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Quando fummo tutti seduti, il treno partì con un grande tonfo che ci fece barcollare.
Io non avevo via di scampo, immobilizzata com'ero alla porta. Man mano che camminava aumentava la sua velocità, finché non si stabilizzò, e allora capii che avremmo impiegato un po' di tempo prima di arrivare in questa specie di prigione.
Erano passati pochi secondi e già il braccio mi faceva male. D'altro canto, come prima del mio tentativo di fuga, solo il pavimento freddo riusciva in qualche modo a rilassarmi.

Era come se stessi andando a fuoco e avevo bisogno di acqua fredda per evaporare ma, per il momento, solo quel pavimento mi calmava. Sentivo il calore nelle mie vene, quasi fossero sul punto di esplodere. Mi stavo per togliere il cappuccio quando mi ricordai dei miei capelli azzurri, non mi restò che sospirare e concentrarmi sui motori del veicolo che lavoravano sotto la mia pelle.

Alcuni ragazzi avevano iniziato a parlare perciò alzai lo sguardo con l'intenzione di distrarmi. Dopotutto, se quelli erano gli ultimi momenti della mia vita senza senso, non intendevo passarli nelle lacrime.
Quando sollevai lo sguardo, passai lo sguardo su ciascuno di loro, come in cerca di qualcosa e quel qualcosa era il tatuaggio che avevo io ma nessuno lo aveva, il che servì solo a confondermi di più.
Cosa mi era successo realmente?

Con mia sorpresa, poi, notai che di fronte avevo il ragazzo che prima mi aveva tanto colpito per la sua prontezza.
Si teneva la testa fra le mani come se anche lui stesse per perdere il controllo da un momento all'altro, come se stesse cercando di tirar via con la forza milioni di pensieri che lo stavano torturando.
Chissà perché, provai pena per lui vedendolo in quelle condizioni.
Stava male e, non so come, mi sentii cadere anche io nel suo turbine.
Non riuscii a distogliere lo sguardo da quella massa informe di capelli biondo cenere. Volevo rivedere i suoi occhi, accertarmi se erano davvero del colore dell'acqua cristallina. E non sapevo neanche spiegarmene il motivo.
Nonostante ciò, se ne stava lì seduto con le ciocche dei capelli che gli cascavano sulle mani chiuse a pugno con cui si teneva la fronte, esasperato.
Inaspettatamente, quasi avesse sentito il mio sguardo su di lui, alzò il volto e i suoi occhi incontrarono i miei che vagavano sul suo viso.

La sua pelle chiara decorata da alcune lentiggini sulle guance, le labbra fine che risaltavano sulla sua carnagione, le sopracciglia scure quasi nere e i suoi occhi...
Occhi dello stesso colore dell'Oceano, più scuri nei contorni e più chiari al centro.
Erano quel genere di occhi in cui perdersi e, senza che me ne rendessi conto, mi ci persi.
Anche i suoi erano incatenati nei miei leggendo chissà cosa di me.
Dopo poco, però, il suo sguardo si spostò sul mio collo trovandoci qualcosa di ancora più interessante, il che mi innervosì soltanto.
Istintivamente portai le gambe al mio petto e vi poggiai le mani nascoste nella giacca, nel tentativo di celarmi ai suoi occhi indagatori.

I suoi occhi erano capaci di scrutarmi dentro e seppur meravigliosi, non volevo essere violata.
Quasi riuscisse a sentire i miei pensieri solo con uno sguardo.
Quasi mi sentivo nuda, come se fosse inutile nascondere qualsiasi emozione o pensiero con lui, il che era strano perché non lo conoscevo. Eppure non ero in soggezione, anzi per quanto cercassi di guardare altrove mi sentivo attratta da quegli occhi, divenuti ormai delle calamite.

Mentre ero persa in quei ragionamenti, feci caso ad un suo movimento: si toccò il collo nello stesso punto in cui mi stava guardando, e allora capii. Infatti, quando abbassai lo sguardo mi accorsi che una ciocca azzurra era uscita dal cappuccio, rivelandomi agli altri. Senza alcuna esitazione, né vergogna, pacatamente sistemai il cappuccio in modo tale che tornasse tutto a posto, ma lui non era d'accordo.
Mi osservò per poco, e quello sguardo mi bruciò dentro più di quanto già non stesse facendo, per poi aprire bocca e dar fiato a quella voce che, come avevo pensato, sapeva essere anche dolce e melodiosa.

«Perchè li nascondi?» mi chiese catturando ancor di più la mia attenzione.
Non gli diedi una risposta, perché non ne avevo una. In effetti non sapevo perché li avevo coperti: non me ne vergognavo ma non volevo neanche che gli altri li vedessero, quasi potessero accorgersi di una mia debolezza.
Sì, doveva essere quello il motivo. Non volevo che gli altri mi vedessero per la mia fragilità, per il turbine che avevo dentro; dovevo apparire ferma, sicura, e non il contrario.
Già, come se fosse quello il motivo della mia fragilità, quelle parole mi vorticavano in testa ripetendosi come un eco perché erano la verità.
Mi era stata tolta la mia identità-  volontariamente o intrinsecamente, questo non lo sapevo-, ciò nonostante non mi impediva di capire quello che ero.
Perché, sì, per quanto non lo volessi e ne avessi paura, io ero scritta nella mia pelle, nelle dita che tremavano in quel momento.

WORN DOWN [In REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora