Capitolo 6

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«Diamine, Q! Stai tentando di strozzarmi?»

«Se non stai fermo e ti lasci mettere questo dannato papillon, giuro che inizierò a provarci sul serio!»

Rachel smise di guardare le smorfiette che il fagottino che aveva tra le braccia le stava dedicando e riportò gli occhi sui due che, davanti allo specchio, continuavano a battibeccare. Quinn e Noah non avevano fatto altro nel corso delle loro vite, salvo poche volte, tanto che a volte Rachel si chiedeva se in realtà si divertissero a stuzzicarsi in quel modo.

Alla fine aveva compreso che era qualcosa di innato, ma ugualmente non riusciva a capire cosa gli fosse passato per la testa quando Noah aveva chiesto a Quinn di aiutarlo a prepararsi per il suo matrimonio.

Si respirava un'incredibile quantità di tensione nell'aria, più del solito. Era quel tipo di tensione, mista ad agitazione, mista ad euforia che lei stessa aveva provato. E Broadway non c'entrava assolutamente nulla in questo caso. Solo Quinn era stata in grado di farle provare tutte quelle emozioni.

«Sei agitato?» Gli chiese Quinn con un ghigno divertito in volto, mentre, con più garbo, stringeva il farfallino al collo dello sposo.

Noah non rispose immediatamente, semplicemente perché prese a valutare la possibile risposta. Era agitato? In realtà non lo sapeva, perché sposarsi con Sarah gli era sembrata una cosa naturale, specialmente dopo tutti gli anni di convivenza che avevano avuto, ma doveva ammettere che preparare il tutto era stato uno stress non indifferente, per non parlare dei parenti, di sua madre, di sua suocera... Che Mosè lo salvasse, sua suocera era davvero insopportabile!

«No, non molto.» Confessò infine. «Non del matrimonio in sé, ho paura che non arriverò sano e salvo alla fine della giornata. Spero che fili tutto liscio.»

«Andrà tutto bene, Noah.» Lo rassicurò Rachel, continuando a cullare il bambino fra le braccia. «È tutto perfetto, il matrimonio ebreo dell'anno.»

«Ma tu non stai per imparentarti con quella donna!» Replicò Noah, guardandola attraverso lo specchio e gemendo di dolore quando Quinn strinse un po' troppo forte il farfallino che aveva fra le dita.

«Scusami...» Disse con lo stesso, identico sorrisino di poco prima, per poi lanciare gli occhi al cielo quando Noah la fulminò con lo sguardo. «Non farti prendere dal panico, dopotutto non è con sua madre che ti stai sposando. Neanche a me sta particolarmente simpatica la sorella di Hiram, ma-»

«Hey!» Esclamò Rachel, piccata e sconvolta da quell'improvvisa rivelazione.

«Non sta particolarmente simpatica neanche a te, amore.» Rise, lanciando uno sguardo alla moglie, che, per tutta risposta, scosse la testa.

«Sarah è perfetta, lo siete entrambi l'uno per l'altra. È la persona giusta, è quella persona. E andrà tutto magnificamente. Fidati di me.» Concluse, sistemandogli il colletto della camicia ed in seguito quello della giacca, per poi guardarlo con una strana luce negli occhi: emozione.

Non poteva ancora credere ai suoi occhi, per quasi tutto il liceo aveva sempre pensato che non avrebbe combinato nulla di buono, si era sempre rassegnato all'idea di condurre una vita abbastanza mediocre. Poi nella sua vita era entrata Shannon Beiste, che l'aveva aiutato a vincere una borsa di studio per il football, dandogli così l'opportunità di frequentare il college. Mai avrebbe pensato che il suo destino sarebbe stato quello di allenare un gruppo di ragazzoni, aiutandoli a diventare uomini e insegnando loro quello che una grande donna aveva insegnato a lui.

Senza che se ne accorgesse aveva finito il college e aveva trovato un lavoro nel suo vecchio liceo, aveva incontrato la sua futura moglie in sinagoga e con lei aveva deciso di costruire una famiglia.

Insomma, Noah Puckerman non avrebbe mai aspirato a nient'altro nella sua vita.

«Sono fiera di te.» Mormorò Quinn, guardandolo negli occhi. «Sei cresciuto tanto e sei diventato un uomo meraviglioso, Sarah è molto fortunata.»

«Come io sono incredibilmente fortunato ad avere lei... E voi.» Concluse, con un piccolo cenno del capo verso Quinn. «Siete state grandiose. Senza il vostro aiuto a quest'ora sarei ancora in alto mare, probabilmente non avrei neanche uno smoking da indossare!» Ammise senza pensarci due volte, in fondo loro stesse erano le prime a rendersi conto del fatto che, da solo, Noah non avrebbe saputo dove mettere le mani.

«È stato un onore poterti aiutare, Noah.» Lo rassicurò Rachel, mentre Levi ancora tentava di attirare la sua attenzione.

Un lieve bussare alla porta li fece voltare verso la porta, prima che l'uscio si aprisse lentamente rivelando la testa di Hiram.

«Scusate il disturbo, ma la sposa sarà qui a minuti e sono stato mandato ad avvertirvi.»

Era ora.

Noah Puckerman stava per diventare un uomo sposato e l'agitazione, della quale poco prima parlava Quinn, si fece sentire tutta d'un colpo. Il cuore gli batteva nel petto come non aveva mai fatto prima, il papillon gli stringeva il collo e stava iniziando a sudare freddo, ma, nonostante questo, non si era mai sentito vivo quanto in quel momento.

Guardò Rachel e Quinn, che, a loro volta, lo fissavano con dei sorrisi sinceri, e pensò che nonostante Sarah fosse la persona della sua vita, quelle due rimanevano le "sue donne". E con le sue donne al proprio fianco avrebbe potuto affrontare qualsiasi cosa... Persino sua suocera.

«Arrivo.» Disse a Hiram, prendendo un profondo respiro.

Hiram annuì sorridendo. «Andrà tutto bene, Noah, non preoccuparti.» Poi, senza aggiungere altro, gli fece l'occhiolino e chiuse la porta dietro di sé.

Il rumore dell'uscio che sbatteva, infastidì Levi un po' troppo e, stufo di dover attirare l'attenzione della madre in modo silenzioso, cominciò a piangere, stringendo e tirando i capelli di Rachel con forza.

«Credo che qualcuno sia affamato.» Ipotizzò con una risata Rachel.

«Immagino di sì.» Sorrise Quinn. «È passata da un po' l'ora della poppata, anzi, è stato anche fin troppo silenzioso.»

Noah che era rimasto in silenzio tutto quel tempo, fissando la sua immagine riflessa nel grande specchio, finalmente si voltò e tese le braccia verso Rachel.

«Dallo a me per un secondo.» Le disse. «Ho bisogno che il mio ometto preferito mi dia il coraggio che mi serve.»

Prese il bambino fra le braccia, guadagnandosi le occhiate incuriosite di Rachel e Quinn, e lo cullò giusto il tempo necessario a farlo calmare. Levi lo guardava sempre con quegli occhioni spalancati, quasi avesse visto la cosa più spettacolare del mondo e, quando quel fagottino si lasciava coccolare, Noah si sentiva improvvisamente importante.

«Posso farcela, vero?»

Prontamente Levi gli arpionò il pollice con l'intera manina e lanciò un grido infastidito, degno di un acuto di sua madre: stava finalmente per avere la pappa che tanto aveva reclamato e Noah gli aveva rotto le uova nel paniere, ma lo sposo sembrò interpretare il tutto in maniera ben diversa.

«Hai ragione, posso farcela!» Esclamò. «Allora mi fido di te, ometto.» Sorrise.

Dopo averlo guardato, beandosi ancora una volta della sua bellezza, gli diede un morso giocoso sulla manina che ancora teneva stretto il suo pollice, prima di dargli un dolce bacio sulla fronte. Lo passò a Quinn, la quale si diresse velocemente al divanetto, pronta a sfamarlo prima che i loro timpani chiedessero pietà.

«È il momento?» Chiese poi un po' titubante.

Sapeva che era ora di andare, sapeva che non c'era più tempo per esitazioni che comunque non avrebbe avuto, ma preferiva che fosse Rachel a confermarglielo.

E così fece: annuì piano, degnandolo del migliore dei suoi sorrisi.

Da lì a pochi istanti Puckzilla avrebbe ceduto il passo al Noah uomo, per Sarah, ma anche per se stesso.

Se la sarebbe cavata alla grande. Sarebbe stato l'eccezione a tutte le regole, perché se si diceva che dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna, lui che ne aveva ben tre sarebbe stato magnifico!




****

Rachel osservò la grande porta davanti a lei con un misto fra timore e curiosità. Quando Quinn l'aveva avvertita quella stessa mattina di quel pranzo, per poco non le era venuta la tachicardia.

Un pranzo domenicale a casa Lopez-Pierce.

Un pranzo domenicale in compagnia di Santana Lopez.

Non pensava di essere preparata a sufficienza a quell'eventualità.

Quali erano i suoi rapporti con Santana? Possibile che fossero diventate amiche? D'altra parte non avrebbe più dovuto stupirsi di nulla dal momento che si era ritrovata ad essere sposata con la sua peggior nemica.

Senza contare Brittany! Con lei non aveva mai avuto contrasti, ma non poteva dire che fosse propriamente innocua.

Cosa avrebbe dovuto aspettarsi da un'intera giornata in compagnia dell'Unholy Thrinity al completo?

Dopo che Quinn ebbe suonato il campanello non ci volle molto prima che la porta d'ingresso si spalancasse, rivelando una Santana Lopez più bella che mai.

«Non mi stordirà di chiacchiere come farebbe la Rachel Berry di tredici anni fa, vero?»

«Presumo che un " buongiorno ragazze" fosse troppo...» Commentò Quinn, ricambiando il sorriso un po' maligno che Santana le aveva rivolto.

«Ovviamente.» Rispose Santana, facendosi da parte per farle passare.

Quinn spinse la carrozzina con dentro Charlotte e immediatamente Rachel le fu dietro, come a volersi riparare dallo sguardo di Santana, mentre Levi correva velocemente all'interno della casa, sparendo subito alla loro vista.

«Per quanto mi piacerebbe continuare il regno del terrore che ho iniziato al liceo, dovresti avvisare la tua consorte del fatto che non mordo perché quell'espressione da teletubbies impaurito inizia davvero ad inquietarmi.» Mormorò Santana senza neanche voltarsi mentre le accoglieva in salotto.

«Teletubbies?» Chiese Rachel a sua moglie confusa.

Se quello era un insulto di Santana Lopez, allora doveva essere parecchio fuori forma, perché non lo trovava per niente offensivo.

«Diciamo che Santana non è più abituata a trovarti nomignoli adeguati.» Le spiegò Quinn. «Quando ci siamo sposate, le hai fatto promettere durante il brindisi che non ti avrebbe più affibbiato nessuno di quei nomi assurdi.»

«Doveva aver bevuto parecchio...» Commentò tra sé e sé Rachel, ma facendo spuntare ugualmente un sorriso sul volto di Quinn. «E ha mantenuto la promessa?» Chiese sempre a bassa voce, non voleva certo dare a Santana un buon motivo per tornare ad insultarla.

«Fa del suo meglio, diciamo che la vecchia Santana cerca molto spesso di prendere il sopravvento, ma poi si ricorda della promessa e ritorna sulla buona strada, con un aiuto non indifferente da parte di Brittany.»

«Rachel!»

Giusto il tempo di varcare la soglia della sala che si trovò stretta tra le braccia di Brittany. In realtà non aveva neanche avuto il tempo di accertarsi che fosse lei, ma non conosceva nessun altro così carico di entusiasmo.

Timidamente ricambiò l'abbraccio, senza ovviamente lo stesso impeto dell'altra. Era una cosa del tutto nuova, perché in genere gli altri non permettevano di farsi toccare per più di pochi secondi.

«Credo che possa bastare Britt...» Le fece notare Quinn, ridendo sotto i baffi dell'espressione sorpresa di Rachel.

Brittany a quel punto lasciò andare Rachel che finalmente poté prendersi il suo tempo per guardarla meglio, rendendosi conto di quanto non fosse per niente cambiata, nonostante fosse passato così tanto tempo. Era ancora meravigliosamente bella, i suoi occhi azzurri erano brillanti di felicità e il suo fisico era come sempre impeccabile.

«Siete arrivate giusto in tempo!» Le informò. «Noah ha insistito perché facessimo un piccolo aperitivo in attesa che il pranzo fosse pronto e come al solito ha vinto.»

«Noah è qui?» Chiese immediatamente Rachel.

Quando Quinn l'aveva informata di quel pranzo, non era stata in grado di dirle chi avrebbe partecipato, perché a quanto sembrava nessuno aveva confermato, per paura che Rachel potesse sentirsi troppo sotto pressione. «Certamente, sono arrivati tutti in orario, mancavate solo voi.»

«Tutti?» Chiese, accigliata, Rachel. «Tutti chi?»

Improvvisamente l'eventualità che lei e Quinn potessero avere degli amici di cui lei non ricordava assolutamente nulla, la colpì in pieno. Cosa avrebbe fatto in una situazione del genere?

Si strinse maggiormente al braccio di Quinn quando il cuore le prese a battere un po' troppo velocemente, aveva scoperto che da lei poteva trarre tutta la calma e la tranquillità che le servivano per affrontare le difficoltà di quei giorni.

«Tutti tutti!» Esclamò Brittany, come se la sua risposta non avesse bisogno di ulteriori chiarificazioni.

Rachel a quel puntò guardò Quinn in cerca di supporto e questa le accarezzò la mano per tranquillizzarla.

«Stai tranquilla, ci sono io con te e non c'è nessuno di nuovo.» La rassicurò sottovoce.

Brittany fece loro strada lungo il piccolo corridoio, conducendole nel salotto da dove provenivano varie voci che Rachel provò ad identificare, senza molto successo.

«Calmati.» Le disse piano Quinn. «Va tutto bene.»

«Sicura che sia una buona idea?» Il tremolio nella sua voce e la piccola ruga tra le sopracciglia non lasciarono più ombra alle sue preoccupazioni.

La paura di non essere accettata si faceva sempre più strada in lei e ripetere tra sé e sé che non aveva più diciassette anni stavolta non sembrava funzionare. Le sembrava di rivivere uno dei tanti primi giorni di scuola al liceo: il primo anno era stata sinceramente emozionata di varcare le porte del McKinley, solo in seguito aveva compreso come funzionavano le cose in quella scuola; così tutti gli anni si era vestita di un sorriso che nascondeva mille timori, gli stessi che la stavano tormentando in quel momento.

Quinn le sorrise. «Ci sono io con te, non permetterò che ti accada nulla.»

Non sapeva perché, ma quella semplice frase la calmò all'istante, Quinn aveva questa capacità di farle passare ogni tipo di ansia ed era ancora così difficile da credere per lei, visto che al liceo era stata lei la portatrice principale di tutte le sue ansie.

Quando entrarono nel salotto, si fermò ogni qualsiasi tipo di chiacchiericcio, l'unico rumore era provocato dai bambini che giocavano in un angolo della stanza, mentre tutti gli adulti si voltarono a fissare le nuove arrivate. Rachel si sentì mancare il respiro e strinse ancora più forte la mano di Quinn.

«Ed ecco le mie donne!» Esordì Puck, allargando le braccia e dirigendosi verso di loro, pronto a chiuderle entrambe in un abbraccio. E se quello di Brittany l'aveva presa alla sprovvista, non si poteva certo dire che questo fosse stato meno traumatico per Rachel. «Vi stavamo aspettando... Non ve la prenderete se abbiamo iniziato a bere qualcosa senza di voi, anzi vi preparo subito qualcosa!»

«Noah, non è necessario!» Disse immediatamente Quinn, lasciando andare finalmente la carrozzina.

Non fece in tempo a togliere le mani, che Noah prese in parola Quinn e dopo averle sciolte dall'abbraccio, si sporse a guardare la sua nipotina che si guardava intorno curiosa.

«Come sta la mia piccola principessa?» Chiese retoricamente, scuotendo delicatamente il pancino della bambina, che, a sua volta, gli regalò una candida risatina, una di quelle riservate solo a Noah.

Rachel si ritrovò incantata da quello spettacolo, perché non aveva mai visto Noah in quelle vesti così diverse da come era solitamente abituata a vederlo.

I suoi occhi erano ricolmi di amore e fissava la sua bambina come se fosse un piccolo miracolo, mentre Charlotte allungava le mani ad afferrargli il naso. Noah girò il volto e fece finta di morderle il pugnetto, facendole rilasciare una risata che non aveva mai sentito.

«Ha un debole per Charlotte...» Le spiegò Quinn, sussurrandole quelle parole all'orecchio. «Soprattutto da quando ha definitivamente capito che Levi non ha alcuna intenzione di farsi quell'assurda cresta che lui si ostina a portare.»

Rachel fissò i due con uno sguardo perso, ritrovandosi piacevolmente sorpresa che nell'osservare Noah che teneva in braccio la sua bambina la rendeva più felice di quello che avrebbe mai pensato. Quinn la scortò attraverso la stanza, distogliendola un attimo da quello spettacolo e conducendola al divano, dove le fece segno di sedersi.

«Vuoi qualcosa da bere?» Le domandò con un sorriso. «Te lo chiedo prima che Noah si ricordi che è qui per mangiare e svaligi tutto quello che Santana ha preparato in attesa del pranzo.»

«S-sì, qualcosa di fresco mi farebbe piacere.» Le rispose Rachel.

Quinn annuì senza che il sorriso lasciasse le sue labbra e si chinò a baciarla dolcemente sulla guancia, prima di allontanarsi in direzione di quella che probabilmente era la cucina. Rachel cominciò a sentirsi inquieta dopo nemmeno qualche secondo dalla scomparsa della moglie, a disagio a sedere su quel divano a lei così sconosciuto, senza sapere come comportarsi.

Pochi istanti e venne affiancata da Kurt. Faceva fatica a credere che fosse cambiato così tanto, era incredibilmente diverso dal ragazzo che aveva lasciato anni prima. Sembrava davvero sicuro di sé, con quel portamento fiero, quegli abiti così adatti al suo corpo e quei capelli che continuavano a spiazzarla come la prima volta che li aveva visti.

«Il ponce è decisamente troppo acre, ma non dirlo a Santana.» Commentò, assaporando la bevanda e posando il bicchiere sul tavolino proprio di fronte al divano, mentre una smorfietta si formava sul suo volto. «Allora... Come va?» Chiese dopo un piccolo sospiro.

Come va?

Quella era una domanda decisamente troppo difficile per lei, specialmente visto come ondeggiava negli ultimi giorni il suo umore. C'erano momenti in cui le cose andavano benissimo, che il fatto di non ricordare di essere sposata a Quinn non era affatto un problema, che doversi prendere cura di Charlotte era una cosa che le veniva naturale, mentre altri giorni... beh, altri giorni le cose erano difficili. Non sapeva cosa dire o fare, non sapeva se quello che stava facendo alla bambina era giusto e non sapeva se poter disturbare Quinn mentre lavorava.

Morale della favola, si trovava in un limbo e quello le portava principalmente e anche molto spesso mal di testa, che la costringevano a letto per ore, in balia dei suoi pensieri e dei suoi sogni.

«Bene.» Rispose infine, intenzionata a non fare preoccupare Kurt più del dovuto.

Kurt si ritrovò ad annuire, felicemente colpito da quelle parole. Almeno così sembrava...

«Quindi non ricordi assolutamente nulla degli ultimi 13 anni, hai scoperto di essere sposata con una donna, di avere dei figli e di essere ufficialmente entrata nel circolo di amicizie di Santana Lopez e va tutto bene...» Elencò Kurt, fingendosi davvero troppo entusiasta. «A chi vuoi darla a bere, Rachel? È da pazzi credere che tu l'abbia presa così bene e per quanto... beh, per quanto il nostro gruppo possa essere... eccentrico, non siamo pazzi.»

Rachel sorrise leggermente e si sentì a casa per qualche secondo, perché Kurt, volente o nolente, era casa, la sua casa e senza di lui si sarebbe sentita perduta nella maggior parte del tempo che aveva passato al McKinley.

«Okay, n-non sto benissimo.» Rispose infine. «Diciamo che sto cercando di abituarmi.»

«Non devi vergognartene, tesoro.» La tranquillizzò, questa volta con un sorriso reale. «Immagino sia normale sentirsi fuori posto. Insomma, anche io mi sento fuori luogo la maggior parte delle volte in cui Puckerman inizia a parlare di football, quindi stai tranquilla... Nessuno ti giudicherà per questo.»

Rachel allora sospirò internamente, perché, per la barba di Mosè, Kurt era in grado di tranquillizzarla tanto quanto era in grado di farlo Quinn e fu in quel momento che si rese conto che sua moglie sembrava essere sparita nel nulla.

«Probabilmente starà bisticciando con Santana.» La rassicurò l'amico. «È il loro passatempo preferito.»

Rachel ricordava fin troppo bene i continui battibecchi delle due ragazze, che una volta erano addirittura sfociati in una rissa nel bel mezzo del corridoio.

«Ecco vedi, è di ritorno.»

«Perdonami, Santana continuava a tentare di rifilarmi quel ponce, ma l'ho assaggiato ed è davvero troppo acre... Ma ovviamente non si può fare una critica a Santana senza rischiare una guerra nucleare.» Spiegò, porgendole il bicchiere che aveva in mano, mentre Kurt annuiva alla critica di Quinn. «Ti ho preso del succo di pompelmo.»

«È il mio preferito.» Commentò prima di prenderne un sorso.

«Lo so.» Affermò Quinn con un sorriso spontaneo.

Quelle erano le piccole cose che facevano dimenticare a Rachel che non ricordava niente degli ultimi tredici anni, perché Quinn era così premurosa e perfetta con lei da trasportarla in un altro mondo.

«Spero solamente che nessuno abbia da dire nulla sul pranzo, perché sembra essere già abbastanza irritata oggi.» Commentò Kurt.

«Dovresti essere lusingata, Rach.» Commentò Quinn con un sorrisino furbo. «Sembra proprio che San voglia fare colpo su di te.» Terminò, facendole l'occhiolino.

«Davvero? E perché mai dovrebbe volerlo?» Chiese senza capire Rachel, sconvolta da quella rivelazione.

Non avrebbe mai pensato di vedere in tutta la sua vita, Santana Lopez che diventava agitata perché voleva fare colpo su di lei, ricordava ancora il modo orribile in cui l'aveva trattata di tanto in tanto.

«Deve ricominciare tutto da capo.» Le spiegò Kurt. «Deve guadagnarsi la tua fiducia... Di nuovo. Quinn può farlo continuamente, lei deve sfruttare questi piccoli momenti ed è evidente che voglia che tutto fili alla perfezione.»

«Che tu ci creda o no, tu e Santana avete stretto un rapporto... unico nel suo genere. Credo che dovresti darle un'opportunità.» Le consigliò Quinn, accarezzandole la gamba.

«Oh... Wow.» Fu l'unica cosa che Rachel riuscì a dire.

Lei e Santana Lopez avevano un rapporto, un rapporto che andava oltre l'insultarsi, oltre le prese in giro che arrivava quasi... All'affetto?

Non avrebbe mai creduto che una cosa del genere fosse possibile. Non lo credeva neanche in quel momento, ma Quinn la guardava con quel sorriso rassicurante al quale aveva scoperto di non saper dire no.

Sembrava così sicura delle sue parole, così speranzosa di poter ricostruire ciò che evidentemente aveva impiegato anni ad ottenere.

«Il pranzo è servito!» Esclamò Brittany, uscendo dalla cucina con il primo vassoio tra le mani.

«Pretendo di sedermi al fianco delle mie donne!» Urlò Puck, riferendosi a Quinn e Rachel oltre che ovviamente a sua moglie.

«Non esiste!» Esordì Santana. «Mi prendo io la responsabilità della Berry, l'hai già traumatizzata a sufficienza per oggi.»

Un piccolo sorriso solcò le labbra di Rachel. Forse Quinn non aveva tutti i torti, forse avrebbe dovuto darle davvero quell'opportunità.


****


Aveva impiegato meno tempo ad abituarsi a Levi che la chiamava mamma e ai suoi nipotini - nipotini! - che la chiamavano zia, che ad abituarsi all'idea che Quinn fosse sua moglie.

Era proprio quello il motivo per il quale si trovava nel salotto di casa Lopez-Pierce, inginocchiata a quattro zampe, con James sulla sua schiena che la cavalcava come se fosse lo stallone più veloce del west.

«Avanti zia! Non possono vincere loro! Forza cavallino!»

«Con calma, James! La zia non può stancarsi!» Lo riprese Santana, mettendolo in guardia mentre lanciava un occhio alla piccola Charlotte, che dormiva beata nella sua carrozzina a dispetto di tutto il trambusto presente in casa.

«Zia, non vuoi che vinca zio Noah, vero?» Sussurrò allora James all'orecchio di Rachel, seguendo il consiglio della madre.

Quando quell'adorabile bambino dai capelli color del grano e gli stessi occhioni di Brittany le si era avvicinato con un entusiasmo fuori dal comune, chiedendole se le andava di ''giocare al cavalluccio'', non aveva saputo dire di no, ma, d'altronde, avrebbe dovuto immaginare un epilogo simile.

«No, non permetteremo che lo zio Noah vinca.» Lo rassicurò Rachel con fare più cospiratorio di quello che avrebbe dovuto avere.

Cominciò a gattonare più velocemente, cercando di mantenere il passo con Noah, il quale veniva esortato dal piccolo Levi ad aumentare l'andatura per seminare la mamma e il suo rivale.

«Avanti cavalluccio! Corri corri cavalluccio!» La voce di James tornò a farsi sentire, squillante, per tutta la casa.

E questa volta Rachel non si fece pregare oltre: iniziò la sua corsa verso il traguardo, affiancando Noah, che, di tanto in tanto, le dava delle leggere spinte con il sedere.

«Questo è barare!» Si lamentò Rachel, vinta però dalle risa, mentre continuava la sua avanzata.

«Non è barare, principessa.» Si difese Noah. «È essere furbi!»

«No, questo è barare!» Esclamò Santana dal divano. «Avanti, Rachel, mostrargli di che pasta sei fatta!»

«Si, amore, avanti!» La incitò Quinn.

E senza che potessero fermarli, i loro amici fomentarono un tifo niente male nel salotto, con tanto di grida e applausi.

Tifo ed urla che condussero lei ed il piccolo James fino al traguardo, pronti ad afferrare a quattro mani la vittoria.

«Sei grande zia! Sei fortissima!» Esclamò il bambino, arpionandosi al collo di Rachel e dandole un sonoro bacio sulla guancia, mentre un urlo di esultanza si alzava dal salotto.

«Sapevo che dovevo scegliere la mamma...» Si lamentò Levi, scendendo dalla schiena di Puckerman con un'espressione decisamente delusa dipinta sul volto.

«Come sarebbe a dire?» Chiese con un sonoro sbuffo Noah. «Io sono capacissimo di farti vincere!»

«Ma abbiamo perso!» Gli fece notare, canzonandolo per la sconfitta appena subita. «La tua cresta non è magica come vuoi farmi credere!» Lo accusò, puntandogli il dito contro con fare accusatorio.

«Ma è magica!» Protestò immediatamente Noah.

Levi incrociò le braccia al petto, mettendo su un adorabile muso. «No, non è vero!» Batté il piedino a terra. «Il cerchietto che mi ha regalato lo zio Kurt è magico! Mi ha fatto fare goal alla partita di calcio!»

Un silenzio decisamente imbarazzante scese sulla stanza. Tra lo stupore generale solo Kurt annuiva, soddisfatto di come il bambino fosse riuscito a tenere testa a quella zucca vuota di Puckerman.

«Gli hai davvero regalato un cerchietto?»

Ovviamente la prima a sbottare fu Santana, portandosi dietro le mille domande di tutti gli altri e creando l'ennesima baraonda di pensieri.

«Mi hai fregato il trucchetto della magia!» Lo accusò Noah, a dir poco incredulo. «Non posso credere che tu l'abbia fatto!»

«Certo che gli ho regalato un cerchietto.» Rispose tranquillamente Kurt, per niente toccato da quelle accuse. «Il mio piccolo ometto deve vedere bene quando gioca a calcio o rischierà di cadere.» Spiegò. «E siccome sua madre non sembra intenzionata a tagliargli i capelli, ho dovuto trovare un metodo alternativo per preservare le sue ossa.»

«I capelli di Levi vanno benissimo così come sono!» Mise in chiaro Quinn.

«Già!» Confermò Noah con enfasi, tutto pur di andar contro le scelte di Kurt per quanto riguardava Levi, salvo tornare sui suoi passi dopo solo pochi istanti di riflessione. «Anche se magari con una cres-»

«No!» Esclamarono all'unisono Quinn, Levi e Rachel.

«Io la cresta non la voglio! Non mi piace!» Puntò i piedi Levi. «Mamma R dice che i miei capelli sono quelli di un angioletto biondo e che non ti permetterà di renderli ridicoli con quella cosa orribile che hai in testa.»

«Principessa mi ferisci così.» Esclamò Noah, portandosi una mano al cuore e facendo finta di sentirsi male.

«Ho detto davvero quelle cose?» Chiese sottovoce Rachel alla moglie.

«Potrai non ricordare di averle dette, ma vuoi davvero farmi credere che non le pensi?» Ribatté a voce altrettanto bassa, facendo un cenno decisamente eloquente alla cresta di Puck.

Qualcosa suggeriva a Rachel che, se anche aveva utilizzato quelle parole davvero poco carine nei confronti dell'acconciatura di Noah, non era l'unica ad averlo fatto. Quella prospettiva la fece riflettere, perché mai avrebbe pensato di trovarsi nella condizione di essere colei che si prendeva gioco, anche se con affetto, del running back dei Titans, Noah Puckerman.

«Perché mia moglie non è qui quando ho bisogno di essere difeso?» Si lamentò Noah, lasciandosi cadere pesantemente sul divano. «È un'ingiustizia!»

«A proposito dov'è Sarah?» Chiese Santana, confusa, come se si fosse accorta solo in quel momento dell'assenza della donna.

«Sua madre ha deciso che oggi era la giornata adatta per sperperare i miei soldi in vestiti che Sarah non metterà mai e cianfrusaglie che finiranno a riempire il ripostiglio di casa nostra.» Spiegò con una calma che aveva colpito tutti, fino a quando non aveva serrato la mascella e digrignato i denti, dimostrando tutti il suo rifiuto nei confronti di quella donna. «Ormai la gravidanza sta per terminare e non poteva lasciarsi scappare l'occasione.»

«Sarah è la moglie di Puck... Stanno per avere un bambino...» Spiegò Quinn sottovoce, anche se ormai quelle due informazioni erano piuttosto chiare a Rachel.

Puck era sposato! Puck era sposato e stava per avere un bambino! Tutto stava diventando sempre più assurdo ai suoi occhi.

«Comunque dovrebbe essere qui a momenti, mi ha giurato di non fare troppo tardi.»

Non ebbe neanche il tempo di terminare la frase che la più classica delle improbabili coincidenze ebbe luogo ed il campanello suonò, facendo sobbalzare un po' tutti.

«Wow, che tempismo!» Commentò Kurt, ancora visibilmente sorpreso.

Fu Brittany a dirigersi, saltellante, verso la porta. Erano giorni che non vedeva Sarah e l'idea di poter finalmente tornare a toccare il pancione che custodiva il suo nipotino la faceva impazzire di felicità.

«Stavamo proprio parlando di te!» Le annunciò, senza darle neanche occasione di salutarla.

Rachel si spose dal divano, curiosa oltre ogni dire di vedere il volto della donna che aveva legato per sempre a sé Noah Puckerman, trasformandolo in marito e a quanto sembrava anche in padre.

Quando la vide, capì immediatamente che Noah non aveva cambiato poi tanto i gusti ed era sicura, anche se non la conosceva, che Sarah fosse ebrea.

I capelli scuri, quasi corvini, incorniciavano uno splendido viso, paffuto per via della gravidanza, e terminavano poco più in basso delle spalle, su un seno abbondante, anche quello evidente segno dell'arrivo del piccolo Puckerman... Certo, non evidente quanto il pancione che portava fiera. Noah aveva sempre avuto un ottimo gusto in fatto di donne, almeno questo glielo doveva. Sarah era, fisicamente parlando, una donna splendida e sembrava così... radiosa!

Persino con quelle decine di buste tra le mani.

«Sono felice di sapere che mi stavate aspettando.» Commentò con un sorriso sincero. «E sarei ancora più felice se qualche animo gentile mi aiutasse con queste!» Esclamò, alzando a stento le braccia per via dell'ingente peso dei suoi acquisti.

Senza farselo ripetere due volte, Noah scattò verso di lei, pronto a dimostrarsi il suo cavaliere dall'armatura scintillante. Le sfilò le buste dalle mani e poi senza resistere, si sporse per baciarla dolcemente.

«Tua mamma ha dato il meglio ti sé oggi.» Commentò sottovoce, ma non abbastanza da impedire al resto degli occupanti del salotto di sentirlo.

«A questo proposito...» Iniziò, un po' troppo titubante, mentre entrava in casa, raggiungendo il resto del gruppo. Non appena i suoi piedi varcarono la soglia del salotto, però, si rese conto che gli inconfondibili occhi di Rachel la stavano esaminando a fondo. «Rachel, tesoro!» Esclamò, felice, evitando accuratamente di avvicinarsi.

Sapeva bene che Rachel non poteva ricordarsi di lei in alcun modo, dopotutto era entrata nelle vite di quello stravagante gruppo di amici da relativamente poco tempo, e non voleva in alcun modo invadere i suoi spazi e metterla a disagio.

«Ciao...» Mormorò a disagio, non aveva la più pallida idea di come comportarsi. «Ti vedo in splendida forma!» Continuò con un sorriso raggiante.

«Ti ringrazio...» Rispose Rachel, visibilmente impacciata. Avrebbe voluto replicare con un complimento altrettanto gentile, ma cosa avrebbe potuto dire ad una persona che non conosceva affatto?

Fortunatamente ci pensò Noah ad interrompere quel momento tanto imbarazzante. «Cosa stavi dicendo?» Chiese a sua moglie dopo aver riposto le buste sul pavimento.

«Oh sì! Mia madre oggi si è data alla pazza gioia, non condivideva l'idea che il suo nipotino non avesse un adeguato guardaroba, così mi ha fatto camminare avanti e indietro come una pazza!»

«Si renderà mai conto che sta esagerando?»

«Se tu hai il coraggio di farglielo notare, prego, fai pure.» Lo esortò Sarah, lanciando gli occhi al cielo. «Non c'è modo di fermarla... Non ci sono riuscita neanche quando ha deciso che era il caso di comprarti un abito elegante per la festa dei genitori di Rachel...» Sussurrò in fretta e furia, temendo la reazione di Noah.

Ci fu un lungo, lunghissimo minuto di silenzio, durante il quale tutti i presenti non poterono evitare di fissarlo, in attesa.

«Che cosa?!?!» Gridò, allibito.

Sarah sobbalzò prima di mettergli una mano sul braccio nel tentativo di calmarlo. «Noah...»

Prima che la discussone potesse avere inizio, Rachel fu immediatamente pronta a mettere un po' di pace con una sola domanda.

«Che festa?»


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