Capitolo 10

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Quinn giocherellò con il cucchiaino che aveva fra le dita, guardando la sua tua tazza di caffè in cerca di quel supporto che la sua migliore amica non sembrava intenzionata a darle.

Dopo aver riportato Rachel a casa ed averle assicurato che sarebbe tornata presto e che non era intenzionata ad abbandonarla, era corsa a casa Lopez-Pierce.

Alla porta l'aveva accolta una piuttosto assonnata Brittany e non aveva potuto fare a meno di sentirsi un po' in colpa per quell'incursione in tarda serata. Avrebbe dovuto immaginare che le sue amiche avevano piani che non la includevano, ma quando vide la piccola Christine sgambettare alle sue spalle, inseguita da James, aveva tirato un sospiro di sollievo. Non poteva creare più disturbo di quanto non stessero già facendo quei due.

Brittany l'aveva accolta a braccia aperte, mentre Santana aveva inizialmente avuto da ridire, prima che la moglie la mandasse a rimettere a letto i bambini, mentre le aveva preparato il caffè.

Quando i bambini si erano addormentati, Santana era tornata in salotto, si era seduta affianco a Quinn con aria accusatoria e non le era servito altro per farsi raccontare tutto.

L'aria accusatoria si era trasformata in tono accusatorio prima che Quinn se ne potesse render conto.

«Dimmi che non hai sul serio fatto quella sfuriata.» Si lamentò Santana, scuotendo la testa.

Quinn non rispose, non ne aveva bisogno, continuò a giocherellare con il cucchiaino, evitando lo sguardo delle sue amiche.

«Oh Quinn...» Mormorò Brittany, scuotendo la testa.

«Cosa avrei dovuto fare?» Chiese, alzando improvvisamente lo sguardo. «Avrei dovuto semplicemente far finta di nulla?»

«Avresti dovuto usare un po' più di tatto!» Ringhiò Santana.

«Ha parlato la regina del tatto!» Protestò Quinn sulla difensiva.

«Oh, non spostare l'attenzione su di me, Fabray. Non sono stata io a terrorizzare la nanerottola.»

Quinn sospirò profondamente. «Okay, ammetto che non è stata una delle migliori mosse di sempre, ma lo sapete come sono quando esplodo.»

«Se tu ne parlassi con qualcuno invece di tenere tutto dentro, non succederebbero queste cose.» Si intromise Brittany, la voce della ragione.

«È esattamente il motivo per cui sono qui!» Rispose con un tono alquanto esasperato.

Santana e Brittany sapevano come peggiorare la situazione.

«Quando ormai il danno è fatto?» Chiese Santana, sprezzante. «Come la volta scorsa?»

«La volta scorsa?» Chiese Quinn. La confusione la faceva da padrona sul suo volto.

«La volta della consulenza prematrimoniale.» Sbuffò Santana bevendo un lungo sorso di tè.

Senza dire una parola Quinn abbassò nuovamente lo sguardo sulla tazza con un'aria colpevole che, però, Brittany non colse.

«Intende la volta in cui Rachel ti trascinò a quella ridicola seduta con quella donna sgradevole e tu perdesti la testa.» Spiegò candidamente.

«Credo che abbia capito, Britt.» La informò.

****

Era stata la serata più pesante della sua vita e Quinn non aveva fatto altro che desiderare di infilarsi nel letto e dormire.

Rachel però non era stata dello stesso avviso.

Erano appena rientrate in casa e Quinn pensava di aver trovato finalmente pace quando Rachel aveva deciso di metterla alle strette.

Non le era bastato trascinarla ad una consulenza prematrimoniale senza il suo consenso.

Non le era bastato fare comunella con quella... Come si chiamava? Cindy? Mindy? Mandy! Si chiamava Mandy!

Non le era bastato ridicolizzarla.

«Lascia che te lo dica, Quinn: il tuo comportamento stasera è stato semplicemente inaccettabile. Ti sei resa davvero sgradevole nei confronti della povera Tiffany!»

Tiffany! Sapeva che era uno di quei nomi pacchiani!

«Sgradevole?» Chiese retorica. «Non voler rispondere alle domande, cercando di preservare la mia privacy, vuol dire rendersi sgradevole?»

«In un contesto nel quale, in teoria, avresti dovuto aprirti, sì, Quinn, sei risultata particolarmente sgradevole!» Le fece notare Rachel, sistemando il cappotto sull'appendiabiti.

Quinn prese un profondo respiro e appese a sua volta il cappotto, prima di chiudere la porta a doppia mandata appoggiando le chiavi sul mobiletto all'entrata.

«In un posto in cui non volevo essere.»

«E ancora non ne comprendo il motivo...»

Quinn fece qualche passo verso la cucina. «Non hai nemmeno chiesto cosa ne pensassi, mi ci hai trascinata e basta.» Le fece notare, evitando palesemente la sua domanda.

«Perché credevo sarebbe stato positivo per il nostro rapporto.» Puntualizzò, seguendola. «E, per inciso, sembro essere l'unica a preoccuparsi della nostra futura vita di coppia.»

Quinn si bloccò davanti al frigorifero e si voltò a guardarla. «Questo cosa vorrebbe dire?»

«Esattamente quello che pensi.» Rispose, mentre iniziava a preparare una tisana. «Non sembri interessata al nostro futuro. A dirla tutta non sembri affatto disposta a permettermi di conoscerti appieno! Alle rose o ai frutti di bosco?» Chiese poi, valutando il contenuto delle scatole.

«Non c'è bisogno di una sconosciuta perché tu possa conoscermi, Rach.» Rispose Quinn. «Non voglio che nessuno di estraneo si intrometta nella mia vita. Frutti di bosco.»

«Vorrei solo che tu capissi che Tiff potrebbe aiutarci. È il suo lavoro, Quinn!»

«Tiff?» Chiese alzando un sopracciglio. «Da quando sei così in confidenza con lei? E per di più aiutarci in cosa? Stiamo insieme da anni, la nostra relazione è stabile!»

«È stabile nei limiti di una relazione di coppia senza gli impegni che comporta il matrimonio. Tiff potrebbe aiutarci in questo se solo decidessi di collaborare!» Le fece presente, porgendole la tazza di tè. «E ho il permesso di chiamarla così dal momento che ci siamo sentite più volte per concordare gli appuntamenti. Onestamente non comprendo il motivo della tua antipatia nei suoi confronti.»

Quinn strinse la mascella e contò fino a dieci, cercando di calmare la rabbia che stava montando dentro di lei.

«È un'impicciona.» Disse infine.

«Deve per forza farti delle domande sulla tua vita se vuole aiutarci in qualche modo! E fidati, almeno lei lo vuole!»

«Non voglio parlare della mia vita!» Gridò, esasperata, Quinn, battendo una mano sull'isola della cucina. «Non voglio che un'estranea mi chieda di mio padre, della mia infanzia e di tutte quelle cose che mi sono lasciata alle mie spalle molto tempo fa!»

La tazza che Rachel aveva fra le mani si infranse contro il pavimento della cucina, portandosi dietro l'eco delle urla di Quinn. Il liquido che era al suo interno fece in fretta a propagarsi sul suolo, ad esso avrebbero potuto unirsi le lacrime di Rachel se non () avesse deciso di trattenerle con tutte le sue forze.

«Perché deve essere tutto così maledettamente difficile con te?» Chiese Rachel con la disperazione a bruciarle la gola.

Quinn si passò una mano sul volto. «Perché invece per te è tutto così semplice?» Chiese retorica. «Non sono tutti come te, Rachel. Non hanno avuto tutti la tua vita, non tutti erano chiusi in una bolla d'amore e affetto!» Continuò imperterrita.

«Hai ragione! È ovvio che tu sia stata e sia tutt'ora rinchiusa in una bolla di impazienza ed intolleranza!» Rispose con la rabbia negli occhi.

«Sono stata fin troppo paziente Rachel, credimi! Ho resistito alla tentazione di andarmene e lasciarti con quella strizzacervelli da quattro soldi e, a dirla tutta, proprio ora mi sto trattenendo dal dire qualcosa che, puoi credermi, non ti piacerebbe affatto!»

«Davvero??» Disse sprezzante. «Me ne meraviglio visto che non fai altro che escludermi dalla tua vita! Forza Quinn, dimmi quello che ti tieni dentro, avanti!»

«Oh, non costringermi, Rachel!» La mise in guardia, con un'espressione che non prometteva nulla di buono. Nei suoi occhi bruciava un fuoco di pura rabbia, che, nonostante tutto, avrebbe preferito non far divampare.

«Oh, non ci provare, Fabray! Non ci provare neanche!» Esclamò Rachel. «Sono stufa di questo comportamento, come pretendi di voler costruire qualcosa insieme se ogni volta che abbiamo un diverbio non fai altro che tenermi a distanza?!»

«Rachel, davvero, basta così!»

«Lo voglio sapere!»

A quel punto Quinn esplose, non riuscendo più a trattenersi.

«Non sei cresciuta affatto, Rachel! Il tempo passa ma tu riesci ad innervosirmi esattamente come quell'egoista diciassettenne che eri al liceo!»

Fredda. Forte. Impetuosa.

Se Quinn avesse dovuto scegliere tre parole per descrivere la mano che si era appena schiantata contro la sua guancia, sarebbero state sicuramente quelle.

Quello fu il suo primo pensiero quando realizzò che Rachel Berry, la sua futura moglie, l'aveva appena schiaffeggiata.

Il secondo fu che se l'era decisamente meritato.


****

Quel ricordo nella mente di Quinn era indelebile, un altro avvenimento che aveva aggiunto alla lunga lista di cose da farsi perdonare.

Beh, quelle parole erano state forti e, nella rabbia del momento, erano sgusciate dalle sue labbra senza che potesse fermarle. Non se le meritava e lo sapeva fin troppo bene, nonostante Rachel talvolta si fosse comportata in modo un po' infantile.

Che fossero state vere o meno all'epoca, non aveva più importanza, visto che in quel momento, Rachel aveva davvero diciassette anni.

«Alla fine è tornata davvero quella Rachel.» Mormorò piano.

«Non per suo volere.» Le fece notare Santana. «Sembra che tu l'abbia dimenticato.»

«Non l'ho dimenticato.» Mormorò Quinn. «Non so più cosa fare.» Confessò.

«Per cominciare finisci la tua tazza di tè.» Rispose Santana con una calma che quasi sorprese Quinn. Quasi. Perché, conoscendo la sua amica, non sarebbe durata a lungo. «Dopodiché porta il tuo culo fuori da casa mia perché, prima di tutto, le tue cazzate stanno sottraendo a me e Brittany del tempo che potremmo impegnare decisamente meglio ma, soprattutto, è tardi e, se conosco bene mini-Berry, starà guardando uno di quei suoi musical melensi per ingannare il tempo e non ci penserà due volte a chiamare l'FBI se non farai ritornò a casa prima dei titoli di coda.»

«Come posso presentarmi da lei dopo quello che ho detto?» Bofonchiò con disperazione.

«Beh, non avrai mica intenzione di rimanere qui tutta la notte?» Chiese, seccata, Santana, guadagnandosi in piccolo schiaffetto sul braccio dalla moglie.

«Devi tornare da Rachel.» Disse Brittany. «Va' da lei e parlarle, cerca di spiegarti e chiedile scusa. Andrà tutto bene.»

«Ne sei sicura?» Chiese Quinn con titubanza. Nonostante tutto, Brittany non aveva alcun torto: si era sempre rifiutata di parlare davvero con Rachel e questo non aveva fatto altro che lacerarle. Immaginava che tentare, per una volta, di non intraprendere la via del silenzio avrebbe aiutato a risanare la situazione.

«Sono più che certa che Rachel ti ascolterà.»

«Ti suggerisco di seguire il consiglio se non vuoi dormire sul mio divano.» Si intromise ancora una volta Santana, facendo libero sfoggio del suo cinismo e della sua ironia. Non ne poteva davvero più delle lagne di Quinn. Non a quell'ora. Non di venerdì.

«Avete una camera per gli ospiti!» Le fece notare Quinn.

«Appunto, Fabray: non ho alcuna intenzione di ospitarti!»

****

Quinn osservò per un momento la porta d'entrata, poi dopo aver preso un profondo respiro, infilò le chiavi nella toppa e si fece forza.

Pensava di essere pronta. Nonostante la paura che le attanagliava lo stomaco, pensava di essere pronta ad affrontare Rachel.

Si sbagliava di grosso.

La scena che le si presentò davanti agli occhi, una volta che ebbe attraversato l'ingresso e fu giunta nel salotto, le spezzò il cuore in due.

Rachel era raggomitolata sul loro divano, stringeva un cuscino con forza, guardando la televisione e piangendo disperata.

Il suo corpo era scosso da singhiozzi e, anche da quell'angolazione, Quinn poteva vedere i suoi occhi rossi e le sue grosse lacrime percorrerle le guance.

Non poteva credere di essere l'artefice di tutto quel dolore. Sapere di essere la causa delle lacrime di Rachel era come ricevere una pugnalata nello stomaco e pian piano una sensazione di nausea iniziò a farsi strada in lei.

Con cautela fece qualche passo verso il centro della stanza. Con gli anni aveva imparato che, in quei momenti, Rachel aveva bisogno di non sentire minacciati i suoi spazi.

«Rachel... Amore...» Non voleva spaventarla ulteriormente, ma le parole le uscirono di bocca prima che se ne accorgesse e la vide sobbalzare, sorpresa della sua presenza.

Rachel la fissò intensamente e si asciugò le lacrime col palmo della mano, cercando di darsi contegno, senza evidente successo.

«Sei tornata...» Mormorò.

«Te l'avevo detto che sarei tornata presto.» Rispose avvicinandosi, ora velocemente, a lei. Si sedette sul divano al suo fianco e le mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio per poi asciugarle una lacrima capricciosa con il pollice. «Mi dispiace, Rachel... Non volevo... Non volevo che tu ti disperassi in questo modo.»

Rachel scosse la testa, ma non rispose, lanciò uno sguardo al televisore e un'altra ondata di disperazione la colse.

A quel punto Quinn aggrottò la fronte e seguì il suo sguardo, alzando un sopracciglio.

«Non posso crederci...» Mormorò mentre i suoi occhi indugiavano sulla figura di Clark Gable che aveva appena pronunciato le parole più famose della storia del cinema. Chiuse gli occhi e scosse la testa prima di portarsi una mano sulla fronte. «Le lacrime... Le lacrime sono per "Via col vento", vero?»

Rachel cercò di ricomparsi. «In parte...» Mormorò. «Io ho immaginato te ch-che dicevi quella frase e te ne andavi p-per sempre.» Non riuscì a fermarsi e un grosso singhiozzo le scosse il corpo.

«Rachel, ascoltami...» Iniziò Quinn, afferrando il telecomando e spegnendo la tv.

«Ma-» Provò a protestare Rachel.

«Ascoltami!» Le ordinò Quinn, per poi voltarsi maggiormente verso di lei e stringere le mani di Rachel nelle sue. Fortunatamente sembrò bastare ad attirare l'attenzione di sua moglie. «Io non ti abbandonerò. Non ho alcuna intenzione di farlo, quindi, per favore, togliti questa assurda paura dalla mente. Abbiamo avuto una semplice discussione, nulla che non si possa risolvere. Ok?»

«Davvero? Lo giuri?»

Sembrava assurdo, ma Rachel aveva imparato ad accettare quella sua vita così diversa da quella che si era prefissata, e adesso non l'avrebbe cambiata per nulla al mondo. Non avrebbe fatto a meno di Levi e delle sue chiacchiere, né del pianto e delle risate di Charlotte, e più di tutto non avrebbe rinunciato a Quinn e al suo sorriso.

«Lo giuro.» Rispose senza batter ciglio. «Ma devi iniziare davvero a fidarti di me. Ho bisogno di sapere cosa ti passa per la testa, se c'è qualcosa che ti affligge e, soprattutto, ho bisogno che tu mi dica quando hai l'impressione di ricordare qualcosa.» Il suo tono era fermo, ma tentò di pronunciare quelle parole con più dolcezza possibile. A quel tentativo contribuì anche il suo pollice, che, con attenzione, disegnava dei piccoli cerchi sul dorso della mano di Rachel. «Voglio davvero aiutarti a superare tutti questi traumi, ma ho bisogno che anche tu sia disposta ad aiutare me, perché è difficile, Rachel, è maledettamente difficile ricostruire tutto. Devi volerlo anche tu, devi volerlo soprattutto tu.»

«Lo voglio anch'io.» Rispose Rachel, osservando le loro mani che si univano perfettamente. «Lo voglio e ti chiedo scusa per quello che ho detto, mi dispiace tanto e prometto che mi aprirò di più con te.»

Finalmente Quinn si lasciò andare ad un sorriso sincero. Non lo credeva possibile, ma i consigli di Santana erano stati davvero utili. Ovviamente non l'avrebbe mai ammesso davanti a lei: quando poteva si risparmiava con piacere gli exploit di megalomania di Santana Lopez. Si sarebbe limitata a ringraziarla mentalmente.

«Mi spiace aver rovinato la nostra serata.» Mormorò, abbassando lo sguardo con aria colpevole. «Stava andando tutto così bene...»

«È stata perfetta.» La tranquillizzò Rachel. «Ho esagerato a mia volta e spero che potremo ripeterla, magari con un altro finale.»

Le sopracciglia di Quinn si aggrottarono di colpo e le sue palpebre presero a battere furiosamente.

Possibile che-?

Quello che era appena uscito dalle labbra di Rachel era davvero un doppio senso?

Ci pensò qualche istante, ma, a giudicare dall'espressione confusa sul volto di sua moglie, era decisamente probabile che non si fosse neanche accorta di quanto fraintendibili potessero essere le sue parole.

Nonostante questo, non riuscì a trattenere una risatina a labbra serrate.

Rachel spalancò la bocca e le sue guance si colorarono immediatamente di rosso, rendendosi conto di quello che sua moglie aveva capito.

«Non intendevo quello!» Mise subito in chiaro. «Parlavo del non litigare... Oddio.» Mormorò, rifugiandosi dietro al cuscino del divano come a volersi proteggere dal suo sguardo.

La cristallina risata di Quinn aveva atteso troppo a lungo per non esplodere all'improvviso quando vide le gote di Rachel arrossire come non avveniva da tempo. Poteva giurare che, in quel momento, dietro quel cuscino, sua moglie fosse incredibilmente indignata per il fatto che stesse ridendo, ma anche tanto, tanto a disagio.

In qualche modo, dunque, riuscì a contenere le risa e strinse le labbra, tentando di cancellare anche il sorriso che però, impertinente, rimaneva sul suo volto. Allungò una mano verso il cuscino che Rachel teneva ancora premuto sul suo viso e senza pensarci due volte lo spostò, rivelando un volto ancora troppo rosso.

«Stavo solo scherzando, tesoro.» La rassicurò, rimpossessandosi di una delle sue mani. «Va tutto bene.»

«Non va affatto bene!» Protestò Rachel, tentando inutilmente di ricomporsi.

«Va tutto bene dal momento che sei bellissima quando sei in imbarazzo.»

Rachel non poté non arrossire di nuovo, questa volta non per l'imbarazzo, ma per quel complimento inaspettato, non era la prima volta che Quinn glielo diceva, ma come tutte le volte, questo la lasciava spiazzata e piacevolmente sorpresa.

«Non ho mai capito come tu faccia a trovarmi bella... Sono così... ordinaria.» Mormorò.

Una nuova risata scoppiò nella gola di Quinn, questa volta accompagnata da un'espressione sconcertata. Rachel si era davvero appena definita "ordinaria"? Rachel Berry?

«Come puoi pensare una cosa del genere? Ogni singola particella del tuo essere grida all'unicità. Sei la persona più speciale che conosca. Tu brilli di una luce abbagliante... Ed io non ti trovo bella, Rachel, ti trovo meravigliosa.» Le confessò, guardandola dritto negli occhi.

Rachel la fissò per un lungo momento, notando la veridicità di quelle parole nei suoi meravigliosi occhi verdi e sorrise, poi, senza pensarci due volte, si sporse verso di lei a suggellare la pace ritrovata. Quinn le passò le mani intorno alla vita e la strinse a sé, facendo scivolare la lingua sul contorno della sua bocca, perdendosi in quel sapore che tanto amava.

La sua bocca catturò quella di Rachel in un bacio lento, misurato, ma intenso, fatto di labbra morbide, piene, e di lingue che scivolavano l'una sull'altra in una dolce battaglia.

Rachel trattenne il fiato, ma i pensieri, quelli erano impossibili da trattenere e, oh... Le stavano suggerendo cose che non avrebbe mai ripetuto ad alta voce.

Non avrebbe mai creduto di poterlo pensare, ma, Dio, Quinn Fabray era una gran baciatrice!

****

L'ospedale era ghermito di gente, che pazientemente attendeva il suo turno per essere visitata. Il via vai di persone lungo il corridoio, rendeva l'attesa un po' più tollerabile lasciando intendere che i medici si stavano dando da fare col loro lavoro.

Quinn era seduta comodamente su una delle sedie di plastica, leggendo alcuni fogli che la ragazza alla reception le aveva consegnato.

Sentì Levi, al suo fianco, tirare su con il naso, ma non si voltò neanche per un istante, stringendo la mano di Rachel quando l'avvertì muoversi sulla sedia accanto alla sua. Non voleva che Levi l'avesse sempre vinta.

Quella mattina erano state svegliata dalla baldoria che il bambino aveva deciso di fare e solo allora si erano accorte di essersi addormentate sul divano, l'una tra le braccia dell'altra, e che, per giunta, era incredibilmente tardi. Fortunatamente Judy era intervenuta in loro aiuto e aveva pensato bene di preparare i bambini e riportarli lei stessa a casa.

Ma i problemi si erano ripresentati quando Levi aveva deciso di fare i capricci, inventando scuse davvero improponibili per evitare la visita oculistica a cui doveva sottoporsi. Alla fine Quinn aveva deciso deciso di puntare a quello che sapeva essere un punto debole di suo figlio, ricordandogli che all'ospedale lavorava anche il suo amato dottor Smythe. Nonostante questo, però, Levi non sembrava voler perder l'occasione di mettere in mostra le sue qualità drammatiche.

"Degno figlio di sua madre..." Non poté evitare di pensare Quinn.

«Non sopporto di vederlo piangere...» Mormorò Rachel all'indirizzo di sua moglie.

«È tutta scena, Rachel.» Rispose Quinn. «Deve imparare che non tutto va come vuole lui, deve fare questa visita e la farà, melodrammi o non melodrammi.»

Rachel si morse il labbro inferiore, indecisa sul da farsi. Sapeva che Quinn aveva ragione e, a dirla tutta, non era minimamente intenzionata a contraddirla, non quando aveva le labbra arricciate, la fronte corrugata e quella postura forzata. Ma ogni singhiozzo di Levi era un colpo al cuore.

«Smettila, Rachel. Più lo guardi, peggio ti sentirai.» La mise in guardia Quinn con tono distratto mentre continuava a sfogliare le pagine.

Rachel allora distolse lo sguardo e lo puntò sulle persone in sala, sperando che il medico li chiamasse a breve, non aveva più voglia di aspettare il loro turno.

«È che continua a singhiozzare...» Sussurrò, sporgendosi leggermente verso Quinn.

«Sì, ti consiglio di non ascoltare troppo attentamente, ha lo stesso effetto del canto delle sirene per i marinai.» Ironizzò Quinn, chiudendo la rivista, ma continuando a mantenere quell'atteggiamento disinteressato.

«Come fai?» Le chiese Rachel con curiosità. «Io sto per sciogliermi in un mucchietto di polvere, chiedendogli di perdonarmi per averlo fatto piangere.» Le disse sottovoce con il chiaro intento di non farsi sentire dal bambino.

«Anni e anni di allenamento.» Le spiegò Quinn. «Si da il caso che il piccolino qui abbia l'attitudine alla diva, proprio come la qui presente mamma R.» Continuò con un sorriso, osservando la faccia allibita di Rachel a quell'insinuazione. «Ho imparato a combattere te, posso farlo benissimo anche con quel furbetto.»

Rachel sospirò, triste, all'ennesimo lamento di Levi.

Diamine, se davvero era tutta una recita, doveva ammettere che il piccolo era davvero bravo!

Ok, magari non era il caso di esserne così fiera.

Si guardò le unghie con finto interesse, prima di prendere un grosso sospiro e proporre: «Una cioccolata calda. Solo una cioccolata calda al distributore per farlo smettere di piangere.»

Quinn scosse la testa negativamente. «No, Rachel, so che posso sembrare dura, ma ha bisogno di capire che le cose nella vita non andranno sempre come lui spera.»

«Ma è solo un bimbo...» Commentò Rachel, mettendo il broncio.

Quinn distolse lo sguardo, perché anche se stava provando a fare la dura, i lamenti del piccolo Levi avevano un effetto devastante anche su di lei, se in più si aggiungeva il broncio di Rachel a completare l'opera, poteva benissimo gettare la spugna.

Rachel però non sembrava voler demordere, anche se Quinn stava accuratamente evitando di far cadere lo sguardo sul suo broncio.

Quando si mettevano di impegno, quei due, sapevano come estenuarla.

Pochi istanti passarono prima che Quinn lanciasse gli occhi al cielo e si lasciasse andare ad un ringhio frustrato. «Passami la borsa.» Ordinò a Rachel, lanciandole un'occhiataccia che invece di intimorirla la fece sorridere.

Rachel le passò la borsa con un sorriso sulle labbra e la vide tirare fuori il portafoglio, mettendole qualche moneta nel palmo della mano.

«Vuoi qualcosa?» Le chiese Rachel.

«Penso che seguirò l'esempio del leoncino e prenderò una cioccolata.»

Rachel si sporse verso di lei e le diede un dolce bacio sulla guancia. «Grazie.» Mormorò prima di alzarsi in piedi, rivolgendosi al piccolino che, imbronciato, con gli occhi lucidi e delle finte lacrime, se ne stava seduto poco distante da lei. «Vieni tesoro, andiamo a prenderci una cioccolata.»

Senza pensarci due volte Levi si alzò con un piccolo balzo, afferrò la mano di Rachel e concesse a Quinn uno sguardo dispiaciuto. Dal canto suo, Quinn lo guardò con scetticismo, poteva giurare di aver visto sul volto di suo figlio un sorriso trionfante non appena Rachel aveva menzionato la cioccolata.

Ovviamente non appena ebbero girato l'angolo, la porta dello studio si aprì, rivelando il dottore, che, per ironia della sorte, annunciò che il loro turno era arrivato.

"Dannata cioccolata!" Aveva pensato Quinn, prima di scusarsi con l'oculista, afferrare il passeggino e allontanarsi per recuperare sua moglie e suo figlio.

Fortunatamente Rachel non era ancora giunta all'aria ristoro e Quinn allungò il passo per affiancarsi a lei, fermando così la sua avanzata.

«Tocca a noi.» Disse trafelata. «Dobbiamo tornare, prima che qualcuno inizi a lamentarsi e ci costringa a prendere un altro appuntamento.»

«Ma la cioccolata...» Mormorò Levi.

«La prendiamo appena il medico finirà con la visita.» Lo rassicurò Rachel, facendogli una carezza.

Stranamente Levi sembrò darle ascolto e si limitò ad abbassare il capo, forse un po' deluso.

«Andiamo, piccolo.» Questa volta fu Quinn ad offrirgli la mano, che il bambino accettò di buon grado.

Entrambe tirarono un sospiro di sollievo al pensiero che il loro appuntamento non sarebbe stato cancellato, ma si pietrificarono davanti all'ultima cosa che si aspettavano di vedere.

Rachel avrebbe volentieri fatto a meno di quella vista e probabilmente anche sua moglie. Voleva bene al suo amico, ma decisamente avrebbe preferito che la sua vita sessuale rimanesse privata.

«Zio!» Esclamò Levi non appena si vide comparire davanti agli occhi la figura di Kurt.

Probabilmente, se fosse stata maggiormente in sé e meno sconcertata da ciò che stava guardando, avrebbe pensato di poter utilizzare quell'episodio come forma di ricatto verso il suo amico per una vita intera: una parte della sua camicia penzolava fuori dai pantaloni, abbottonati in maniera frettolosa, il colletto, che Kurt stava provvedendo a riabbottonare, lasciava scoperta una porzione di collo sufficiente a far intravedere dei marchi inconfondibili e i cappelli... Dio, quei capelli erano un disastro!

«Levi!» Sul volto di Kurt vi era evidente sorpresa e immediatamente i suoi occhi corsero alle due donne che lo stavano guardando. «Anche voi qui? Che splendida sorpresa.»

«Santana morirà di invidia quando glielo racconterò!» Esclamò Quinn, pregustando già la reazione dell'amica.

«Anche tu avevi bisogno del dottore?» Chiese candidamente Levi.

«Sì, tesoro, decisamente lo zio aveva bisogno del dottore.»

Levi si imbronciò. «Perché? Stai male?»

«Sì!» Rispose Kurt senza rifletterci neanche un istante. «Avevo... Avevo un problemino.»

«Sono sicura che Sebastian l'abbia risolto...» Mormorò Quinn, non accennando minimamente ad abbandonare il ghigno sul suo volto.

Kurt gli lanciò uno sguardo inceneritore, ma non prestò attenzione agli occhi di Levi che si illuminarono al suono di quel nome.

«Il dottor Sebastian é qui?» Chiese felice.

«Sì, tesoro... Ti avevamo promesso che l'avresti salutato una volta finita la visita.» Gli ricordò Quinn per poi riportare lo sguardo su Kurt e tornare a sfoggiare lo stesso sorriso di poco prima. «E lo zio voleva assicurarsi che non scappasse via...»

«Dov'è?» Chiese Levi guardandosi intorno.

«È nel suo studio.» Rispose Quinn. «Dobbiamo andare altrimenti-»

«Voglio vederlo.» Si imbronciò il bambino.

«Non possiamo, Levi...» Gli fece presente Quinn, tentando di non perdere la calma. «Perderemo il nostro turno.»

«Io non voglio quel dottore brutto! Io voglio Sebastian!» Urlò Levi, stringendo gli occhietti e battendo il piedino a terra.

Levi si pentì immediatamente di quell'urlo, sopratutto quando vide lo sguardo arrabbiato di Quinn.

«Kurt, hai dimenticato la giac-»

La porta alle spalle di Kurt si aprì di colpo, rivelando un Sebastian in condizioni niente affatto migliori rispetto a quelle dell'altro ragazzo.

«Dottore!» Esclamò Levi, ora nuovamente euforico.

Sebastian si bloccò per un secondo, prima di registrare chi si trovava davanti.

«Campione!» Esclamò con un sorriso. «Cosa ci fai qui?»

«Ha una visita oculistica.» Lo informò Rachel dopo essersi ripresa. Quelle sorprese da parte di Kurt stavano diventando davvero fuori luogo...

«Già, circa 10 minuti fa.» Continuò Quinn, ormai rassegnatasi al fatto che sarebbero dovuti tornare un altro giorno e che questo avrebbe comportato ulteriori capricci da parte di Levi.

«Vuoi venire con me?» Chiese Levi con occhi imploranti. «Non voglio che un dottore cattivo...»

Sebastian rise piano, interrompendo il lamento del bambino sul nascere.

«Levi, Sebastian sta lavorando, non può-»

«Non c'è bisogno di chiedermelo con quel faccino triste.» Disse il dottore, abbassandosi sulle ginocchia per arrivare all'altezza di Levi. «Sarò felice di accompagnarti e assicurarmi che il dottore tratti bene il mio campione.»

Sebastian sobbalzò di sorpresa quando le braccia di Levi lo strinsero in un abbraccio.

Anche se leggermente impacciato, ricambiò la stretta, che si sciolse qualche istante dopo, quando Levi lanciò le braccia al cielo ed, esultante, iniziò a saltellare lungo il corridoio.

«Andiamo a fare la visita!»

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