Capitolo 1

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«Andiamo, Quinn, apri la bocca.» Le comandò Rachel, il vassoio della zuppa appoggiato sul letto vicino a lei. «Non fare la bambina.»

Quinn scosse la testa, serrando forte le labbra. «Non ho bisogno del brodo.» Protestò. «Sto benissimo.»

«Il cimitero di fazzoletti nella tua stanza dice un'altra cosa.» Rispose con voce autorevole. «Ora apri la bocca.» Ripeté, sporgendosi in avanti con il cucchiaio.

Quinn voltò la testa dall'altra parte, scuotendola con veemenza. Non aveva nessuna intenzione di ingerire quella brodaglia dal colore indefinito, faticava già a sopportare quella che le preparava sua madre, figurarsi quella di Rachel, che scommetteva essere al cento per cento vegana. C'era stato un periodo della sua vita in cui l'aveva mangiato con molto appetito, quando era la sua amorevole nonna a farglielo, con il pollo e quel tocco particolare che lo rendeva meraviglioso. Quando la donna era morta, sua madre non gliel'aveva mai preparato e Quinn non si era mai più azzardata a mangiarlo.

«Nemmeno un pochettino?» Le chiese con tristezza. «Ci ho messo tanto amore e staresti molto meglio.»

Quinn scosse con risolutezza la testa, inarcando un sopracciglio per enfatizzare il concetto. Tentennò terribilmente quando vide il broncio di Rachel, cosa a cui non poteva proprio resistere.

«Non farlo.» L'ammonì, questo prima che un colpo di tosse le scuotesse il corpo, costringendola a chiudere gli occhi per il dolore al petto.

«Ma l'ho fatta con tanto amore.» Mormorò nuovamente Rachel, imbronciata. «Con il pollo! Solo per te!»

Quinn sollevò di scatto la testa. «Col pollo?» Chiese, confusa. «Tu-tu non la tocchi nemmeno la carne.»

«Stai male, Quinn!» Esclamò. «So che non mangi mai nulla se non brodo di pollo, ma nessuno te lo prepara mai ed io voglio che tu ti rimetta presto, mi manchi tanto.» Disse, abbassando lo sguardo imbarazzata.

Era quasi una settimana che non passavano un po' di tempo insieme, Rachel non le si avvicinava troppo per paura di prendersi a sua volta l'influenza e non poteva permetterlo. Aveva le prove a cui andare, la competizione era vicina e non poteva di certo lasciare che la sua gola si infiammasse, anche se questo voleva dire non accoccolarsi vicino a Quinn per farla stare meglio.

«Manifesterò con più intensità al prossimo blocco per i diritti degli animali.» Promise. «È per una buona causa, il pollo capirà o almeno sper-»

Quinn le chiuse la bocca, baciandola con passione, lasciando scivolare la lingua ad accarezzare la sua. Fortunatamente Rachel aveva appoggiato con cura il cucchiaio nel piatto, altrimenti il letto avrebbe assaggiato il suo delizioso brodo di pollo.

«Quinn! Così mi mischi la febbre, non possiamo permettercelo. Ci sono le prove del Glee, la compezio-»

«Ti amo.» Disse semplicemente Quinn con un piccolo sorriso. «Grazie di prenderti cura di me in questo modo.»

Rachel sorrise dolcemente, accarezzandole la guancia con la punta delle dita, notando quanto il suo viso fosse stanco per la febbre che non la lasciava libera da giorni.

«È il mio dovere.» Le rispose infine, baciandola dolcemente. «E non lo devi mangiare se non ti va.» Le mormorò sulle labbra. «Ho anche paura che non sia il massimo.» Ammise. «Non l'ho mai cucinato a dire il vero.»

«Sarà perfetto.» La rassicurò Quinn. «Lo sarà perché me l'hai preparato tu. Avanti, fammi assaggiare.»

Rachel sorrise, contenta, ed afferrò nuovamente il cucchiaio, prendendo con attenzione la porzione di brodo, prima di sollevarlo verso la bocca, già aperta ed in attesa, di Quinn.

«Mhmm...» Mormorò in estasi, lasciando scivolare il liquido lungo la sua gola. «È buonissimo.»

«Davvero?» Domandò Rachel con gli occhi luccicanti. «Devi dirmelo se non ti piace.»

«È divino.»

«Sul serio?»

«Sul serio.»

«Ma-»

Nuovamente Quinn fermò la frase con le sue labbra.



La luce che filtrava debolmente dalla finestra la costrinse a battere un paio di volte le palpebre, cercando di abituare gli occhi a quell'invasione improvvisa. L'aria nella stanza era calda ed opprimente, la coperta drappeggiata sul suo corpo le pungeva terribilmente ed aveva sete.

Insomma aveva avuto risvegli decisamente migliori.

Si guardò intorno, cercando di capire dove si trovasse e sperando che quello che ricordava fosse solo un brutto sogno, ma quando vide l'ago della flebo attaccato al suo braccio ed il lungo cavo che collegava un telecomando alla corrente, capì che sì, si trovava in ospedale.

"Telecomando?" Pensò. "L'infermiera! Avanti, chiama l'infermiera!"

Si sporse dal letto, cercando di afferrarlo, ma senza successo e dovette chiudere di nuovo gli occhi perché un dolore sordo le attraversò il cervello. Le scoppiava la testa. Sembrava che qualcuno, all'interno dei suoi lobi, stesse facendo rumore con un martello di dimensioni esponenziali. Non si diede per vinta, aveva bisogno di bere, di qualcosa per la testa e decisamente di spiegazioni.

Ma non ci riuscì.

Dopo qualche altro vano tentativo, si lasciò di nuovo andare contro il cuscino e lacrime di frustrazione presero ad inumidirle gli occhi. Era tutto inutile e si sentiva completamente spaesata, senza via d'uscita.

Strinse forte gli occhi e le mani lungo i fianchi, cercando di non gemere di dolore quando l'ago che aveva nel braccio si tese pericolosamente. Sobbalzò di spavento quando sentì delle voci nel corridoio e la porta si aprì lentamente, attirando la sua attenzione.

«Kurt...» Mormorò con gli occhi lucidi. «Oh, Kurt...»

«Ciao, Rach.»

Il ragazzo le sorrise dolcemente, avanzando nella stanza e Rachel non poté non notare il bambino che gli stringeva forte la mano. Aveva meravigliosi capelli biondi che incorniciavano un visino intelligente, sul quale spiccavano un piccolo nasino e dei bellissimi occhi azzurri.

Rachel si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia nel vederlo, perché Kurt non le aveva mai detto di aver un cuginetto e, cosa più importante, come erano acconciati i suoi capelli? Vide il bambino lasciare la mano del suo amico e trotterellare – Rachel poteva giurare di averlo visto trotterellare – verso il suo letto, sorridendo.

«Stai bene?» Domandò il piccolino con preoccupazione. «Mamma ha detto che hai preso una botta in testa.»

Rachel lo osservò con le sopracciglia aggrottate, chiedendosi come mai le stesse parlando con tale familiarità, nonostante lei non lo conoscesse affatto. Alzò gli occhi verso Kurt e vide il ragazzo – che sembrava, però, così adulto – accarezzargli dolcemente i capelli, scostandolo gentilmente dal letto.

«Levi, non tutte queste domande.» L'ammonì Kurt. «Mamma ti ha detto che potevi entrare se stavi in silenzio.»

«Si, zio.» Borbottò Levi. «Scusa.» Le disse timidamente, prima di correre a sedersi su una delle poltroncine vicino alla finestra.

Kurt prese posto al bordo del letto e le sorrise dolcemente, prima di sporgersi per sistemarle una ciocca di capelli ribelle.

«Come ti senti?» Le domandò.

Rachel lo fissò per un lungo momento, le sopracciglia aggrottate, mille interrogativi nella mente e la confusione che non accennava a dileguarsi.

Chi era quel bambino? Perché era in ospedale? E per Mosè, per quale motivo aveva così tanta sete?

Ma fra tutte quelle, la domanda che serpeggiò fuori dalla sue labbra fu decisamente un'altra:

«Perché hai i capelli così?»


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