Capitolo 25: Un momento di pausa, per favore

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- Passarono i giorni, i mesi, e infine gli anni. Per un lungo periodo fui troppo debole anche solo per badare a me stesso... solo dopo qualche mese cominciai a recuperare le forze - mormorò Artigern, mentre faceva scorrere dolcemente le dita sulle corde del liuto. Stava suonando una melodia apparentemente allegra, con delle note malinconiche sporadiche che, tuttavia, si imprimevano nella memoria dei giovani ascoltatori in modo più duraturo rispetto a quelle allegre. - La scottatura si rimarginò completamente, ma continua a darmi fastidio tutt'ora.

- Possiamo vederla? - chiese Mary. Suo fratello Jill la fulminò con lo sguardo, ma ormai era troppo tardi.

Artigern non se la prese. Mise da parte il liuto e slacciò il mantello, abbassando parte della maglia in lana grezza per mostrare il reticolo di pelle chiara e raggrinzita che si era formata sopra la ferita, percorsa da piccoli agglomerati biancastri simili a frammenti di carta stracciata.

- Come vedete, non vi ho raccontato una bugia - mormorò il vecchio, accennando un sorriso.

Un lieve brusio si diffuse fra i ragazzini, e alcuni di loro diventarono pallidi, impressionati da quell'immagine. Una cosa è sentirsi raccontare qualcosa, un'altra è vederla coi propri occhi, specie quando si tratta di ferite.

Artigern sistemò i propri vestiti, sfregandosi le braccia per scaldarsi. Era diventato piuttosto freddoloso in quegli ultimi anni, e soffriva di reumatismi. In effetti, la lista dei suoi acciacchi era talmente lunga che nemmeno Selenia Cetra, una delle cantrici più famose della valle, si sarebbe presa la briga di scriverci un poema al riguardo.

- E Melina? Cosa accadde, in seguito? Siete diventati amici? - domandò Jill.


Lo sguardo di Artigern si fece vacuo per un istante e un lieve sorriso danzò sulle sue labbra sottili. Un sorriso che sapeva di dolce e, allo stesso tempo, di amaro.


- Ah, Melina - sussurrò, scuotendo leggermente la testa. - Sì, diventammo grandi amici. Dovetti faticare molto per guadagnarmi la sua stima. Dopo la morte di Firtorn era diventata talmente taciturna e schiva... almeno quanto io mi sentivo vulnerabile e incapace. Era lei a portare i pantaloni, fra noi due, se vogliamo essere sinceri. Tuttavia, a un certo punto, mi stufai di dipendere da lei. Non volevo e non dovevo essere un peso. La nostra vita era diventata troppo difficile perché mi potessi permettere un tale lusso. Così chiesi a Nonna di insegnarmi a difendermi e ad attaccare, qualora fosse stato necessario. Delia mi aveva insegnato i rudimenti del coltello, sebbene non l'avessi mai davvero usato, mentre Nonna mi insegnò a utilizzare quasi tutte le armi bianche, specialmente l'arco.

Artigern sospirò, aggrottando le sopracciglia, con un sorriso che lasciava trasparire scarsa stima di sé.

- L'arma dei codardi. Nonostante mi abbiano insegnato a essere un guerriero, non lo sono mai diventato per davvero. Nonna diceva che la mia compassione mi avrebbe ucciso, prima o poi. In effetti, ci è mancato poco che accadesse.

Subito dopo cessò di suonare e si incupì a tal punto da ammutolire.

- Quella che voglio raccontarvi ora, invece, non è una bella parte della storia - sussurrò, sfiorando le corde dello strumento. I suoi occhi argentei erano colmi di dolore. - In quegli anni ci fu tanta morte... e per cosa? Ora voi avete persino paura di uscire di casa a una certa ora, ma non sapete quanto questo timore, ora ritenuto irrazionale, fosse più che giustificato, all'epoca. Ho visto tante persone morire fra atroci tormenti per aver violato una semplice regola. Di notte, capita che io mi svegli ancora con le loro grida nelle orecchie.

I bambini osservavano il cantastorie in silenzio, gli occhi sgranati. Le storie dell'orrore a molti ripugnavano, ma ne erano segretamente affascinati. Senza contare che non volevano essere chiamati fifoni da nessuno dei loro compagni.

Lo incitarono a proseguire, e Artigern, dopo un profondo sospiro, ritenne di avergli narrato cose già abbastanza orribili. Dopotutto, non aveva senso raccontare una storia, qualora la si dovesse edulcorare per renderla accettabile. Era un'offesa a chi era stato davvero all'interno di quegli avvenimenti e li aveva vissuti sulla propria pelle.

Quella era una di quelle storie che non dovevano ripetersi, per quanto potessero suonare assurde, persino inverosimili, alle delicate orecchie del giorno d'oggi. In tempi di vacche grasse era fin troppo facile dimenticare quelli di magra: in fondo, non si teneva a guastare la pace quotidiana con riflessioni nefaste.

Sparviero osservava l'Athi in silenzio, pieno di vergogna. Suo malgrado, si sentiva chiamato in causa. Sapeva di essere responsabile di buona parte del dolore di Artigern. Ancora oggi non sapeva quali orribili cose lui avesse visto. L'amico non aveva voluto dirgli tutto. Probabilmente certi orrori li avrebbe portati con sé nella tomba, anche per timore di far pesare a Sparviero il suo mancato supporto - o, per dirla tutta, il suo tradimento -, negli anni bui della sua vita.

Ciò che aveva fatto il drago era imperdonabile. Aveva voltato le spalle ad Artigern quando lui ne aveva avuto più bisogno.

Quante volte Sparviero avrebbe voluto tornare indietro e cancellare ogni cosa, ogni errore. Ridare ad Artigern il suo cuore così come l'aveva avuto prima della guerra, restituirgli la sua innocenza, quell'amore incondizionato che aveva provato per la vita, almeno finché non era stato costretto a realizzare che vivere è un continuo pasteggiare l'uno sulle viscere dell'altro, ancora calde e pulsanti. Un'esperienza cruda, violenta, che nessuno affronterà al posto tuo, a meno che tu non voglia diventare uno di quelli su cui si pasteggia.

Sparviero aveva conosciuto questa verità sin da quando era nato, ma gli Athi, quelle creature dolci e silenziose che agivano nell'ombra cercando di renderti felice senza chiedere nulla in cambio... loro non avrebbero mai dovuto essere stati costretti ad affrontare tutto quel male.

- Arty, se vuoi, posso continuare io - mormorò Sparviero, dandogli un buffetto su una spalla.

Lui scosse la testa.

- No. No, lo devo fare io - sussurrò, deciso, nonostante fosse pallido. - Però, forse, è meglio che tu dica cosa fece Elwyn del Grande Mago, così... così capiranno.

Il drago annuì lentamente, poi cominciò a raccontare, mentre Artigern traduceva.





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