<<Com'è andata questa settimana, Will?>> La voce del dottor Russell era un sussurro quasi impercettibile.
Will abbassò lo sguardo e portò le mani tra i capelli, disegnando gesti confusi e scuotendo lentamente la testa. Chiuse gli occhi e continuò ad agitare il capo da una parte all'altra, a ritmo sempre più rapido. Era come se le sue mani volessero afferrare i suoi pensieri attingendo direttamente dal cervello, ma non ci riuscivano: pensieri, immagini, ricordi scorrevano troppo velocemente per essere presi. Era ormai da giorni che non riusciva a chiudere occhio perché anziché il nero del nulla avrebbe visto il rosso. Il rosso del sangue.
<<Will, mi sembra che si stia agitando. Qual è la causa?>>, intervenne Russell interrompendo quel turbinio di pensieri che stava scatenando una profonda tempesta nella mente di Will.
Quelle parole sembrarono un'àncora per lui, qualcosa a cui aggrapparsi per venire fuori dal caos. Un caos che prendeva forma nella sua testa e che non sapeva rappresentare verbalmente. Dalle sue labbra secche e rigide emersero flebilmente due parole: <<Mia madre.>>
<<Bene Will, è già qualcosa. Lo scorso venerdì è stato l'ultimo del mese, il giorno dell'incontro con sua madre, non è vero?>> La voce del terapeuta acquistò progressivamente dolcezza, probabilmente nel tentativo di arrivare a Will, distruggendo quel muro dietro cui si stava proteggendo.
<<Sì, dottore.>>
<<Le ha portato dei libri come al solito, scommetto.>>
<<Non è importante>>, controbatté Will rapidamente.
<<Mi dica lei, allora, cosa è importante.>>
<<I suoi occhi...>> Inspirò tutta l'aria che quella misera cella potesse offrirgli e strinse gli occhi. <<Erano gonfi, dottore. Il sinistro coperto interamente da un ematoma viola.>> Si alzò di scatto, facendo rimbombare il metallo della sedia che traballò sul pavimento. <<Dio...>>, esclamò alzando notevolmente il tono di voce. Alzò lo sguardo al soffitto portandosi nuovamente le mani ai capelli. Tornò poi a sedersi, senza tuttavia placare la sua agitazione. Li guardava. Guardava il dottor Russell e Alexis con lo sguardo perso. Le lacrime gli riempirono gli occhi, rendendo la vista opaca. Si morse il labbro inferiore e abbozzò un sorriso imbarazzato, come a scusarsi del suo comportamento.
Alexis rimase immobile, sperando che nessuno si accorgesse del suo respiro accelerato. La disperazione di Will aveva inglobato anche lei. Aveva di fronte a sé un detenuto, ma prima di tutto un ragazzo. Un ragazzo che le sembrò il più sensibile incontrato finora. Un ragazzo che mostrava difficoltà ad esprimere le sue emozioni, senza tuttavia riuscire a bloccarle. Non era bravo con le parole, ma le sue lacrime simbolizzavano il suo dolore. Un dolore troppo grande per essere riportato a parole. Un dolore che senza ombra di dubbio aveva a che fare con quella scena macabra, quella fotografata e registrata con cura nell'archivio. Nei due giorni passati nella mente di Alexis aveva dominato quella macchia di sangue nero e denso. Non si era fatta domande, sicura che l'incontro del mercoledì con Will le avrebbe dato delle risposte. E quelle lacrime erano già delle risposte. Quella mattina si sorprese a non aver paura di ritrovarsi di fronte a colui che aveva ucciso l'uomo al centro della pozzanghera di sangue. Avrebbe dovuto tremare, essere agiatata, fare dietrofront e correre a casa o magari svagarsi facendo shopping con Leila. Eppure era lì, seduta a pochi passi da quel ragazzo. Lo fissava: poté percepire il senso di solitudine che lo divorava, il suo essere impotente dentro una cella, il non poter godere del tempo... L'unica cosa che avrebbe voluto fare era abbattere quelle sbarre arrugginite che lo tenevano rinchiuso come se fosse una bestia violenta e asciugargli le lacrime. Ma anche lei era impotente, impotente come Will, su quella sedia dove non poteva fare nulla.
Will spostò lo sguardo su di lei, come se fosse stato accarezzato da quei pensieri e le sorrise. Sul suo volto triste quel movimento quasi impercettibile delle labbra inumidite dalle lacrime fecero sussultare il cuore di Alexis. Ti regalerò la libertà e la felicità, Will Storolow. Te lo prometto, disse a se stessa Alexis sperando che anche quest'ultimo pensiero potesse arrivargli. Non sapeva come, ma in quel preciso istante promise non solo a lui ma anche a se stessa che si sarebbe occupata della felicità di quel ragazzo.
<<Cosa pensi le sia successo?>> La voce di Russell incombé improvvisamente riportando la mente di entrambi alla realtà.
<<La solita storia, dottore>>, rispose Will con un sussurro.
<<Si spieghi meglio.>>
<<Meglio?!>> Seguì una risata di nervosismo, accompagnata da un'alzata di sguardo al nero del soffitto. <<Non le è bastato quello che è successo otto anni fa. Di nuovo. Sta con un altro lurido porco che la picchia.>> Disse le ultime parole lentamente, come per rimarcare maggiormente il suo disgusto, come confermava la sua espressione chiaramente inorridita mista a rabbia. <<Se non fossi qui dentro, gli farei fare la stessa fine a questo bastardo!>> Serrò i pugni, come a trannere dentro quella stretta tutta l'energia che si stava scatenando in lui in quel momento. <<Che c'è, dottore? E' sorpreso dalle mie parole?!>>, disse con tono provocatorio. Il suo sguardo era infuocato.
<<Continui>>, fu la risposta che si limitò a dare Russell.
<<Non sono pentito di quello che ho fatto e lo rifarei ancora>>, riprese con tono sicuro e fermo. <<Sa, ogni giorno sotto la doccia struscio la spugna con tutta la mia forza sulla pelle, quasi portandola via. Eppure, infinte docce mai riuscirebbero a portar via quel sangue che mi sento ancora addosso. Lo percepisco su di me. Appiccicoso come una seconda pelle. Indelebile. Come a ricordarmi per tutta la vitaquello che ho fatto .>> Nel suo sguardo tornò la disperazione iniziale, ogni tanto coperta dal disdegno verso se stesso. <<Solo perché ho protetto mia madre devo sentirmi colpevole a vita?!>> Quelle parole riecheggiarono per tutta la cella, sperando di trovare risposta da qualche parte. Ma ci fu solo silenzio. Nessuno poteva dare risposta, se non Will stesso accettando quello che gli era accaduto a soli vent'anni e considerandolo parte della sua vita, uno dei tanti anelli della catena e non quello iniziale che avrebbe determinato i successivi.
<<Io non sono un assassino>>, pronunciò poggiando gli occhi su quelli di Alexis, scandendo le parole una per volta. Lentamente. Sussurrando. Nel gelo di quella cella, incrementato dalle basse temperature di dicembre, Will sentì le sue guance accaldate: una lacrima seguì ogni lineamento del suo viso, per poi tuffarsi nel vuoto e atterrare sulla sua coscia, lasciando una piccola chiazza sulla tuta.
<<Lo so>>, sussurrò Alexis sorridendogli. Ora sapeva il motivo per cui era dentro e non ne era turbata. Lo aveva fatto per la madre e ciò gli faceva onore.
Mentre varcò il portone della Stanford Prison, senza rendersene conto pianse.
Piccoli fiocchi di neve iniziarono ad appoggiarsi a terra. Stese un braccio in avanti per accoglierne uno sul suo guanto di lana viola. Da quanto tempo non vedi la neve, Will?!, si ritrovò a pensare, rafforzando in sé la promessa fatta poco prima.

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Lasciami travolgere
RomanceLa vita di Alexis ha sempre seguito un ritmo costante: è una brillante studentessa di Psicologia, in procinto di affrontare il tirocinio nella Stanford Prison. Promessa sposa al ricco ingegnere Matt, è convinta di amarlo e di aver trovato chi la com...