13.

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<<Voglio farla finita, dottore>>, continuava a ripetere Josie con voce isterica. Era immobile. Immobile sulla brandina posta contro la parete centrale della cella. Era distante almeno cinque metri da loro, non troppi per impedire ad Alexis di notare il suo sguardo perso. Due orbite nere. Nere e profonde, che risaltavano come fari nel suo viso pallido.

<<Mi spieghi meglio>>, intervenne il dottor Russell. Fu quasi un sussurro, accompagnato da un cenno del capo, come ad invitarla a proseguire.

Alexis temette che quella voce non fosse arrivata nella cella, eppure quella figura avvolta al lenzuolo bianco si mosse. Poggiò i piedi a terra, nudi. Rimase di nuovo per un attimo immobile, come a percepire il freddo e la solidità del pavimento sotto di lei. Iniziò a camminare verso di loro, sfregandosi le braccia. Non stava tentando di darsi calore: sfregava le mani contro le cicatrici. Prima lentamente e poi sempre più forte. Compulsivamente. Sù e giù. Sù e giù. Lo sguardo di nuovo perso. I capelli appiccicati contro le guance.

<<Josie, che succede?>> Russell non abbandonò la sua sedia, ma protese leggermente il busto in avanti. <<Non sei sola, io sono qui>>, continuò alzando leggermente il tono di voce e battendo delicatamente i piedi a terra. Probabilmente aveva bisogno di farle sentire concretamente la sua presenza.

<<I miei bambini, dottore... mi hanno abbandonata.>> Il suo tono si fece improvvisamente infantile. Continuò procedendo verso di loro. Puntò i suoi occhi profondi su quelli di Alexis. Non erano più persi. Erano presenti. Terribilmente presenti e profondi, quasi da ingoiarla.

Alexis la osservò, cercando di essere il più possibile inespressiva. Quella situazione la metteva a disagio. Deglutì, sperando che Russell non si accorgesse della sua tensione.

<<Tu...>> Era sempre più vicina, a meno di un metro da lei. <<Tu hai mai pensato di mettere fine alla tua vita?>> Non era più la Josie di un attimo prima. Non era più la bambina spaventata. Con un sorriso beffardo, strinse le mani attorno alle sbarre e non distolse lo sguardo, come ad aspettare una risposta.

Ad Alexis sembrò di esser tornata al primo incontro con Josie, dove anche in quel caso aveva assunto un atteggiamento provocatorio nei suoi confronti. Erano passati circa due mesi, eppure il suo stato era lo stesso. Tensione. Tanta tensione. Non sapeva come gestire la situazione. Ma perché mai in tutti quegli anni universitari nessuno le aveva insegnato come comportarsi in quelle situazioni?! Ripensò alla domanda di Josie. No, non aveva mai pensato ad una cosa del genere. Aveva sempre avuto una vita fantastica, si sentiva amata e non aveva alcun motivo per desiderare di farla finita. Come poteva lei, una ragazza soddisfatta di tutto, comprendere lo stato di quelle persone?! Le erano bastati quei pochi mesi per dubitare di sé, del suo futuro, della sua carriera. Aveva sempre saputo cosa avrebbe voluto fare, ma forse non ne era all'altezza. Forse, la carriera di avvocato nello studio Castle...

<<Allora?!> Quella voce ricca di provocazione la riportò alla realtà. Nonostante fossero passati pochi secondi, le erano bastati per farla entrare in un turbinio di interrogativi. E una come lei, talmente razionale e calcolatrice, avrebbe avuto difficoltà a venirne fuori.

<<Josie, siamo qui per aiutare lei, non la dottoressa Castle>>, intervenne Russell. Ma la sua voce sembrò arrivare a nessuna delle due.

<<No, Josie...>> La voce di Alexis era squillante e sicura. Generò una sensazione strana perfino a se stessa. Era abituata ad assistere ai colloqui senza parlare, se non raramente. Quindi, quando aprì bocca le sembrava che la voce non fosse sua né tanto meno credeva di avere il coraggio di parlare. Eppure, continuò facendo riecheggiare le sue parole per tutto il reparto. <<Non ho mai pensato di mettere fine alla mia vita. Tu sì, non è vero?! E come pensi di fare? Lo farai qui dentro o pensi prima di scappare?>>

Lasciami travolgereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora