi sovrastava, e cosa mi faceva sentire piuttosto nervosa.
« Non mi dava fastidio! Ti prendevo solo in giro! » mormorò poi l'imbecille con un sorriso sghembo che mi contagiò, lasciandomene scappare mezzo anche a me.
« Sai che non riesco proprio ad inquadrarti » dissi sincera, prima che potessi rendermene conto.
Mi morsi le labbra, sentendo di essermi esposta un po' troppo con quello sconosciuto antipatico.
Il mio fratellastro, di rimando, mi fissò per qualche altro istante enigmatico, poi riprese a camminare tranquillo senza aggiungere niente.
A quel punto fu il mio turno di seguirlo.
Ci dirigemmo alla Metro in un muto silenzio, e vi salimmo ognuno immerso nei propri pensieri. Per fortuna la linea B a quell'ora era meno affollata, e riuscimmo a scovare due posti liberi una di fronte all'altro.
Il tragitto per fortuna era breve.
Non avrei sopportato di stare in sua presenza nemmeno un minuto di più.
Con le chiavi strette tra le mani, aprii la porta di casa salutando mio padre, che — come sempre a quell'ora — era davanti al telegiornale.
« Ciao Adèle! Ciao Victor » la sua voce si fuse con quella dell'inviato della testata giornalistica che stava andando in onda in quel momento.
« Buona sera, Signor Dubois » salutò l'imbecille quasi educatamente.
« Chiamami pure Pierre! » replicò mio padre, alzandosi dal divanetto del salotto per venirci incontro.
Non era mai capitato che lasciasse il Tg della sera anche solo per un minuto. Spalancai la bocca inebetita quando lo vidi piazzarsi di fronte a noi, ignorando completamente le notizie.
« Stavo pensando...visto che oggi è stato il vostro primo giorno di lavoro, per stasera che ne dite di ordinarci una pizza veloce? Così eviti anche di  cucinare! ».
Con l'ultima frase, si rivolse a me.
Feci spallucce, troppo impegnata ad immaginare come sarebbero state dure e misere le mie sere, per quei prossimi tre mesi.
« Per me va bene » dissi per farlo contento. Non avevo per niente fame.
« Anche per me é okay » s'intromise Victor, quasi con la mia stessa inespressività.
« Bene! Ora chiamo! Voi andare a rinfrescarvi un po' » detto questo, sparì come un lampo in cucina.
« Ho proprio bisogno di un bagno! » disse Victor più a sé stesso che a me.
« Eh sì. Ne hai proprio bisogno! » ripetei facendo finta di storcere il naso per la puzza che emanava.
« Credimi, anche tu! » ribatté improvvisamente iroso.
Alzai un sopracciglio ignorandolo e chiedendomi cosa gli aveva fatto cambiare improvvisamente atteggiamento. Salii poi le scale a due a due, dirigendomi al piano di sopra.
Passi pesanti mi fecero capire che l'imbecille mi aveva seguito immediatamente. Lo vidi oltrepassarmi ed entrare nella mia camera. Chiuse la porta senza nessun cenno di saluto, e mi lasciò nel silenzio del corridoio da sola e intristita.
Quella situazione era così paradossale che presto sarei scoppiata senza ritegno.
Entrai nella mia nuova stanza — quella degli ospiti — e mandai un messaggio su Whattapp a Moureen.
•Giornata d'inferno• inviai veloce, poi mi gettai faccia in giù sul cuscino, stremata.

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VICTOR

Mi faceva innervosire come mai nessuno prima di allora!
Non che mi interessasse la sua opinione, ma detestavo quell'aria saccente e superiore che si portava dietro ogni volta che mi rivolgeva la parola.
Avevo sbattuto la porta sperando che il concetto "non azzardarti a disturbare", fosse stato ben recepito.
Mi gettai faccia in giù sul cuscino, e sbuffai nervoso.
Avevo bisogno di uscire, divertirmi e soprattutto, distrarmi da tutta quell'assurda situazione.
Se fossi stato a casa mia, mi sarei defilato e avrei telefonato Sèbatien per un po' di baldoria. Ma quella gabbia m'impediva di fare mosse false.
Non volevo che il Signor Dubois fosse responsabile dei miei disastri, e soprattutto, non desideravo che mio padre venisse a sapere quanto suo figlio ventunenne fosse un completo idiota irresponsabile.
Mi girai e rigirai nel letto della Ranocchia, e riflettei su come potessi stemperare tutta quella frustrazione che sentivo crescermi dentro.
Presi il cellulare, ancora buttato nella tasca dei miei bermuda, e lo tirai fuori. Cliccai sulla stellina dei preferiti, e chiamai Monique.
Rispose al secondo squillo.
« Vic!! Ciao!! Ma che fine hai fatto? Non mi hai telefonato più! » cominciò subito, con un tono lamentoso.
« Hai ragione piccola, ma non puoi mai immaginare cosa mi è successo! » le risposi forse un po' troppo melodrammatico.
Monique era mia amica fin dai tempi delle elementari. Al liceo, alla gita di terza, aveva provato ad infilarsi nel mio letto. Ma io all'epoca avevo la testa da un'altra parte, e la rifiutai beatamente.
L'anno in cui "la stronza" sparì dalla mia vita però, ripresi i rapporti — rotti bruscamente appunto, quella fatidica notte — con Monique.
Diventammo più che amici, ma mai del tutto fidanzati. Era un rapporto basato soprattutto sulla libertà d'espressione e di uscita.
In poche parole: avevamo un rapporto molto aperto, e ognuno poteva farsi chi voleva.
Ma alla fine, se non per qualche ragazza particolare conosciuta in discoteca, preferivo andare a letto con lei nel mio tempo libero.
Monique almeno mi ascoltava veramente quando le parlavo.
« Oddio! Tu stai bene? » la voce preoccupata della mia amica mi fece sorridere. Mi alzai a sedere sul letto e le risposi.
« Sì, piccola! Tranquilla! Io sto bene! Piuttosto, puoi uscire ora? » le domandai a bruciapelo.
Ci fu qualche attimo di silenzio, spezzato solo dal suo respiro leggermente agitato.
« Vuoi che venga a casa tua? » mi chiese titubante.
Mi morsi la lingua.
« Non proprio, a dir la verità » borbottai, passandomi una mano dietro la nuca. Ero tutto sudato. Quel primo giorno in pasticceria mi aveva ucciso!
Altri momenti di silenzio terso.
« D'accordo! Dimmi dove devo venire! ».
Sorrisi contento come un bambino, ringraziando che ci fosse Monique a farmi distrarre dai miei problemi.
« Prendi carta e penna ».
Le dettai l'indirizzo dei Dubois e l'avvisai che doveva mandarmi un messaggio appena era fuori casa.
« Non bussare il campanello per nessuna ragione al mondo, okay? » le dissi.
« Okay ».
Quando riagganciai, mi spogliai in in baleno, e mi buttai sotto la doccia.

[1] Michael Bublé: Famoso cantante canadese, conosciuto per il suo primo successo del 2005 "Save the Last Dance for me".

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Note: ho dovuto abolire la parola "11.Capitolo" , e togliere gli spazi perché mi diceva che il titolo era troppo lungo.

"SPAZIO "Promo Grazie❤️"

Di: skywithBand5SOS

Di: skywithBand5SOS

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