Capitolo 33: Partenza

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Finalmente, il nuovo capitolo, un po' più lungo del solito, sulle 2000 parole! Era da un po' che non ne mettevo uno, ma sappiate che siamo più o meno a tre quarti della storia. Da martedì 13 dovrei essere più libera, dato che quello è il giorno fatidico in cui darò un esamone di letteratura russa II. Incrociate le dita per me :)

Ho appena finito di scrivere questo capitolo, e oggi sono piuttosto gioiosa. Si vede anche da quello che ho scritto, probabilmente :)

Buona lettura!

Sparviero

- Manca ancora tanto? - chiese Artigern, con voce flebile, sollevando leggermente la testa dal mio collo, contro il quale era appoggiato. Lo sentii fremere, mentre si portava una mano alla ferita, la mascella serrata per il dolore.

- Non molto - risposi, piuttosto vago.

Melina, la guida del gruppo, se ne stava col naso immerso nelle carte, seduta dietro ad Artigern, pronta a sorreggerlo nel caso in cui perdesse l'equilibrio.

- Siamo a tre giornate di marcia, ormai - concordò, senza scollare lo sguardo dai Compendi di Nimrod.

Artigern emise un fievole gemito di sofferenza. Non doveva essere molto piacevole per lui, viaggiare in quelle condizioni, ma non aveva voluto saperne di restare con Nonna. Aveva insistito per accompagnarci, in modo da aiutare Melina, ignorando le proteste di Nube.

Dopo che Melina l'aveva colpito per errore, l'avevamo portato subito a casa, e Nonna l'aveva curato, applicando un cataplasma di erbe sul piccolo cratere lasciato dalla freccia nel suo braccio destro.

Per qualche giorno aveva avuto la febbre, e Melina non era riuscita nemmeno a dormire per la preoccupazione. Anche io avevo passato un paio di notti bianche, sorvegliando da lontano il mio vecchio amico. Non osavo avvicinarmi, ma sapevo di essergli vicino col pensiero, e questo mi bastava. Non sentivo ancora che fosse lecito o rispettoso.

Percepivo la confusione di Artigern. Da un lato sentiva di volermi riabbracciare e cedere completamente, dall'altro una considerevole parte di lui ricordava quanto avesse sofferto dopo il mio abbandono, e non riusciva a fidarsi di me. Temeva che l'avrei tradito di nuovo, e il tradimento di un amico è il peggiore, perché non c'è nessun interesse reciproco nell'essere amici, a parte l'amicizia stessa. Una volta che questa veniva calpestata, quale legame poteva esserci fra due creature che nulla avevano in comune e si trovavano in una situazione di guerra aperta?

Non avevo il coraggio di dare una risposta a quella domanda.

In più, c'era un altro problema considerevole nella nostra situazione, e si chiamava Melina. Il legame che io e Artigern condividevamo era l'unica cosa che le aveva impedito di conficcarmi una freccia in un occhio.

Teneva d'occhio ogni mia mossa e, qualora io uscissi dal fienile, capitava spesso che la vedessi nascosta dietro qualche albero, intenta fissarmi, mentre accarezzava lentamente i morbidi pennacchi delle frecce all'interno della sua faretra. Non era affatto una creatura tenera, essenzialmente innocente, come lo era Artigern. Quella piccola femmina era una belva feroce, un vero drago. Ogni volta in cui apriva la bocca per parlare, mi sorprendevo di non udirne uscire un ruggito, accompagnato da una chiostra di zanne affilate, assetate di morte.

La mia morte.

Quanto avrebbe voluto potermi uccidere. Era più che palese.

Io rispettavo la sua rabbia, e la sua voglia di vendetta me la faceva vedere come una creatura ancor più interessante, una predatrice. Tuttavia, avrei preferito evitare di morire. Non potevo farlo, non ora che avevo ritrovato Artigern e avevo una possibilità di rimediare al disastro causato da noi draghi.

Il Nido del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora