L'aria era ghiacciata e tagliente, ma Alexis non riusciva a percepire il freddo. Avrebbe potuto prendere un taxi per arrivare a Stanford Street il prima possibile, ma preferì andare a piedi. Il suo passo era veloce tanto da diventare una corsa in alcuni momenti. Odiava correre; non lo faceva mai perché dopo poco più di un metro i polmoni sembravano non volerla assistere. Matt le aveva spiegato più volte che era tutto centrato sulla respirazione: inspirare ed espirare con un giusto ritmo, ma lei sembrava buttare solo fuori l'aria senza rifornire i polmoni. Quelle azioni spesso non le risultavano così automatiche, ma doveva rifletterci per farlo in maniera adeguata. Dunque, aveva preferito più volte rimanere a casa sul divano piuttosto che accompagnare il suo fidanzato, sempre attento alla forma fisica. Sorprendentemente il suo organismo quella sera le sembrò abituato da sempre a quegli sforzi a cui lo stava sottoponendo, come se avesse corso per tutta la vita. Le macchine sfrecciavano ai lati della strada, facendo schizzare la neve che riposava sull'asfalto, ormai divenuta scura per lo smog. Si maledisse per la sua sbadataggine dopo aver immerso un piede nella pozzanghera, ma non aveva abbastanza tempo per pulirsi: aveva promesso ad Irvy che in poco tempo sarebbe stata lì. Non sapeva nulla circa il motivo della chiamata, se non che era urgente. Quel non sapere la agitò maggiormente, portandola inconsapevolmente ad accelerare il passo. Le caviglie erano pesanti e bruciavano. Attraversò la strada senza curarsi dei semafori e in attimo si addentrò nella Hamilton Square, a pochi metri dal carcere. I clacson delle auto erano ormai un'eco spiacevole che continuava ad assordare la cittadina. La piccola piazza, la principale di Sandal, accoglieva tre o quattro locali gremiti di gente: c'era chi mangiava, chi si versava del vino, chi cantava a squarciagola tanto da esser sentito anche all'esterno... Eppure, quelle immagini che Alexis si lasciava dietro di sé mentre continuava diretta il suo percorso verso il carcere non le fecero pensare minimamente a Matt, Leila e Robert, anch'essi in un ristorante, dove li aveva lasciati senza nemmeno salutarli. Ogni suo singolo neurone stava lavorando esclusivamente attorno ad un pensiero: Will. Irvy era una donna forte, coraggiosa e mascolina nei modi, tuttavia la sua voce al telefono aveva tradito la sua agitazione. Era successo qualcosa, qualcosa di grave. Ma non riusciva ad immaginare perché su tutti gli operatori della struttura avessero chiamato lei, una semplice e anonima tirocinante.
"Will. Will... Fa che non gli sia accaduto nulla", continuava a ripetere a se stessa.
La Stanford Prison era caotica come il primo giorno in cui ci mise piede. Numerose figure, la maggior parte delle quali non aveva mai visto fino a quel momento, correvano da una parte all'altra; alcune erano al telefono, chiaramente agitate. Quell'immenso pavimento di marmo bianco sembrò roteare sotto gli occhi di Alexis. I suoni si fecero ovattati e lontani, i movimenti del personale sembravano raddoppiare di velocità. Si sentì le tempie congelate pulsare al punto da esplodere. Sospirò facendo entrare dentro di sé l'aria calda dell'edificio, nettamente in contrasto con la sua temperatura corporea, e lasciò cadere la borsa a terra. Era sfinita e confusa da tutto quel movimento. Avrebbe preferito ritornare fuori, nel gelo di dicembre.
<<Finalmente è arrivata, signorina!>> Irvy era dietro di sé, con il fiato rotto da una corsa dal piano superiore. L'uniforme blu stropicciato sulle maniche ripiegate lasciava intravedere braccia possenti tatuate qua e là. Il suo aspetto non era certo migliore del suo, o almeno di quello che credeva di avere in quel momento.
<<Cos'è successo?>> chiese immediatamente Alexis, come riapprodata nella realtà in seguito alla voce di Irvy.
<<Mi segua...>>, si limitò a dire incamminandosi dinanzi a lei. <<E' nel reparto omicidi.>>
Reparto omicidi.
O.M.I.C.I.D.I.
Quelle due parole o quelle ultime sette lettere che negli ultimi mesi associava solamente a Will... Era il reparto in cui svolgeva il tirocinio, eppure la sua mente stranamente aveva oscurato qualsiasi elemento, qualsiasi detenuto, facendo luce solo sulla cella 155. La cella in cui la sua mente era incatenata in alcuni momenti. Pensò al peggio: una lite con gli altri detenuti, forse con Maximilian; o una fuga per proteggere la madre o, ancora peggio, per uccidere il suo nuovo presunto compagno. Quell'ultima immagine aumentò notevolmente la sua angoscia.
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Lasciami travolgere
RomanceLa vita di Alexis ha sempre seguito un ritmo costante: è una brillante studentessa di Psicologia, in procinto di affrontare il tirocinio nella Stanford Prison. Promessa sposa al ricco ingegnere Matt, è convinta di amarlo e di aver trovato chi la com...