18.CAPITOLO: Cosa non vi è chiaro della parola ordine?

111 12 9
                                    

VICTOR


Il retro della pasticceria era disordinato al massimo.
Capivo bene che sarebbe stata solo una condizione provvisoria, prima che i due gemelli ci inveissero contro.
In quella settimana avevo imparato due cose su Dorothèe e Didier: detestavano il caos e le parolacce.
Evidentemente, non erano ancora entrati nel magazzino da quando, il giorno prima, i fornitori ci avevano portato altri materiali e conserve.
Adèle aveva provveduto a riporre nella cella frigorifera ciò che poteva andare a male se non chiuso lì dentro, mentre il resto l'aveva beatamente lasciato nello stesso identico punto in cui l'avevo appoggiato io.
Scansai un paio di scatoloni, e feci spazio per quello che portavo.
Sospirai esausto, passandomi una mano sulla fronte madida.
In quei giorni si moriva di caldo. La temperatura sembra essersi alzata esponenzialmente, e la fatica cominciava a farsi sentire.
Se lo stupido ballo che dovevamo organizzare per Giselle mi avrebbe dato la possibilità di guadagnare quei tre pomeriggi liberi, mi sarei spaccato la schiena di mattina per riuscire ad averli.
Non vedevo Sèbatien da quando avevo scoperto che Nicole era ritornata e soggiornava da lui.
Ci eravamo sentiti, ma vederlo mi mancava. Eravamo migliori amici dai tempi delle medie, e non avevamo mai trascorso più di tre giorni senza incontrarci. Quello che stavamo per stabilire, era il record del secolo.
Mi gingillai nel magazzino disordinato con la voglia di rimanerci e riposarmi.
La Ranocchia era incredibilmente insopportabile, e ciò che avevo saputo riguardo mio padre e Julie, mi rendeva ancora più curioso al riguardo.
Quella Giselle poi, era un vero mistero. Sentivo una forza ineluttabile che mi legava a quella donna, ma non capivo cosa potesse essere.
Rimasi impalato in mezzo alla stanza ingombra di cose, finché Adèle non scese per vedere che fine avessi fatto.
« Se pensi di filartela, ti sbagli di grosso! » esordì imperiosa con le mani su i fianchi.
Alzai un sopracciglio scettico.
« Hai visto che ore sono? » le ricordai, mimando il gesto di un orologio da polso.
L'invasata storse la testa e ripescò il suo cellulare dalla tasca del grembiule verde Tiffany.
« Le cinque meno un quarto, e allora? » chiese irritata.
« Avevi detto "pomeriggi liberi". O sbaglio? » ribattei.
Adèle rimase in silenzio per qualche minuto, poi sospirò pesantemente.
« D'accordo. Ma almeno vieni ad aiutarmi a pulire di sopra. Poi prometto che chiudiamo tutto! » disse esausta.
Sorrisi per la mia piccola vittoria.

Quando finalmente fui libero da "La Bonne Vie" e dalle grinfie della Ranocchia, telefonai a Sèbatien.
« Sei vivo allora! E non ti sei trasformato in nessun supereroe con poteri fantastici! È un sollievo! Sai, dopo mi sarei sentito troppo invisibile di fianco a te! » mi prese in giro, non appena ci incontrammo sotto la Torre Eiffel.
« Davvero divertente! » commentai, battendogli pesantemente la mano sulla schiena.
Il mio migliore amico incassò il colpo alla perfezione e scoppiò a ridere.
« Ti vedo sciupato! L'invasata non ti fa mangiare? » scherzò, chiamandola nello stesso modo in cui lo facevo io quando gli raccontavo di lei.
« Se per quello, non mi fa nemmeno respirare! » precisai nervoso.
« Credevo di poterla gestire, ma sto cominciando a perdere la pazienza! »
« O stai perdendo colpi? » Sèb mi lanciò un'occhiata maliziosa, mentre passeggiavamo placidamente per gli Champs-Élysées.
Gli diedi un pugno sul bicipite.
« È tutta colpa tua! » annunciai « Se non avessi ospitato la Stronza, a quest'ora non dovevo subirmi quella pazza! ».
« Voglio ricordarti che "la Stronza", come la chiami tu, è mia sorella! » mi punzecchiò Sèbatien, per niente risentito.
Sapeva bene che tra me e Nicole non doveva metter bocca.
Sbuffai.
« Comunque, ti ho chiamato per invitarti ad un ballo » dissi cambiando discorso.
« Un ballo? » ripeté il mio amico.
« Esattamente »
« È che ballo è? » chiese Sèb.
« Un ballo di bentornato »
« Bentornato per chi? ».
A quel punto scoppiai a ridere di gusto senza freni.
Se solo Sèb avesse saputo che aveva reagito proprio come avevo fatto io il giorno precedente, si sarebbe sbellicato anche lui.
« Per una pazza » risposi cercando di calmare il risolino.
« Un'altra? » replicò il mio amico confuso e sorpreso al tempo stesso.
« Precisamente ».
Sèbatien rimase per qualche secondo interdetto, poi esclamò:
« La tua vita, mio caro, sembra essersi fatta davvero interessante ».

Sèb ed io, incontrammo un paio di amici e facemmo baldoria fino a notte fonda.
Ballammo, parlammo e bevemmo, e ritrovai finalmente le mie vecchie abitudini e la mia libertà.
Fu una notte indimenticabile.
Peccato che la mattina seguente la mia testa diceva il contrario.
« Allora sei pronto? » la Ranocchia urlava e i miei timpani imploravano pietà.
« Quasi » borbottai ancora con la testa sotto al cuscino.
Volevo che quel dannato martello smettesse di spaccarmi il cranio a metà.
Quando trovai la forza di alzarmi e vestirmi, raggiunsi l'invasata al piano di sotto e feci colazione in rigoroso silenzio, immerso nel mio torpore post sbornia.
Il tragitto fino alla "La Bonne Vie" fu quasi piacevole. Perfino Adèle non aveva molta voglia di parlare, e non mi rivolse alcuna battutaccia o altro.
Non appena arrivammo a destinazione, ci mettemmo all'opera e il mal di testa sembrò aumentare.
Per quel giorno io e Sèbatien ci eravamo dati appuntamento per una partitella a basket, nel campo Comunale dei Giardini di Luxembourg.
Ma se mai ci fossi arrivato tutt'intero, non avrei fatto un figurone in quelle condizioni.
« Qui sotto c'è una confusione assurda!» il grido acuto di Dorothèe ci raggiunse forte e chiaro.
La Ranocchia alzò le mani
« Tocca a te! » disse, indicando con lo sguardo il bancone davanti a lei, pieno di farina e impasto per biscotti.
« D'accordo, d'accordo » borbottai posando la scopa e raggiungendo i due gemelli sul retro.
« Cosa non vi è chiaro della parola: ordine? » sbottò la donnona oltrepassandomi sulle scale, diretta al piano di sopra.
Sbuffai scuotendo la testa ignorandola. I timori di ieri, erano diventati reali.
Mi sarebbe toccato mettere tutto a posto!
Ma almeno non avrei condiviso lo stesso spazio vitale con l'invasata, subendomi così i suoi rimproveri.
Non era proprio la giornata giusta per discutere.
Cominciai dagli scatoloni carichi di vettovaglie, per poi passare ad uno che avevamo completamente dimenticato — o meglio che Adèle aveva dimenticato— di mettere nella cella frigorifera.
« Merde! » imprecai, sperando che le conserve contenute lì dentro non erano andate già a male.
Aprii per esserne sicuro, e quando lo fui, portai lo scatolone nella gelida sala adibita al mantenimento degli ingredienti più delicati.
Il mio respiro si condensò immediatamente in nuvolette di fumo bianco. I peli delle braccia si intirizzirono, e un brivido mi percorse tutto il corpo.
Svuotai il contenuto dello scatolone il più velocemente possibile, ma un barattolo di latte scremato mi cadde dalle mani, e si frantumò sul pavimento ghiacciato della cella in una miriade di cocci.
« Maledizione! » balbettai battendo i denti.
Mi guardai attorno e non trovai nessun strofinaccio per pulire quel macello, così mi strappai il grembiule di dosso, e mi inginocchiai per togliere la macchia di latte che stava già cominciando a solidificarsi.
Strofinai con lena, finché il pavimento sembrò essere tornato immacolato, ma alzandomi di scatto, andai a sbattere con la schiena e la nuca contro una mensola di metallo poco sopra di me.
Il piano si smontò dai cardini, cedendo immediatamente e rovesciando tutto ciò che vi era riposto sopra.
Un dolore bruciante e un calore improvviso invasero la mia nuca. Puntini neri riempirono il mio campo visivo e il mal di testa diventò lacerante.
Mi accasciai immediatamente, sentendomi intorpidito. Passai una mano dietro la nuca per cercare di alleviare il dolore, e quando la tolsi, mi ritrovai del sangue fluido e vivido a ricoprirla macabramente.
« Non ci credo » mormorai guardando cosa avevo combinato.
La mensola si era completamente staccata dal muro, facendo venir via un bel po' d'intonaco.
Fissai le due piccole crepe che aveva creato, e fu allora che notai un nastrino grigiastro.
Confuso e stupito, lo tirai con forza e mi ritrovai, tra le mani, un rotolo di carta incartapecorita e giallastra.
Il nastrino — che un tempo evidentemente doveva essere stato bianco perla — stringeva dei fogli molto vecchi e sgualciti.
Ancora con il dolore alla testa, mi sedetti in mezzo alle conserve ormai andate, e srotolai la pergamena.
Ne uscirono una decina di fogli di quaderno.
Corrugai le sopracciglia incuriosito, afferrandone uno.

Una pasticceria per DUE (SOSPESA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora