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Di fronte l'insegna malandata di Stanford Street Alexis si fermò ad osservare l'imponente edificio davanti a sé. Era proprio come l'aveva immaginato: vecchio, con le mura ormai diventate nere per lo smog. Si risistemò i capelli -gesto che faceva ogni volta che era agitata- e, dopo un bel respiro, varcò l'ingresso.                                                                                                         L'interno era ampio e luminoso, i pavimenti di un marmo bianco che rifletteva la luce proveniente dal soffitto. Nonostante l'assenza di finestre, l'aria non le sembrava pesante. Si diresse verso lo sportello informazioni, dove c'era ad accoglierla una signora così robusta che a mala pena riusciva a stare in equilibrio sullo sgabello. Indossava un'uniforme blu scuro, con al petto il cartellino di riconoscimento: il suo nome era Irvy. Alexis si sentì gli occhioni della donna addosso: la scrutava con aria interrogatoria e quasi minacciosa. Alexis, dunque, ruppe l'imbarazzo accennando un sorriso e passandole sotto il vetro la sua cartellina con i documenti. La donna, rimanendo in silenzio, sembrava leggere con attenzione i documenti e registrare qualcosa al computer. Alexis, intanto, cercava di osservare l'ambiente attorno a sé, un ambiente così freddo e ostile che sarebbe a breve diventato la sua seconda casa. In un modo o nell'altro avrebbe cercato di farselo piacere. Era o no il suo sogno lavorare in carcere come psicologa?! Per ora non trovava alcun aspetto piacevole che potesse farla sentire a proprio agio e si rassegnò all'idea che mai l'avrebbe trovato. Ma sarebbe stato proprio lì, in quel luogo minaccioso e troppo distante dalla sua quotidianità, che avrebbe incontrato qualcuno pronto a rivoluzionarle per sempre la vita, a farle sentire il ritmo autentico del cuore.

Irvy uscì dalla sua postazione e le si parò davanti facendole strada. Camminava a passo lento e pesante, quasi come un elefante che barcolla a destra e sinistra. Ad accompagnare i suoi movimenti c'era il mazzo di chiavi che fuoriusciva dalla tasca laterale la tuta. Alexis non aveva mai visto chiavi così grandi e lunghe, se non nei film dove servono ad aprire chissà quale tesoro o porta dell'orrore. Procedeva girandosi verso ogni lato per vedere cosa c'era e per cercare di memorizzare e familiarizzare col posto. Arrivarono davanti una porta d'ufficio. Nonostante fosse chiusa, provenivano diverse voci, quasi grida.

<<Ma non avevo raccomandato di togliere qualsiasi oggetto pericoloso?!>>, sbraitò una voce di un uomo che sembrava essere di mezza età. Fece seguito un pugno sul tavolo, o almeno questo percepì Alexis. In breve tempo, quel corridoio così spoglio divenne un via vai di gente che correva nella stessa direzione. Una sirena iniziò a suonare ripetutamente.

In quel trambusto Alexis non si accorse che Irvy non era più accanto a lei. Era sola, sola contro una parete fredda e con lo sguardo perso nel vuoto. Non era certo questo che si aspettava dal suo primo giorno di tirocinio. Aveva immaginato un gruppo ad accoglierla in una sala, una sua presentazione, applausi, ecc... Forse aveva sognato troppo, ma quello che stava vivendo era un incubo.

<<Non mi devo scoraggiare. D'altronde sono all'ordine del giorno questi allarmi in carcere!>>, disse a se stessa ad alta voce, come per rassicurarsi.







Spazio autrice:

Ogni posto è puramente frutto della mia fantasia.

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