Capitolo 24: Per la salvezza

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Artigern



Per quanto Melina avesse cercato di mantenere pulita la mia ferita, lo sforzo di proseguire per giorni e giorni, dormendo poco e male, e mangiando anche meno, per poco non mi uccise. La mia pelle, di solito di un vivido color caramello, prese una sfumatura grigiastra, color fumo; avevo le labbra quasi bianche e del tutto screpolate, nonostante cercassi di bere il più possibile, e la sensazione costante di avere la febbre. Non avevamo molto tempo per occuparci di noi stessi, avevamo troppa paura di essere uccisi dai draghi ribelli o catturati da un membro dell'allevamento Minston, dato che la stagione di caccia non era ancora terminata. Ci muovevamo col favore del buio, senza mai accendere una luce, usando le chiare stelle invernali come bussole. La luna violacea illuminava il nostro cammino, che pareva un paesaggio infernale. Eravamo costretti a bollire l'acqua prima di berla: lo facevo anche prima, per evitare attacchi di dissenteria che potevano trasformarsi in una faccenda molto grave, ma ora il nettare dei fiumi aveva un retrogusto bizzarro, quasi dolce. Lo stesso odore si diffondeva nell'aria, specie verso sera, e una sottile nebbiolina rossastra si innalzava dal terreno.


- Che cos'è? - sussurrò Melina una volta, raccogliendone un po' fra indice e pollice, strofinandola. La sostanza emanò un lieve lucore e l'odore dolciastro si fece più intenso.


- Non lo so, ma non mi piace l'idea di respirarla. Copriti il viso con qualcosa.


Avvolgemmo attorno a naso e bocca delle strisce di stoffa strappate da una maglia di ricambio e proseguimmo il cammino. Da quella volta, le adoperammo sempre.


Più tempo passava e più mi ritrovavo a pensare che tutto ciò non fosse naturale. Avevo il terrore che ci fosse un veleno nell'acqua, nell'aria... ovunque. Tuttavia non potevo farci nulla. Avevo bisogno di bere e respirare, quindi mi ero rassegnato a una terribile, possibile eventualità.


La cosa più orribile era che dovevo affrontare tutto questo da solo. Sparviero non c'era più, sostituito da quella brutta copia cui aveva dato il nome di Zharr, e Melina, a parte in qualche rara occasione, a malapena mi rivolgeva la parola. La morte di Firtorn l'aveva scossa profondamente, e di giorno, quando ci accampavamo per dormire un po', la sentivo singhiozzare. Non mi diceva mai nulla del drago rosso, ma dalla piega della sua bocca e le rughe di sofferenza sulle guance, capivo che era sempre nei suoi pensieri.


A volte anche io sognavo il suo corpo straziato; le sue ferite e la mia scottatura si fondevano in un unico, grande dolore. Non sapevo più dove finiva il mio corpo e dove cominciava il suo. Vedevo il tronco sporgere dal mio fianco, ricoperto di sangue e frammenti di interiora, e mi risvegliavo in un bagno di sudore, col volto rigato di lacrime.


Mi sentivo responsabile per la sua morte, e questo in parte era dovuto alle occhiate che Melina mi scoccava, anche se a livello inconscio. Era come se sulla sua fronte ci fosse scritto "forse, se non avessi deciso di curarti... forse, se non ti avessi mai incontrato, Firtorn sarebbe ancora vivo". E invece, al posto del suo amico, aveva ottenuto un ferito incapace di badare a se stesso per lunghi periodi di tempo o di cacciare per procurarsi il cibo.


Melina non aveva idea di quanto io soffrissi per questo. Avrei tanto voluto che le cose fossero andate diversamente. Desideravo qualcuno che mi abbracciasse, accarezzandomi dolcemente i capelli e dicendomi che niente del presente aveva importanza, che si sarebbe risolta ogni cosa e i pezzi di quel doloroso rompicapo che era la mia vita sarebbero caduti ognuno al proprio posto senza alcuno sforzo. Ma fui costretto a realizzare che nessuno avrebbe mosso i passi che portavano da Nonna, alla salvezza, al posto mio. Nessuno sarebbe caduto dal cielo per trasportarmi in un mondo perfetto. Sarei stato io a dover mettere un piede dietro l'altro, a respirare a fatica attraverso la lana impregnata di nebbia dolce, a sopportare i morsi della fame, finché non fossi giunto a destinazione o fossi diventato talmente sottile che il minimo alito di vento mi avrebbe spazzato via, lasciando di me solo una polverina insapore.

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